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Corriere-Le attese (deluse) di un cambiamento

Le attese (deluse) di un cambiamento NUOVA CULTURA SENZA UN'IDEA In pochi altri campi come in quelli della scuola e della cultura la destra era attesa alla prova del governo. Perché l'istr...

03/11/2002
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Corriere della sera

Le attese (deluse) di un cambiamento

NUOVA CULTURA SENZA UN'IDEA

In pochi altri campi come in quelli della scuola e della cultura la destra era attesa alla prova del governo. Perché l'istruzione ha rappresentato uno dei territori dove più forte si è fatta sentire la grande trasformazione degli anni Sessanta; e a molti sembra necessario da tempo un ripensamento profondo di troppi esperimenti finiti nel nulla; perché nell'Italia repubblicana, storicamente, uomini, cose e istituzioni della cultura si sono identificati per decenni con posizioni di sinistra e viceversa; e infine perché ancora oggi più che mai la vitalità di uno schieramento politico è testimoniata anche dalla sua capacità di identificarsi con idee-forza, di rappresentare valori collettivi. Come si sarebbe mossa dunque la "destra di governo"? Quali contenuti nuovi avrebbe adottato? Che cosa avrebbe fatto? A tutt'oggi mi pare che il bilancio si riduca al più classico buco nell'acqua. Alla testa dell'istruzione, della cultura e delle Rai-tv, il trio Moratti-Urbani-Baldassarre ha infatti finora brillato per inconcludenza ed evanescenza, per l'assenza dal dibattito pubblico sui molti temi di cui pure le rispettive cariche avrebbero obbligato ciascuno di loro a occuparsi.
Alla guida dell'istruzione, Letizia Moratti si è fin qui prodotta solo in provvedimenti secondari di tipo tecnico-organizzativo. Magari utili, ma dalla destra ci si poteva attendere che il suo ministro si sentisse in dovere di cimentarsi con almeno una delle grandi questioni di merito che stanno minacciando di mandare in polvere l'idea stessa di scuola e di università: il rapporto delle giovani generazioni con il lascito culturale del passato, la subordinazione soffocante del sapere scolastico-universitario al mondo del lavoro e all'attualità, il dilagare nei programmi di un eclettico enciclopedismo, la liceizzazione degli studi universitari e i risultati negativi dell'autonomia degli atenei. Ma su neppure una di tali questioni la Moratti si è spesa, tutta corazzata com'è nel suo compassato managerialismo. Nel campo affidatole non è riuscita a comunicare al Paese il senso di alcuna novità, di alcuna svolta.
Non diverso il caso del ministro Urbani: un po' di compitini istituzionali, una nomina lì, una mostra là, ma nel complesso nulla mai d'importante, mai nulla che abbia toccato davvero un nervo della nostra situazione culturale, della sua tormentatissima vicenda storica, del suo così ampio rapporto con il mondo. Mai un'iniziativa davvero nuova: se non quella, sciaguratissima, sulle ventilate alienazioni del nostro patrimonio culturale. Soprattutto, come per la Moratti, mai una passione, un'emozione, mai insomma la cultura e la politica, e sempre, invece, e parlo dei casi migliori, la più burocratica delle routine. È questo ciò che sa fare la destra? E proprio in un ambito dove per anni i suoi avversari sono stati accusati - non a torto - di aver esercitato un soffocante predominio? È la gestione Rai di Antonio Baldassarre quello che la destra sa mettere in campo per quanto riguarda l'intrattenimento e la cultura di massa? Vale a dire una programmazione soffocata dall'ovvio, dalla volgarità, da canovacci vecchi di decenni, con la qualità ridotta in spazi sempre più marginali?
Ciò che soprattutto colpisce negativamente nella politica governativa dell'istruzione e della cultura è da un lato l'insensibilità ai valori in gioco, all'importanza delle scelte, al loro spessore storico; e dall'altro l'assenza di un'idea generale del Paese, del ruolo che esso ha avuto, delle sue vocazioni, delle sue risorse. Insomma, specie in un campo come questo, dove sarebbe possibile ottenere con mezzi relativamente modesti risultati di forte significato politico-simbolico, e quindi di notevole impatto pubblico, fanno difetto l'ispirazione, la voglia di fare, la qualità delle persone. E qui come in molti altri casi il presidente del Consiglio non sembra darsene troppo pensiero.
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA


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