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Corriere-Parla il vicepresidente di Confindustria-"Siamo condannati a cercare un'intesa"

L'INTERVISTA / Parla il vicepresidente di Confindustria "Siamo condannati a cercare un'intesa" Guidi: sciopero sbagliato, ma non è più un dramma MILANO - E adesso? "Siamo condannati a tra...

17/04/2002
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Corriere della sera

L'INTERVISTA / Parla il vicepresidente di Confindustria

"Siamo condannati a cercare un'intesa"

Guidi: sciopero sbagliato, ma non è più un dramma

MILANO - E adesso? "Siamo condannati a trattare", risponde Guidalberto Guidi, vice presidente di Confindustria con delega alle Relazioni industriali e agli Affari sociali. Lo sciopero generale si è appena concluso e nella sede romana dell'organizzazione imprenditoriale si vive apparentemente una giornata normale. Il presidente Antonio D'Amato riceve il collega britannico Iain Vallance, numero uno della Cbi (Confederation British Industry), e insieme approvano il documento congiunto sulla flessibilità del lavoro che sarà presentato in giugno a Siviglia, in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo. Ma l'attenzione di tutti è concentrata sull'esito dello sciopero, che con la flessibilità aveva a che fare direttamente. E sulla partecipazione dei lavoratori c'è la solita battaglia delle cifre. Allora, dottor Guidi, com'è andata?
"Ho appena ricevuto i dati dalle nostre associazioni territoriali, dai quali emerge una situazione non omogenea in tutto il Paese. Direi che l'andamento è stato a macchia di leopardo. Dei circa 4-4,5 milioni di dipendenti delle aziende nostre associate, che non sono ovviamente la totalità dei lavoratori, la media della partecipazione è intorno al 51%. Ma ci sono punte dell'80% a Napoli e del 90% a Pordenone. Così come a Milano, sempre secondo le nostre rilevazioni, non si è andati oltre il 40% e a Torino il 42%, mentre il dato generale del gruppo Fiat è tra il 46 e il 48%".
Il sindacato avrà probabilmente altri numeri, ma stando a quelli in suo possesso che giudizio ne ricava?
"Beh, devo dire che ci si attendeva una partecipazione più massiccia. Con la tensione che si era creata alla vigilia e tenuto conto dell'adesione di tutte le sigle sindacali, anche al di là delle tre principali, le aspettative erano per almeno il 70%".
Quindi è andata meglio del previsto?
"Non voglio esprimere giudizi. Lungi da me manifestare soddisfazione: uno sciopero è sempre e comunque distruzione di ricchezza; per le aziende, per i lavoratori, per il Paese. La mia è soltanto una constatazione".
Al di là dei numeri, che cosa pensa dell'esito della protesta? In fin dei conti era il primo sciopero generale da vent'anni a questa parte...
"Rispetto a vent'anni fa il clima è decisamente cambiato. Fortunatamente in meglio. Nell'immaginario collettivo di chi ha oggi più di 50 anni, lo sciopero generale evoca qualcosa di molto grave, quasi di drammatico. Noi come industriali riteniamo che sia sbagliato farlo, ma rispettiamo chi non la pensa come noi. La contrapposizione, insomma, si è fatta più matura. Come dimostra l'assenza di incidenti".
Resta però il segnale forte nei confronti del Governo...
"Non credo che oggi uno sciopero generale possa far cadere il governo. In passato è successo. Ma allora i mercati erano chiusi, mentre oggi sono interdipendenti. Insomma, è il contesto internazionale a costringerci a fare le riforme. Abbiamo di fronte a noi un periodo di ripresa economica. Per poterla cogliere dobbiamo essere alla pari con i nostri concorrenti. Per esempio, se si rivalutasse l'euro l'export ne risentirebbe; e con l'attuale sistema, alludo a fisco e oneri sociali, sarebbe difficile sopravvivere".
Quindi?
"Trattare è un dovere. Siamo condannati a farlo, anche se l'iniziativa spetta al governo: qui non si tratta di negoziare un contratto di lavoro, ma di comporre un mosaico fatto di tanti tasselli. In ballo non c'è solo l'articolo 18; c'è anche la riforma delle pensioni e quella degli oneri sociali. Tutte cose che imprenditori e sindacati non possono fare da soli".


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