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ReteScuole: dai libri al book, fotografico

andrea bagni

18/06/2009
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Retescuole


di andrea bagni

La fine dell'anno scolastico ha sempre una nota un po' festosa, almeno per quello che accade nelle classi. Saluti abbracci sorrisi. Non si dovrebbe parlare di cose tristi. Anche Marcella Olschki in quel grande piccolo libro che è Terza liceo 1939 racconta che alla fine erano tutti pronti gli studenti a perdonare il Signor Professore, il fascista che li aveva torturati tutti l'anno. Bastava un suo gesto gentile. Naturalmente ci sono anche ragazze e ragazzi che ti scrivono email per sapere come è andato lo scrutinio, l'ammissione all'esame, e a volte è un casino rispondere. Quest'anno, poi, il voto in condotta “che fa media” ha autorizzato una specie di valutazione etica che vorrebbe giudicare qualità interiori delicate, relazioni con compagni da cui gli adulti sono (giustamente) esclusi: tutta roba che mette in circolo il peggio dei rapporti personali. Microvendette, antipatie. Premia chi dorme e non disturba, penalizza chi rompe e “risponde” - perché mica si risponde alle autorità. Si cerca di dare voti a tutto, niente di ciò che è informale e relazionale deve restare non formalizzato, non trasformato in numero e in “credito”. Pedagogia bancaria.
E poi quest'anno sono arrivati come un uragano i nuovi organici. Un mare di tagli. Giovani insegnanti che non saranno richiamati. Vecchi che si scoprono soprannumerari, un po' alla scuola un po' alla vita. Chi rimane si vede assegnare cattedre anche ben oltre le diciotto ore, e ti domanda ma si può rifiutare?, perché la forza di questa roba è che si presenta come invincibile. Lavorare in meno, lavorare di più.
Nel mio istituto tecnico si è detto, proviamo a fare un'assemblea con i genitori e gli studenti. E arriva un mare di gente, segno di un legame sorprendente con la scuola. Quasi affettivo Chi se lo sarebbe immaginato. Il giorno dopo le mamme urlano al dirigente dell'ufficio scolastico provinciale che solo i figli contano, devono avere quello che loro non hanno avuto, non si può risparmiare sui loro sogni. “I figli so' piezz' e core”, ma un cuore collettivo, politico. L'ometto risponde che è dispiaciuto ma questo è il sistema, il calcolo lo fa il computer a livello regionale, non c'è niente da fare. E aggiunge stupito dalla folla: ve lo potevano già spiegare i prof. Spiegare? L'hanno capito tutti il meccanismo, mica è difficile. Conta solo il bilancio. Che i risparmi in un modo o in un altro siano realizzati. Solo che quel meccanismo fa a pezzi la scuola e non si può accettare. Punto. La settimana dopo, l'ultima notte fra venerdì e sabato, occupazione dell'istituto – ma insolita, di insegnanti e genitori. La mattina la scuola era piena di striscioni e cartelli. Contributo delle ragazze, Studiare da velina? no grazie, Papi.
Per resistere bisogna esistere e non lasciarsi deprimere troppo.
Questa sarà l'estate del nostro scontento. L'ennesima. Riforma dei tecnici, riforma dei licei, Brunetta e Sacconi. Filosofia chiara. Meno scuola, e non per fare meglio, approfondire di più, mettere al centro ragazze e ragazzi piezz'e core, in tempi distesi per un sapere non solo quantitativo. Per risparmiare. Per semplificare e ritornare alla tradizione. Si era cominciato con maestri unici, voti per tutti, grembiulini, condotta. Adesso riduzione di scuola, zero laboratori e compresenze, solo trasmissione di conoscenze impacchettate, discipline rigide e controllo disciplinare pure. Davvero il nemico resta il sessantotto, che dunque è stato grande se ancora fa tutta questa paura. Inoltre un biennio per i tecnici, tutt'un altro per i licei - senza manualità, tecnica, ricerca teorico-pratica: solo il libro da imparare e ripetere, in attesa che le migliori passino al book - fotografico. E si vuole essere sicuri che non ci siano scambi di destini: dopo le medie, i professionali per gli sfigati, i tecnici per i mediocri, i licei per l'élite. I passaggi, secondo tradizione, come sistema di scarico: chi boccia al classico scenderà nella gerarchia. Gentile festeggerà nella tomba.
Credo che la forza di un progetto del genere sia soprattutto la nostra rassegnazione, la sensazione che non c'è nulla da fare. Il parlamento, i rapporti di forza. Non vale neppure puntare sulla rabbia, troppo affine in realtà alla depressione. Conta esistere nello spazio pubblico come altro da questa miseria, come racconto collettivo delle nostre esistenze. Racconto che se dà voce ai desideri è conflittuale e ribelle. Capace di durare nel tempo perché ha una parte degli obiettivi in se stesso. Può “portare a casa” il proprio senso. In una casa comune. E preparare a settembre qualche sorpresa per Papi.


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