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La bugia della valutazione dei prodotti e non degli autori

di Giorgio Pastore

09/09/2016
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ROARS

In data 4 luglio 2016 l’ANVUR ha pubblicato on-line sul proprio sito una “versione provvisoria delle Linee guida dell’Accreditamento periodico nell’ambito del sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione periodica, Accreditamento) insieme a una nuova formulazione dei Requisiti di Assicurazione della Qualità. Come di consueto, l’ANVUR apre contestualmente una fase di consultazione con la comunità accademica (Università, dipartimenti e corsi di laurea, singoli docenti ecc.) e sarà grata per ogni commento, proposta di modifica o critica. I contributi ricevuti verranno presi in considerazione nel redigere la versione finale delle Linee guida; queste ultime saranno adottate nelle procedure di accreditamento periodico a partire dal 1 gennaio 2017. [Nota dell’ autore: Penso che nessuno si aspetti risposte puntali ad altrettanto puntuali osservazioni/critiche, ma questo non è previsto nella web-democrazia delle consultazioni on-line.]

Le osservazioni dovranno essere inviate entro il 5 settembre 2016 utilizzando esclusivamente la casella di posta elettronica dedicata consultazioneava2@anvur.it .”

La data limite per far pervenire le osservazioni è stata successivamente spostata al 12 settembre.

Resta il fatto che in pieno periodo estivo, e quindi con una notevole difficoltà ad avere scambi di opinioni, riunioni di commissioni dei Corsi di Studio, viene proposta una consultazione su un documento che avrà un impatto non trascurabile sul funzionamento e sui criteri di organizzazione dei corsi di laurea e laurea magistrale dei nostri atenei.

Il documento è abbastanza corposo (92 pagine zeppe di testo, grafici, allegati e tabelle). Ciò nonostante resta una lettura estiva obbligata per chi voglia capire cosa ci riserva per il futuro la nostra ineffabile Agenzia.

Il documento presenta diversi punti che varrebbe la pena di commentare e su cui inviare osservazioni. Tuttavia c’è un punto che merita di essere preso in considerazione isolatamente, sia per i potenziali effetti dirompenti sul sistema, sia perché rappresenta l’n-esima conferma del modo di procedere dell’ Agenzia: una metodologia, mai discussa esplicitamente, e di cui nessuno si assume la responsabilità a livello politico, di riforma del sistema dell’ educazione superiore di un Paese avanzato, mediante delega in bianco ad un ristretto manipolo di volenterosi.

Di che si tratta? Leggendo con attenzione il testo, si arriva alla sezione 5.1: INDICATORI RELATIVI ALLE CARRIERE, ATTRATTIVITÀ, INTERNAZIONALIZZAZIONE, OCCUPABILITÀ DEI LAUREATI (pag 21). Qui si legge che “gli indicatori sui CdS riguardano: le carriere degli studenti e i loro esiti occupazionali, l’attrattività e il grado di internazionalizzazione del Corso, la qualificazione dei docenti.”

E a proposito di questa, a p.22, al punto “Consistenza e qualificazione del corpo docente dei CdS” viene riportato un “Indicatore basato sul voto standardizzato calcolato sulla VQR del collegio dei docenti del CdS”

Non era stato detto che la VQR non sarebbe stata utilizzata per valutare i singoli docenti ma la struttura?

 

È vero, formalmente non si elencano le valutazioni dei singoli docenti. È vero, lo stesso sistema è stato già inaugurato per i collegi di dottorato, senza che ci siano state proteste preoccupanti. Ma questo rende forse più difendibile una scelta sbagliata?

Vediamo quale potrebbe essere un primo campionario di critiche che possono essere formulate su questo punto (e ricordo che anche i singoli docenti possono inviare osservazioni su qualsiasi punto del documento all’ indirizzo e-mail consultazioneava2@anvur.it:

  1. Continuare a utilizzare una VQR disegnata (bene o male qui non ha importanza) per la valutazione delle strutture (i Dipartimenti e gli Atenei) sulla base della qualità di un sottoinsieme dei prodotti della ricerca per valutare altro richiederebbe quanto meno una giustificazione del come e perché quel preciso formato possa esser considerato valido per i singoli. Ovviamente di giustificazioni in tal senso non c’è traccia, mentre nelle FAQ della VQR 2011-14 si continua, a questo punto ipocritamente, a ripetere che la valutazione è “del prodotto e non dell’ autore”.
  1. Manca nella bozza qualsiasi indicazione di come i dati possano essere ottenuti dai responsabili dei CdS. Si riproporrà la strategia di “moral suasion” della serie “so che non posso chiederti i dati ma per favore fammeli trovare per caso sulla stampante perché altrimenti non so come fare”. E se invece si investisse il solito CINECA del compito di aggregare i dati a livello di singolo CdS, l’estrapolazione dei dati individuali sarebbe estremamente semplice, stante l’ estrema facilità con cui può esser variata la composizione di un CdS, rispetto a quella di un Dipartimento. Vogliamo dire che i dati individuali della VQR sono pubblici e servono anche a valutare i singoli? allora va detto e scritto a chiare lettere. Ma prima della VQR, non dopo anni.
  1. Mantenere l’attuale separazione schizofrenica tra qualità della ricerca del singolo docente e qualità della didattica dello stesso non sembra un modo ottimale per ottenere quell’ effetto sulla qualità del CdS che apparentemente si persegue. Un CdS potrebbe essere tentato di avere al proprio interno un docente con un punteggio particolarmente alto nella ricerca, anche se le qualità didattiche lasciassero molto a desiderare.
  1. Stante la necessità, estremamente frequente nella prassi, che più dipartimenti contribuiscano alle risorse di docenza di un CdS, si aprirebbe un ulteriore vincolo nell’ annuale “sudoku” delle coperture degli insegnamenti per massimizzare il parametro sulla qualificazione dei docenti. E ogni vincolo significa ulteriore tempo/uomo per arrivare a soluzioni condivise.
  1. Ci si è rapidamente dimenticati (probabilmente trattandosi del’ ANVUR, si potrebbe sospettare di una rimozione psichica) della fronda no-VQR, della scorsa primavera, che ha lasciato alla fine della campagna di acquisizione dati un panorama abbastanza disomogeneo tra atenei o tra dipartimenti, circa il conferimento dei prodotti della ricerca o autorizzazioni ad usarli. Adesso, dimenticandosi (?) di questo, l’Agenzia e la comunità accademica tutta, pensano che sia accettabile che le conseguenze di quella (legittima) protesta possano pesare su qualcosa che è altro rispetto alla mera valutazione della ricerca, con conseguenze dirette sugli studenti?
  1. Infine sorge spontanea la domanda: ma perché, se si voleva usare anche la VQR per valutare la qualificazione presente sul fronte ricerca, non bastava utilizzare i dati del o dei dipartimenti responsabili della gestione dei CdS? Se infatti è vero che la formazione superiore di qualità presuppone uno stretto legame tra ricerca e didattica, è anche vero che in genere questo non si esaurisce con la contabilità notarile dei soli membri di un CdS. In molti CdS p.es. la possibilità di seguire tesi viene estesa per regolamento a tutti i docenti e ricercatori afferenti al dipartimento o ai dipartimenti coinvolti. Questo stato di fatto viene tranquillamente ignorato dagli estensori della bozza, pur se avrebbe ricadute notevoli innanzitutto nel semplificare la questione: in quest’ottica infatti diventa sufficiente usare i dati VQR del dipartimento o dei dipartimenti coinvolti, senza ulteriori riaggregazioni o scorpori di dati esistenti.

Probabilmente i lettori potranno trovare ulteriori buoni motivi da aggiungere a questi. Condividiamoli, ma soprattutto, a tutti i livelli (singoli, CdS, Dipartimenti, Atenei) cerchiamo di far arrivare all’ ANVUR un NO deciso almeno su questo punto.


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