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E se provassimo con la scuola?

di Marina Boscaino

22/02/2010
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Basta dare uno sguardo all’organizzazione dei sistemi scolastici dell’Europa dei 27 per rendersi conto dell’errore compiuto dal nostro Paese nel non perseguire in maniera intransigente l’obiettivo di un reale innalzamento dell’obbligo scolastico.

Fioroni diceva: “ Non li possiamo tenere mica dentro con le catene, alludendo alla necessità di individuare vie alternative alla scuola per impegnare i ragazzi in odor di dispersione. Quelle parole erano il segno di una rinuncia: la rinuncia alla battaglia cui si alludeva, le mani alzate in segno di resa, l’idea che la scuola non è il luogo per curare la tendenza all’abbandono, alla dispersione, alla dissipazione culturale. Infine l’incapacità o la mancanza di volontà di contrapporsi – per smantellarlo – a un sistema (quello delle agenzie formative) che era stato legittimato da Moratti e sul quale gli interessi economici erano e sono trasversali. Parole amare: se non la scuola, cosa? Se non a scuola, dove? L’apprendistato, sembrano suggerirci oggi le proposte indecenti di chi ci governa. Ma andiamo avanti.

Quelle parole hanno significato, concretamente, la rinuncia ad una politica di investimenti sulla scuola che, è vero, così come è (e ancor meno come si sta preparando a diventare), non è in grado di accogliere la sfida dell’innalzamento dell’obbligo scolastico: tutti a scuola (almeno) fino a 16 anni.

La scuola imbalsamata, sclerotizzata, identica a se stessa, inadatta a recepire un “fuori” sempre più distante da sé, ma ostinata a inseguire una vocazione prevalentemente formativa e valutativa, incapace di elaborare azioni per favorire l’adattabilità e la flessibilità al contesto, è un organismo che funziona indipendentemente dalle situazioni. Il cui funzionamento predeterminato è ostacolato dalla presenza di casi divergenti, di criticità, di anomalie del/al sistema. Allontanando l’anomalia, il sistema tutela se stesso: la dispersione è funzionale al mantenimento della scuola così com’è.

Questa immobilità impedisce alla scuola di assolvere in pieno la funzione che la stessa Costituzione implicitamente le attribuisce: “ rimuovere gli ostacoli ” che intervengono, opponendosi alla realizzazione del principio di uguaglianza tra cittadini. Ostacoli, inutile dirlo, di natura prevalentemente socio-economico-culturale.

Il mancato innalzamento dell’obbligo scolastico - vale a dire il disinvestimento economico e culturale su una scuola che sia in grado di tenere dentro tutti i cittadini fino almeno e 16 anni – essendosi attrezzata adeguatamente perché ciò sia possibile – penalizza soprattutto coloro che, provenendo dalle fasce più svantaggiate, avrebbero potuto godere di un’opportunità di emancipazione, di miglioramento, di crescita non garantite dal proprio Dna sociale.

Come si diceva, in tutti i 26 Paesi europei il biennio delle superiori è obbligatorio. In alcuni, l’obbligo scolastico va persino oltre.

- A 15 anni: Austria, Belgio tedesco, Cipro, Grecia, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica ceca, Slovenia,

- A 16 anni: Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Galles, Scozia, Irlanda del Nord, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia.

- A 17 anni: Inghilterra, Paesi Bassi,

- A 18 anni: Belgio fiammingo, Belgio francese, Germania, Ungheria

Il fatto significativo che aiuta a comprendere la distanza – di ordine ancor più culturale che economico – tra gli altri Paesi è il nostro, è che la nostra scuola media è più breve che negli altri Paesi. Altrove, infatti, dove questo segmento del sistema dell’istruzione sia previsto, esso è di 4 o 5 anni, terminando a 16 anni. Questo elemento è molto importante.

Da una parte la brevità della nostra scuola media e i criteri pedagogico-didattici che la animano le hanno progressivamente sottratto quella vocazione “orientativa” che dovrebbe avere per sua stessa natura: l’esito finale dell’esame di scuola media, a seconda dei risultati, determina quasi automaticamente l’accesso al liceo o all’istruzione tecnico-professionale, divaricando precocemente e definitivamente destini su base (è evidente, se si comparano i risultati di uscita dalla scuola media con il reddito familiare) socio-economico-culturale.

Negli altri Paesi, viceversa, i cicli lunghi della scuola media sono divisi in una prima parte di adattamento e in una di orientamento: si determina così, oltre che una maggiore permanenza a scuola, con le conseguenze in termini di crescita culturale e di cittadinanza, anche una maggiore maturazione e consapevolezza nelle scelte più o meno necessarie che vengono fatte relativamente ai percorsi seguenti.

Lo smantellamento di qualsiasi ipotesi di biennio unitario previsto dai curricola delle superiori targati Gelmini rappresenta lo stop definitivo di un processo di crescita civile, etica, culturale che il nostro Paese non ha ritenuto di dover intraprendere.

Nella millantata scuola che guarda all’Europa propagandata dal governo Berlusconi, intanto, le competenze di lettura dei quindicenni (uno degli obiettivi da monitorare costantemente secondo il programma di Lisbona) sono addirittura diminuite invece che aumentare. Il taglio di ore e saperi configurati dalla cosiddetta riforma rappresenta la risposta più sconcertante a questa situazione. Ma anche la più franca rispetto al significato e all’importanza che coloro che ci governano attribuiscono alla scuola.

* * *

Confronti

Cosa ne dice la Ministra?
Maria Stella Gelmini ha dichiarato che “ secondo una condivisa linea governativa“, il ministero dell’Istruzione “ è favorevole a ogni iniziativa, anche legislativa, che favorisca la transizione tra scuola e lavoro, consentendo così ai giovani di disporre delle competenze necessarie per trovare un’occupazione“.

E la Strategia di Lisbona?
Lo studio di Maastricht sull’istruzione e sulla formazione professionale del 2004 indica un notevole divario tra i livelli di istruzione richiesti dai nuovi posti di lavoro e i livelli di istruzione raggiunti dalla forza lavoro europea. Tale studio dimostra che più di un terzo della forza lavoro europea (80 milioni di persone) è scarsamente qualificata mentre si è stimato che entro il 2010 quasi il 50% dei nuovi posti di lavoro richiederà qualifiche di livello terziario, poco meno del 40% richiederà un diploma di scuola secondaria superiore e solo circa il 15% sarà adatto a persone in possesso soltanto di una scolarizzazione di base.


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