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Brevetti all’Istituto di tecnologia Scoppia la bufera, atenei in rivolta

La norma inserita nel decreto legge su «Misure urgenti per il settore bancario e gli investimenti» ha fatto infuriare tutti: politici, università, enti di ricerca

24/01/2015
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Corriere della sera

Valentina Santarpia

«Una pasticciata»:basta questa definizione di Manuela Ghizzoni, la deputata Pd a capo della commissione Cultura alla Camera, per capire cosa potrebbe scatenare la norma introdotta nottetempo in un decreto legge sugli investimenti, e che coinvolge l’Istituto italiano di tecnologia di Genova. Il condizionale è d’obbligo: perché la senatrice Francesca Puglisi, con un tweet, si è affrettata a chiarire che i due articoli nel mirino saranno stralciati: «Il Partito democratico e il governo credono nell’autonomia degli atenei e della ricerca scientifica». Ma intanto la polemica è già scoppiata. Ed è proprio la Crui - la conferenza dei rettori- oggi a prendere posizione ufficialmente in una lettera firmata dal suo presidente Stefano Paleari insieme al presidente del Cnr (Consiglio nazionale dele Ricerche) Luigi Nicolais, in cui si chiede al presidente del Consiglio Matteo Renzi di intervenire per ritirare il provvedimento, ritenuto «assai preoccupante e lesivo moralmente e materialmente per le università e gli enti pubblici di ricerca». «Nessuno dice che non sarebbe utile discutere di come ottimizzare lo sfruttamento dei brevetti - dice Paleari -. Ma un provvedimento di tale portata non può essere calato così dall’alto, all’insaputa di tutti gli attori interessati, perfino del ministro dell’Istruzione. Vogliamo parlarne? Facciamolo. Ma partendo da una ricognizione di quello che già si fa nelle singole università dove da alcuni decenni funzionano dei centri per il trasferimento tecnologico, penso ad esempio a quello del Politecnico di Torino. Poi certo si può pensare a come andare oltre, ma a me preme soprattutto la trasparenza. Mentre di questo provvedimento non si sa nemmeno la paternità».

«Ratto di competenze»

Ma facciamo un passo indietro. A far scattare l’allarme è stato, qualche giorno fa, il candidato rettore dell’Alma Mater di Bologna, Maurizio Sobrero, che in un post sul suo blog ha fatto notare al mondo accademico che l’Investment compact conteneva un paio di articoli che riguardavano da vicino le università: in particolare, sotto accusa le norme che affidano alla Fondazione dell’Istituto tecnologico la possibilità di gestire tutti i brevetti delle università e degli enti di ricerca. Sobrero si chiedeva «perché si dovrebbe affidare alla Fondazione Iit il frutto delle ricerche condotte nelle Università e negli enti di ricerca» e, tra l’altro, «perché tutto ciò viene introdotto ancora una volta con un provvedimento che nulla ha a che fare con università e ricerca». Appunto, si chiede oggi la Ghizzoni, dopo che il caso è salito agli onori della cronaca: «Chi ha inserito quella norma in quel provvedimento? Da dove viene nessuno lo sa, ma di fatto è stato percepito come un ratto di competenze ad enti e istituti di ricerca pubblici da parte di una Fondazione che segue regole private».

«Fondazione pubblica ma con regole private»

La questione infatti è proprio questa: «Senza voler togliere nulla ad un istituto che è una delle eccellenze italiane - precisa Ghizzoni - l’Iit non è un ente di ricerca, ma una Fondazione che viene finanziata sia con soldi privati che pubblici, tanti soldi pubblici: 100 milioni all’anno, a fronte dei 30 milioni che sono rimasti nel 2014 alla ricerca di base pubblica. Ma non segue regole della Pubblica amministrazione, come il blocco del turn over, e quindi può godere di una flessibilità e di una libertà di cui atenei ed enti statali non possono godere». In effetti, la versione originale della norma contenuta nell’Investment compact diceva semplicemente che all’istituto dovesse essere attribuita la possibilità di partecipare direttamente alle start up create dai propri ricercatori. Ma poi una «manina misteriosa» è intervenuta, questo passaggio è sparito e all’Iit sono state attribuite una serie di competenze in più, che poco hanno a che fare con lo scopo iniziale della sua creazione nel 2003, cioè lo sviluppo della robotica: secondo la versione attuale del decreto, l’istituto dovrebbe istituire un sistema di commercializzazione dei brevetti, ma anche «sistematizzare a scopi informativi e di vendita i risultati della ricerca scientifica e tecnologica svolta negli enti pubblici».

Il mistero dell’intervento

Un intervento che non è piaciuto né a chi pensava di sviluppare la Fondazione, che con i suoi 300 brevetti su 4000 prodotti della ricerca pubblica vanta già bei traguardi, né al mondo accademico, che ha ritenuto la norma un affronto. «Aspettiamo da tempo il Piano nazionale di ricerca e ci ritroviamo con interventi spot di cui nessuno sa l’origine e comprende lo scopo», conclude Ghizzoni. In attesa di capire chi e perché possa aver inserito, all’interno di un provvedimento che aveva ben altre ragioni, una norma che ha fatto infuriare tutti.


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