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Amato: la rete può aiutare la democrazia

La nostra società è come Camelot Internet ci mostra il suo lato oscuro»

19/01/2011
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Corriere della sera

Alessandro Barbano

C ome si immagina le categorie di destra e sinistra tra dieci anni? (...) Mi aspetto che la sinistra riapra gli occhi su un mercato a cui negli ultimi decenni è stata data la facoltà di definire qualunque distribuzione della ricchezza. Non è pensabile che una sinistra possa accettare distanze di reddito che hanno assunto proporzioni simili a quelle che due secoli fa scatenarono la Rivoluzione francese. Naturalmente si riaprirebbero le tradizionali diatribe sui rimedi da apportare. A destra sono sempre esistiti due atteggiamenti diversi. Uno conservatore, ideologicamente ancorato alla tradizione, ostile alle tecnologie e resistente di fronte alle spinte del mercato. L’altro invece sfacciatamente mercatista, che si oppone a una redistribuzione di redditi in nome di un malinteso senso della libertà individuale. Con una buona dose di ipocrisia queste due facce potrebbero continuare a convivere insieme come accade adesso in molte parti d’Europa. (...) Di fronte a fenomeni come l’indifferenza verso gli altri, ad atteggiamenti di libertà senza responsabilità, a progetti di vita esauriti dall’autodifesa e dall’appagamento individuali, di cui cogliamo le nuove e più robuste radici nelle società avanzate del nostro tempo, come farà la politica a imporre le ragioni del noi? È il compito più difficile degli anni che verranno. Perché questo processo di individualizzazione è un fenomeno dalle mille radici. E perché il «noi» non s’impone sull’ «io» per legge. Gli unici antidoti che abbiamo contro questa tendenza sono culturali. Le religioni possono giocare un ruolo determinante, perché il riconoscimento e l’amore per l’altro fondano il loro tratto identitario. Le etiche laiche appaiono invece meno capaci oggi di coinvolgere numeri elevati di cittadini e di incidere su modi di vita che separano gli uomini uno dall’altro e che creano un’ansietà quotidiana crescente. Resto affezionato tuttavia a un’idea lanciata alcuni anni fa sull’ «Economist» . Esaminando questa tendenza frammentatrice delle società contemporanee, quel giornale richiamava la sinistra a ritrovare le ragioni che la portarono, nel suo esordio sulla scena della storia, a organizzare gli esclusi facendo leva proprio sulla solidarietà contro l’individualismo. Il riformismo nacque per sostenere le ragioni dei deboli, chiamati a lottare insieme in quanto portatori degli stessi interessi. Oggi però la sfida della sinistra è più difficile, perché la modernità ha disarticolato questo quadro sociale, frantumando l’omogeneità degli interessi su cui si fondava quell’antico patto d’azione. Usando una metafora, potremmo dire che ciascuno oggi è debole a modo suo. (...) Ma allora è in discussione la natura stessa della democrazia, concepita sempre più come contenitore neutrale, quando non indifferente, di fronte ai nuovi conflitti della globalizzazione, alle grandi migrazioni, alle disuguaglianze crescenti? La democrazia è in difficoltà, nessuno può negarlo. Era nata per le élite dei possidenti alfabetizzati, ha iniziato a svilupparsi con cittadini elettori che rappresentavano a volte neanche il dieci per cento dell’intera popolazione, si è venuta via via estendendo a tutti i cittadini degli Stati dotati di sistemi liberaldemocratici e poi anche ad altri Paesi che non l’avevano mai conosciuta. Via via che si è venuta allargando, si è anche adulterata. Nella maggior parte dei Paesi cosiddetti a tradizione democratica, è malata di populismo. Tale patologia è una risposta al sogno inappagato di democrazia deliberativa che la scomparsa dei partiti ha accentuato. Nei Paesi di nuova democrazia, invece, è ancora un simulacro. Spesso siamo costretti ad accontentarci del fatto che c’è una parte del processo democratico, la parte elettiva, ma manca del tutto uno spazio di confronto pubblico sulle idee. Per cui ci si chiede ancora se si tratti di Paesi a democrazia altamente imperfetta o di non democrazie. Il caso della Russia di oggi è il più emblematico. Ritorna allora la lezione di Amartya Sen, il quale ricorda all’Occidente che la democrazia elettiva senza la cultura del dialogo è una scatola vuota. Tuttavia ci penserei due volte prima di dare la democrazia per morta. Attraversiamo una fase di grandi cambiamenti globali e l’uso delle risorse tecnologiche di cui disponiamo può modificare i connotati degli stessi sistemi in cui ci troviamo a operare. Prendiamo in considerazione i nuovi media. Che essi giochino un ruolo decisivo nel processo democratico nessuno oserebbe più negarlo. Possono al tempo stesso rappresentare veicoli di estremismo fanatico, ma anche luoghi di discussione razionale, nella quale vengono espressi su singole questioni punti di vista diversi da coloro che non avrebbero mai avuto occasione di farlo. Il fatto che un leader oggi si presenti e discuta su Facebook o su YouTube può essere considerato come un modo di inseguire consenso, e indubbiamente lo è. Ma è anche un’occasione di confrontarsi con opinioni fino a ieri ignote. Viviamo in una fase nella quale, cadute le antiche architravi della democrazia, cioè i partiti politici del XX secolo, abbiamo la sensazione che l’edificio democratico poggi sulle sabbie mobili. Si tratta tuttavia di una percezione vera a metà. Perché quelle sabbie sono in realtà composte da mille cose subentrate ai partiti, nessuna delle quali ha la capacità di recepire e filtrare le domande sociali in modo efficace com’era accaduto per buona parte del secolo scorso, ma molte delle quali concorrono a obiettivi utili alla democrazia. (...) Non le pare invece che, se la rete è diventata l’agorà della politica, l’effetto sarà una radicalizzazione dello scontro? In questa piazza la dialettica è binaria, o bianca o nera... Fino a un certo punto. La rete ospita eccessi con grande facilità, poiché la sua immediatezza e la garanzia dell’anonimato offrono a ciascuno la possibilità di esprimersi senza filtri e quindi di gettar fuori ciò che ha nel profondo degli intestini. Così, un irresponsabile lancia una statuetta pesante contro il viso del presidente del Consiglio. Ed ecco che in rete appaiono coloro che esaltano il gesto. Tuttavia teppismi verbali o materiali di questo genere ci sono sempre stati. Che cosa è cambiato oggi? Migliaia di persone che per ragioni diverse sono dei potenziali taxi-driver, cioè alienati, isolati, depressi e frustrati, trovano nella rete un parafulmine alle proprie tensioni interiori e, insieme, un palcoscenico su cui esibirsi. In tal modo Internet ci fa conoscere meglio anche il lato oscuro del Camelot che è la nostra società. Nutro tuttavia il sospetto che tendiamo a considerare una parte, la peggiore, per il tutto. Il populismo e la demagogia politica si fondano su questa distorsione interpretativa della realtà, questo illuminare con luce accecante certi angoli bui e gridare al nemico. Ma nella rete esiste, ed è visibile, anche un lato chiaro, fondato sul dialogo e sullo scambio di esperienze. Far prevalere la forza simbolica di questo confronto positivo è una sfida che rimanda ancora una volta ai valori della democrazia. E che ci attende. Ma questa nuova luce sui lati oscuri di una società è senza prezzi da pagare? Oppure c’è il rischio di instaurare una sorta di totalitarismo della trasparenza? (...) Non sarà che la tecnica abbia sopravanzato i fini per i quali essa è stata pensata? È andata talvolta oltre la nostra saggezza nell’usarla. Ma da ex ministro dell’Interno non me la sento di gridare alla privacy violata. Le telecamere che consentono di vedere chi fa che cosa nei luoghi più disparati sono per me un beneficio del nostro tempo, non un costo. I body scanner che consentono di individuare le mutande con l’esplosivo incorporato sono una salvezza. Certo, tante persone non hanno piacere di essere viste nude, ed è giusto che il loro viso sia cancellato e le loro immagini siano distrutte dopo l’uso. Ci sono accorgimenti che devono essere adottati per neutralizzare l’uso totalitario delle tecnologie. Ma si tratta di tecnologie che contrastano l’abuso di altre tecnologie. È sempre accaduto nella storia che noi disponessimo di attrezzature utilizzabili tanto per il bene quanto per il male.


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