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Azzolina: «Nuova legge sui concorsi, attenti ai rischi per la scuola»

L’ex ministra dell’Istruzione: «Una non giusta interpretazione del decreto potrebbe tagliar fuori i docenti più giovani in favore dei precari di lungo corso»

27/04/2021
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Corriere della sera

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento della ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina sulla nuova normativa per i concorsi pubblici e sulle sue possibili conseguenze per il mondo della scuola.

Gent. mo Ministro Brunetta,

vorrei sottoporLe alcune considerazioni a proposito degli effetti, sulle prove concorsuali per il settore scuola, della disciplina contenuta nel decreto legge n. 44/2021.

Parto da un assunto che credo possa trovare subito ampia condivisione: il futuro della Pubblica Amministrazione – rectius il futuro del Paese – passa dai giovani, i cui studi, la voglia di mettersi in gioco, le capacità, i talenti, sono gli ingredienti fondamentali per un rinnovamento di cui l’Italia ha estremamente bisogno. Secondo i dati contenuti nella European Union Labour Force Survey, nel 2019 l’Italia, con un valore pari a 16,7%, risulta il Paese dell’Unione europea con la minore incidenza di occupati tra i 15 e i 39 anni sul totale degli occupati della PA, con una quota pari alla metà di quella riscontrata nella media europea (32,3%).

Il dato italiano è inferiore a quello rilevato per la Spagna (22,3%), per la Francia (31,7%) e per la Germania (36,5%). Anche guardando all’istruzione, l’Italia ha il primato di minore presenza di occupati tra 15 e 39 anni rispetto al totale, il 20,1% (anche se per centesimi di punto si pone in posizione peggiore rispetto alla Lituania), laddove per la media dell’Unione si registra un valore pari a 34,8%. Quote più elevate rispetto all’Italia si riscontrano ovviamente per la Spagna (34,3%), la Francia (35,0%) e la Germania (42,9%).

Come ha giustamente avuto modo di dire Lei recentemente, dobbiamo «riportare i giovani al centro come protagonisti di una Pa che ha disperato bisogno di essere rinnovata e qualificata». Analoga visione però deve riguardare il comparto scuola. La politica ha la responsabilità e il dovere di ascoltare le ansie e le preoccupazioni di intere generazioni che oggi temono di non poter esser messe nelle condizioni di concorrere, ad «armi pari», per «servire» il proprio Paese lavorando nella PA. Una speranza che non può essere tradita.

Angosce che dopo l’approvazione del decreto legge n. 44/2021, il cui disegno di legge di conversione è in discussione in Parlamento, sembrano essersi accresciute, complici i timori che una non giusta interpretazione normativa possa condurre le amministrazioni a consentire l’accesso alle prove concorsuali (scritte e/o orali) previa scrematura per titoli, privilegiando dunque più l’esperienza acquisita che gli studi e la competizione concorsuale in sé.

La questione non è di poco conto e credo vada affrontata partendo da un presupposto chiaro, più volte ribadito, anche nei mesi scorsi, da personalità di assoluto rilievo: la Costituzione, all’articolo 97, individua una regola chiara per l’assunzione dei pubblici dipendenti. Si tratta del concorso, ossia di quello strumento che si sostanzia in una competizione aperta a tutti e finalizzata alla selezione dei migliori, dei più capaci e competenti. Uno strumento che non può non articolarsi in prove davvero meritocratiche, nelle quali ciascuno possa dimostrare il proprio valore, e che certamente deve riservare alla valutazione delle esperienze professionali un posto, ma a fine competizione e non ex ante.

Allo stesso modo, va evitato un altro eccesso: senza una regolamentazione che sia in grado di circoscrivere e contestualizzare i «titoli legalmente riconosciuti» si corre il rischio di prestare il fianco a operazioni di mercificazione di titoli culturali, ad unico detrimento dei meno abbienti. Una «gara» che, spero Lei condivida, va oggi ridisegnata, per consentire una riduzione dei tempi, grazie agli strumenti offerti dall’innovazione digitale, per lo svolgimento delle prove.

Sono questi i principi che, nel 2020, mi hanno portata, come Ministra dell’istruzione, a bandire procedure concorsuali per circa 78.000 posti per l’assunzione di docenti a tempo indeterminato. Una di queste, per 32.000 posti, Ministro, è stata dedicata proprio ai cosiddetti «precari» con più di trentasei mesi di servizio, che hanno potuto cimentarsi in una prova scritta integralmente digitalizzata. Conclusa un paio di mesi fa, hanno affrontato la prova scritta 56.101 candidati, pari all’84,9% di quelli previsti. I vincitori potranno essere assunti già dal 1° settembre. Per lo svolgimento della procedura sono state utilizzate 5.832 aule dotate di dispositivi digitali, pari a una media di 9,6 candidati per aula, secondo uno specifico protocollo di sicurezza validato dal CTS. Tutto svolto in 13 giorni, senza carta e penna, senza meccanismi pletorici e superati dai tempi.

Vanno oggi espletate le prove dei concorsi ordinari, aperti a tutti, evitando però le conseguenze che potrebbero avere le erronee interpretazioni cui prima ho fatto cenno (anche considerato che l’età media dei docenti italiani è pari a 46,3 anni, al 13° posto nella classifica dei paesi, con un dato pari a quello della Germania e superiore a quello della Spagna, 46, della Francia, 44, e comunque della media europea, 45,6).

Secondo la distribuzione delle domande pervenute per fasce di età, per il concorso ordinario per il reclutamento di 33.000 docenti per la scuola secondaria di primo e secondo grado, 131.040 candidati hanno meno di 30 anni, 168.857 dai 31 ai 40 anni, 103.804 dai 41 ai 50 anni, 26.884 oltre i 50 anni. In sostanza, il 30,4% dei candidati ha fino a 30 anni e il 69,6% fino a 40.

Prendendo con riferimento la tabella di valutazione dei titoli (culturali e di servizio) allegata al bando, che pure è stata frutto di un lavoro finalizzato a valorizzare il merito e i titoli di studio (ad es. il dottorato di ricerca), evitando la proliferazione e l’abuso di certificazioni variegate, considerato che dei titoli valutabili si attribuiscono 0,5 punti per ciascun anno di servizio, e la valutazione complessiva dei titoli previsti non può eccedere i venti punti e, qualora superiore, è ricondotta a tale limite massimo, accade che un candidato con 20 anni di esperienza acquisisca già la metà dei punti disponibili.

Cosa succederebbe, allora, se la valutazione dei titoli, culturali e di servizio, diventasse la regola per l’accesso alle successive fasi concorsuali o, peggio ancora, per l’accesso al ruolo di docente a tempo indeterminato?

Sulla base dei dati della già richiamata European Union Labour Force Survey sulla situazione italiana, a partire dai dati dell’esperienza di servizio rilevabili per le fasce di età del concorso, si può calcolare un indicatore che attribuisce 0,5 punti per anno di esperienza per la popolazione dei laureati, al quale sono stati aggiunti 5 punti relativi al possesso di dottorato (dato disponibile), volendo contemperare la possibilità del possesso di uno dei più alti titoli di studio del nostro ordinamento. Si è determinato in tal modo un indicatore che consente di suddividere la popolazione di partenza in due classi, identificando la soglia significativa dei 10 punti (valore che si può ipotizzare discrimini molto, costituendo la metà del punteggio complessivo, che per l’anzianità di servizio rappresenterebbe i 20 anni).

Applicando i risultati di queste elaborazioni alle istanze pervenute, si arriva alla situazione di «semisbarramento» quasi esauriente (si giunge a 32.405 posti dei 33.000 disponibili), con candidati che già dispongono di 10 punti sui 20 disponibili. Un dato che porta a selezionare un numero quasi irrilevante di istanze di candidati con meno di 30 anni, 324 delle 131.040, pari all’1% del totale delle istanze, laddove per converso si troverebbero in una posizione di notevole vantaggio le classi di età più mature, oltre 40 anni di età, delle quali quello con almeno 10 punti in partenza costituirebbero addirittura il 94,6% del totale delle domande pervenute.

Risultati analoghi si otterrebbero con riferimento alla procedura per il reclutamento dei docenti di scuola dell’infanzia e della scuola primaria, ovvero se non alla esclusione, alla forte riduzione di possibilità di partecipazione con successo della classe dei più giovani.

Azzolina: «Nuova legge sui concorsi, attenti ai rischi per la scuola»

I dati dimostrano la necessità che il reclutamento del personale scolastico non possa esser trattato con semplificazioni concettuali, che non tengano conto di specificità del settore che, in ogni caso, non possono e non debbono tradursi in scorciatoie che nulla hanno a che vedere con il merito.

Mi troverà dunque favorevole a studiare, in maniera dialogica e costruttiva, ogni formula concorsuale seria e meritocratica, digitalizzata, che sia in grado di selezionare le migliori capacità e i migliori talenti, rinnovando l’amministrazione, tenendo conto però delle peculiarità di settori che necessitano di un supplemento di attenzione.

Allontaniamo l’idea di quanti vorrebbero approfittare del suo messaggio per rivendicare sanatorie ope legis, con il rischio persino di assumere senza selezione candidati appena bocciati, spacciandole per semplificazioni, che avrebbero come unico effetto quello che nessuno di noi credo possa davvero volere: una clamorosa mortificazione delle speranze e delle aspettative delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi.

Dalla scuola dipendono la formazione e la crescita dei cittadini. La scuola è il luogo per eccellenza per lo sviluppo della persona. Luogo di incontro, di inclusione. Luogo da tutelare, da proteggere, da preservare, soprattutto per tutti coloro che solo grazie agli studi e non già per disponibilità economiche, possono progettare il proprio futuro.

Ricordo un’altra Sua dichiarazione che, ancora una volta, mi trova d’accordo e che spero possa ispirare il lavoro di revisione dei dispositivi concorsuali, a partire dalle osservazioni fin qui elencate: «Il valore del merito è fondamentale in una democrazia: che i nostri giovani abbiano tutte le possibilità per aspirare a qualcosa di migliore. Cerco di rimettere in moto gli ascensori sociali nella Pa per i nostri figli».

Non possiamo permetterci alcun errore.


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