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Corriere-In due righe il federalismo a scuola Sfida su contenuti, soldi e autonomia

In due righe il federalismo a scuola Sfida su contenuti, soldi e autonomia ROMA - Dipenderà anche dalla fantasia istituzionale delle Regioni, dalla reale voglia di scrivere un modello di...

28/11/2002
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Corriere della sera

In due righe il federalismo a scuola Sfida su contenuti, soldi e autonomia

ROMA - Dipenderà anche dalla fantasia istituzionale delle Regioni, dalla reale voglia di scrivere un modello di istruzione ad hoc. Francesco Speroni, tecnico del ministero delle Riforme e braccio destro di Umberto Bossi, la vede così. Veste di buon grado il ruolo di simulatore e comincia: "Nessuno può fare previsioni certe, magari tante Regioni non faranno nulla. Ma chi vorrà avrà decine di occasioni: legate all'economia del territorio, a una particolare politica dei redditi per i docenti, a possibili contratti integrativi, agli orari delle lezioni, alla sperimentazione di formule che anticipano il federalismo fiscale". CONTRATTI REGIONALI - Nella riforma costituzionale targata Bossi sono appena due le righe dedicate alla scuola: le Regioni "attivano" competenze legislative esclusive su "organizzazione scolastica, gestione degli istituti, programmi di interesse specifico della Regione". Tradotto in pratica, e attingendo all'immaginazione di Speroni, è una lunghissima lista di cambiamenti possibili: "Organizzazione è decidere quanti giorni la settimana dedicare alle lezioni, se attivare o meno concorsi regionali, con appositi criteri di assunzione. Oggi nella sanità le assunzioni sono su base Asl, domani saranno su base locale. Ci sarà poi una nuova competenza sui trasferimenti dei docenti, che diventeranno dipendenti regionali, con un contratto regionale, e dunque con un'occasione per politiche retributive differenziate".
Competenze nuove e "inquietanti" per l'Ulivo, in ogni caso - potenzialmente - a spettro molto ampio. Speroni continua: "Le Regioni potranno decidere sugli indirizzi scolastici, ovvero quanto spazio dedicare al liceo, quanto potenziare o depotenziare gli istituti tecnici o alberghieri, quale priorità dare allo studio di una lingua piuttosto che a un'altra. Un modo di adeguare l'offerta alla domanda, assecondando esigenze locali, vocazioni turistiche ed economiche diverse a seconda delle Regioni".
QUESTIONE DI SOLDI - Per alcuni osservatori, anche con tutta la fantasia possibile, non cambierà molto: la devolution di Bossi - dicono in tanti, di sinistra e di destra - è sopravvalutata. Per altri, soprattutto al Sud, sarà soprattutto una questione di denaro: "Senza non andiamo lontano, la Lombardia trova le risorse che vuole, noi no. E senza soldi c'è il rischio di creare solo confusione", dice Andrea Silvestri, assessore all'Istruzione della Puglia. Certamente non dovrebbe mutare molto in materia di programmi: la riforma devolve competenze esclusive e "localistiche", ma già oggi le norme consentono alle scuole (integrate dalle Regioni, secondo la riforma Moratti) di programmare come vogliono il 15% del curriculum scolastico.
Se il presidente della Regione Lombardia attende la devolution anche per uno studio più attento della poesia dialettale di Carlo Porta, già oggi nulla impedisce a una scuola privata materna ed elementare di Varese (guarda caso ne è coordinatrice la moglie di Umberto Bossi), nata tre anni fa con il sostegno del Comune, di inserire lo studio del dialetto varesino nel curriculum ordinario degli allievi. In compenso, forse anche per prevenire accuse di campanilismo, gli allievi studiano inglese e spagnolo fin dalla prima elementare.
ASSEGNI DI MERITO - Ma è sulla parola "organizzazione" che la "fantasia istituzionale" cui allude Speroni è già all'opera. Nelle Regioni del centrodestra gli assessori all'Istruzione leggono e rileggono quelle due righe e proiettano i loro desideri in leggi regionali di cui accarezzano la possibile, prossima, "costituzionalità". Alberto Guglielmo, Lombardia, pensa a "nuovi concorsi per gli insegnanti, ai quali possono partecipare ovviamente tutti i cittadini italiani, banditi secondo le esigenze della Regione", pensa a un "contratto integrativo che accosti le scuole pubbliche alle private nella libertà verso l'alto per gli stipendi", pensa a "presidi in grado di concedere assegni di merito e di fare politiche retributive basate sulla valutazione dei docenti".
DUE PRESIDI - Idee chiare anche per Ermanno Serrajotto, Veneto: "Qui devolution significa potenziare il ruolo degli istituti alberghieri e turistici. Pensare a nuove forme di direzione scolastica. Un esempio? Due presidi, non più uno: uno a forte vocazione manageriale, l'altro concentrato sulla didattica. Oggi un direttore scolastico non basta più". Anche la lista di Serrajotto comprende "una diversa politica dei redditi per gli insegnanti": "Ovvero un contratto regionale, insegnanti che diventano dipendenti della Regione, denaro che dovrà essere trasferito a noi dallo Stato: non è ancora nella devolution, ma si pongono le premesse".
NUOVO CENTRALISMO - Premesse che divengono di colpo "inquietanti" se interpretate in modo diverso: "Il punto più preoccupante - è convinto Luciano Vandelli, assessore alle Riforme istituzionali della Regione Emilia Romagna - è la totale incertezza dei contenuti, la vaghezza. Il rischio più grave è l'eliminazione sostanziale dell'autonomia scolastica. Prendiamo come esempio la parte flessibile dei programmi scolastici, quella oggi demandata alle politiche didattiche del singolo istituto. Domani tutto potrebbe essere accentrato in capo al Consiglio regionale, con un centralismo regionale che di fatto azzera l'autonomia, principio costituzionale, affermatasi negli ultimi anni".
SERVI DELLA GLEBA - Concorda pienamente Adriana Buffardi, assessore all'Istruzione della Campania, mentre Domenico Fisichella, vicepresidente del Senato, usa parole ancora più drastiche: "La territorializzazione degli insegnanti - denuncia l'esponente di An - è di fatto un ritorno a una forma di servitù della gleba, una servitù psicologica, culturale, civile". Servitù o meno, secondo le stime di Confindustria, questo modello di devolution equivale a non meno di 34 miliardi di euro di costi aggiuntivi per le sole Regioni a statuto ordinario.


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