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Come finanziare le Università del Sud: qualità della ricerca contro territorialità?

Negli ultimi mesi si è riacceso il dibattito intorno ad un punto centrale di qualunque politica pubblica della formazione e della ricerca: come finanziare le Università, che sono base e motore di quei due assi portanti per lo sviluppo del Paese?

18/05/2021
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Il Sole 24 Ore

di Vincenzo Militello*

Negli ultimi mesi si è riacceso il dibattito intorno ad un punto centrale di qualunque politica pubblica della formazione e della ricerca: come finanziare le Università, che sono base e motore di quei due assi portanti per lo sviluppo del Paese?

Anche il Piano Nazionale per la ripresa e la Resilienza (Pnrr), con le ingenti risorse destinate dal Next Generation Eu al comparto della ricerca, ha assunto l'impegno di contrastare il risalente gap che affligge il nostro sistema italiano di finanziamento alla ricerca rispetto ad altri vicini Paesi europei, nei quali le risorse (anche solo di fonte pubblica) sono una quota del Pil significativamente più elevata.

Le molteplici voci intervenute sul tema nei mesi scorsi si sono polarizzate fra i favorevoli a una canalizzazione delle risorse verso le Università che «fanno ricerca migliore» e chi invoca invece una distribuzione dei fondi più «diffusiva» (fra le varie sedi universitarie) e al contempo più «inclusiva» (delle varie aree del Paese). Non senza rischi di semplificazioni indebite e fraintendimenti reciproci, lo scontro fra “oligarchici” e “democratici” ha assunto toni anche accesi, con accuse rivolte ai primi di cadere in fallacie logiche, contrastanti per di più i principi costituzionali di eguaglianza e perequazione (così un vibrato appello su Repubblica, 12 aprile). Dall'altra parte, il rilievo di trascurare le modalità per assicurare un effettivo miglioramento della ricerca italiana (Boeri e Perotti su Repubblica, 17 marzo e lavoce.info).

Se tuttavia si considera l'intera realtà della ricerca, nell'estrema varietà delle sue articolazioni, e il complesso intreccio multilivello delle relative fonti di finanziamento, ci si accorge che entrambe le posizioni accentuano, finendo per assolutizzarla, solo una parte della problematica.

La questione centrale attiene peraltro non alla rispettiva coerenza formale, quanto piuttosto ai valori in gioco e alle relative scelte di bilanciamento. In primis, per superare il già denunciato ritardo su altri paesi, è indubbio che la materia richieda l'impegno di flussi aggiuntivi di risorse. Inoltre, sarebbe erroneo trascurare il contesto economico-sociale in cui ogni centro di ricerca è insediato, e di conseguenza il rilievo del divario nord-sud sulle variabili in gioco, già rispetto alle risorse di fonte privata.

Sotto questo profilo troppo generico appare il riferimento al Mezzogiorno fra le priorità trasversali del Pnrr, che non completa il connesso impegno al riequilibrio territoriale, specificandone l'attuazione nel pur variegato capitolo sulla ricerca e in particolare in relazione all'Università.

Ma l'attenzione perequativa nel destinare le risorse ulteriori non è incompatibile con una quota premiale del finanziamento pubblico, rivolta a stimolare la qualità dei risultati ottenuti dalle varie sedi. Così invece sembrano ritenere coloro che hanno segnalato la limitata presenza di sedi del Meridione fra i Dipartimenti di eccellenza premiati (30 su 180) a partire dai risultati nel 2018 dell'elaborato processo di “Valutazione della Qualità della Ricerca” condotta nelle varie sedi, universitarie e di altro tipo. A ben vedere però, un approccio che dall'importanza del riequilibrio territoriale, segnalata anche da tale vicenda, disconosca il valore di politiche pubbliche incentivanti la qualità della ricerca scientifica, rischierebbe di trascurarne il valore strategico per il complessivo sistema-Paese nel confronto internazionale.

Una logica premiale è presente non solo in Gran Bretagna (analizzata da Boeri e Perotti nei ricordati interventi), ma anche ad esempio in Germania. In quest'ultima, oltre alla presenza di reti autonome dalle Università (come i qualificati istituti Max-Planck e quelli Freuenhofer), sin dal 2005 l'“eccellenza” delle sedi universitarie è premiata con risorse ingenti e pubbliche, con una “strategia” che seleziona tanto specifici cluster di ricerca (anche comuni a sedi universitarie diverse), quanto singole Università. Anche lì i premi assegnati (sia pure secondo modalità selettive su progetti presentati dalle varie sedi) si sono prevalentemente allocati nella parte occidentale del Paese, più florida della sua ex-parte orientale.

Dunque, il principio costituzionale di eguaglianza, da alcuni richiamato per liquidare in Italia la premialità alla qualità della ricerca, va certo considerato, ma insieme ad altri valori che entrano nel bilanciamento da operare. Fra questi in Germania si menziona espressamente «l'incremento della posizione scientifica tedesca migliorandone la sua capacità di confronto internazionale» e ciò non esclude - ne rimane escluso da – l'esigenza di riequilibrio territoriale, come opportunamente del resto fa (finalmente…) il nostro progetto di Pnrr.

Se così è, quale “unità” della ricerca è da premiare: singolo ricercatore, aggregazione fra più ricercatori di un'unica sede, una intera Università, centri ad hoc ed ulteriori, magari costituiti fra più sedi universitarie? Anche qui la polemica fra oligarchi e democratici rischia di non calibrare la risposta sulle caratteristiche dei vari settori e soggetti finanziatori.

Nessuno può chiudere gli occhi di fronte ad ambiti in cui le infrastrutture della ricerca sono talmente onerose da imporre una destinazione mirata delle risorse e l'aggregazione delle forze fra sedi diverse, anche creando centri ad hoc. La stessa Unione Europea sin dal 2014 finanzia «Importanti progetti di comune interesse europeo»: la specifica attenzione ad essi rivolta dal nostro Pnrr conferma la compatibilità fra obiettivo del riequilibrio territoriale e destinazione di una direttrice di finanziamento a grandi progetti, alla portata solo di centri con potenzialità di ricerca adeguata. D'altra parte, nessuno si augura un sistema pubblico che non assicuri le condizioni della ricerca di base o che trascuri un generalizzato innalzamento qualitativo, anche in settori che non richiedono mega-infrastrutture tecniche, o che comunque non hanno ricadute dirette nel mondo delle imprese.

Appare dunque inadeguata una distribuzione premiale ove la qualità sia valutata sui risultati ottenuti da Atenei unitariamente considerati, a tacer d'altro per le grandi differenze fra le dimensioni degli stessi, che rende difficile normalizzare i relativi risultati in un elenco unitario. La struttura da considerare per distribuire risorse sulla base dei risultati della ricerca è piuttosto l'attuale dipartimento, che rappresenta il vero habitat in cui opera il ricercatore.

In sintesi, se si cerca di affrontare non in modo manicheo la questione cruciale del finanziamento alla ricerca e alle Università, l'attenzione deve essere duplice: tanto al bisogno di aggredire il divario territoriale del Sud con risorse pubbliche mirate (anche attingendo al Fondo di sviluppo e coesione, destinato al relativo riequilibrio dall'articolo 119 comma 4 della Costituzione), ma anche – e non invece – all'esigenza di incentivare la qualità della ricerca con risorse aggiuntive e premiali per chi ottiene i migliori risultati in tutto il sistema paese.

Stando infine attenti a evitare che il riequilibrio fra Nord e Sud del sistema della ricerca non serva per minare in radice la stessa possibilità di una valutazione della qualità della ricerca: per chi non trascuri che i relativi metodi derivano da una paziente e mai conclusa opera di affinamento nei vari ambiti scientifici e per chi non ha nostalgia di un finanziamento solo affidato a criteri quantitativi indipendenti dai risultati della ricerca, la scommessa è evitare che il bambino – gli sforzi già sperimentati nel nostro sistema per introdurre il parametro qualitativo e che vedono la nuova tornata di Valutazione della qualità della ricerca avviarsi fra non poche difficoltà – finisca gettato con l'acqua sporca del perdurante divario territoriale di cui soffrono anche le nostre Università.

* Università di Palermo


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