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LA SCUOLA DA PASOLINI ALLA MORATTI MATTEO DI GESU matteo di gesù Una delle conseguenze dei criteri aziendalistici applicati dal ministro Moratti è la paventata chiusura di ben 2003 istitut...

18/08/2002
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LA SCUOLA DA PASOLINI ALLA MORATTI

MATTEO DI GESU

matteo di gesù
Una delle conseguenze dei criteri aziendalistici applicati dal ministro Moratti è la paventata chiusura di ben 2003 istituti scolastici in Italia, 148 solo in Sicilia. "Per l'abolizione della tv e della scuola dell'obbligo" è il titolo di uno degli ultimi interventi di Pier Paolo Pasolini sulle pagine del "Corriere della sera" di Piero Ottone, successivamente raccolto nelle "Lettere luterane", dove invece si trova con il titolo che l'autore aveva previsto di dargli per la pubblicazione in volume: "Due modeste proposte per eliminare la criminalità in Italia". Andarselo a rileggere, sollecitati da questa apparente ma quanto mai sinistra consonanza di fini tra il ministro e l'autore di "Ragazzi di vita", suscita quasi inquietudine. Ma andiamo con ordine.
La swiftiana provocazione di Pasolini, di un Pasolini dei più lucidi e acuti di sempre, si articolava nella più ampia e nota polemica, testardamente reiterata dallo scrittore negli ultimi anni di vita, a proposito della "rivoluzione antropologica" prodotta in Italia dal neocapitalismo. L'articolo sulla scuola mirava tra l'altro a denunciare e smascherare una serie di contraddizioni determinate dal sistema di insegnamento.

Semplificando e banalizzando si potrebbe dire che l'autore denunciava la trasmissione di un modello unico e omologante da parte dell'istruzione pubblica, modello che avrebbe prodotto effetti devastanti sulla coscienza degli studenti. "La scuola dell'obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese" denunciava Pasolini. E più avanti: "La loro [delle nozioni] funzione, altro non è che creare, col loro insieme, un piccolo borghese schiavo al posto di un proletario o di un sottoproletario libero". Era il 1975.
Dicevamo che la rilettura, a più di venticinque anni di distanza, suscita inquietudine. La suscita perché così diverso dal nostro ci appare il contesto nel quale un dibattito del genere poteva venire proposto. Se allora un argomento come l'abolizione della scuola dell'obbligo poteva ancora essere un paradosso, e quindi semmai funzionare e bene come pretesto per imbastire una polemica, per avviare un dibattito, oggi lo stesso argomento non è più una metafora, ma una concretissima minaccia.
In quella grande periferia che è la Sicilia, fino a ora davvero, al di là della retorica, molte scuole sono state degli avamposti, nei quali magari alcuni insegnanti, dopo averla appresa e meditata, hanno provato a rielaborare la lezione di Pasolini. Nelle periferie e nei quartieri popolari di Palermo, ancora ieri la lotta alla dispersione scolastica era una battaglia in corso, per giunta condotta con esiti quasi soddisfacenti, se è vero che grazie anche all'osservatorio dell'assessorato alla Pubblica istruzione e al lavoro di tanti insegnati e operatori è passata dal 20 per cento e oltre al 6 per cento.
Sino a ieri, insomma, negli istituti comprensivi di Caccamo, Ustica, Petralia Sottana, come alla scuola media D'Acquisto o alla Don Milani di Palermo si poteva ancora discutere del "come", a proposito della scuola pubblica e della sua funzione. Oggi, dopo che il ministro ha elaborato il criterio della soglia del 9,5 (rapporto alunniprofessori), non si può più: bisogna primariamente difendere l'esistente, per quello che è, dagli assalti governativi. Con buona pace di Pier Paolo Pasolini, che, a rileggerlo oggi, sembra proprio letteratura.
matteo di gesù


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