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Concorsi, la rivolta degli atenei

Coro di no contro l’emendamento che “pesa” la laurea in base all’università in cui si è conseguito il titolo I rettori: non esiste una valutazione oggettiva. Il Pd: strada in salita, opportuno un ripensamento

04/07/2015
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la Repubblica

SALVO INTRAVAIA ILARIA VENTURI

ROMA . Università italiane a due velocità. Il Paese è già diviso, con atenei più attrattivi e altri che soffrono dell’emoraggia di iscritti. E dove la laurea ha un peso differente, anche nel voto. Ci si può laureare in Giurisprudenza con più di 109 di media alle università de L’Aquila e del Sannio e, all’opposto, con 100 a Verona, Udine e Ferrara, segnala il rapporto AlmaLaurea sui laureati 2014. Ma è possibile certificare per legge atenei di serie A e di serie B? È il rebus aperto dall’emendamento alla riforma della Pubblica amministrazione votato alla Camera dove si dice che per diventare funzionari pubblici non basterà più la laurea, ma si andrà a vedere anche ateneo di provenienza e voto. Una proposta che ha scatenato la levata di scudi dei rettori - «le lauree devono avere lo stesso peso» per Stefano Paleari presidente della Crui - e un polverone politico. Con Sel e grillini all’attacco. Al punto che ieri il firmatario dell’emendamento, il deputato Pd Marco Meloni, ha precisato: «L’intento era solo quello dell’abolizione del voto minimo di laurea quale filtro per la partecipazione ai concorsi pubblici». Poi la marcia indietro: «Credo sia opportuno, a questo punto, un supplemento di riflessione ».
Gli esperti di valutazione invocano cautela. E c’è chi legge in questo passaggio il grimaldello per arrivare all’abolizione del valore legale del titolo di studio. «Non è così – frena la senatrice dem Francesca Puglisi – questo emendamento verrà corretto in aula. La partita sarebbe stata infatti tutta in salita. Sì, ma come applicarlo? Un conto è accreditare gli atenei pubblici, definendo standard minimi di qualità, un’operazione fatta dall’Anvur per il ministero. Altro sono le classifiche, che pure ci sono. L’ultima è la U-Multirank, un database creato dall’Ue per mettere a confronto le università del mondo secondo 31 indicatori. Il responso vede sul podio la Bocconi, il politecnico di Milano e Trieste. In fondo, Cassino, Messina e Reggio Calabria. I primi atenei italiani secondo il QS World University Rankings 2014/ 15 sono Bologna, al 182° posto, la Sapienza (202) e il politecnico di Milano (229). La Federico II di Napoli figura al 345° posto, mentre Catania è oltre la 700ma piazza. A livello nazionale l’Anvur ha certificato la qualità della ricerca. Padova è prima dei mega atenei, tra le medie università al top c’è Trento, Urbino è ultima. Ma sui ranking frena Francesco Ferrante, di AlmaLaurea: «Sono discutibili sul piano metodologico. E poi, affermare per legge che un’università è migliore di un’altra comporterebbe un affievolimento del valore legale del titolo di studio».
«Introdurre il criterio del voto per classi omogenee di studenti ha un fondamento, ma occorre molta prudenza nel farlo», avverte Andrea Bonaccorsi, ex consigliere dell’Anvur, docente a Pisa. Il contesto conta, così come la preparazione degli studenti che arrivano all’università. In uno studio non recente, ma unico nel genere, lo statistico Andrea Cammelli e il sociologo Giancarlo Gasperoni sottolineano le differenze. A Medicina a Messina oltre la metà dei laureati aveva preso un voto elevato (almeno 92/ 100) alla maturità; nella stessa facoltà a Genova, al contrario, solo un laureato su sei aveva raggiunto lo stesso traguardo. Insomma, la polemica non si placa. Protestano gli studenti universitari e la Cgil: «Si introducono disparità inaccettabili».

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