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Intervista a Stefano Gorla Intervista a Stefano Gorla, Project Coordinator di ENIS - European Network of Innovative Schools Cos'è Enis? Enis nasce in un contesto europeo, da un'idea di Eu...

03/04/2002
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Intervista a Stefano Gorla
Intervista a Stefano Gorla, Project Coordinator di ENIS - European Network of Innovative Schools

Cos'è Enis?
Enis nasce in un contesto europeo, da un'idea di Eun (European Schoolnet).
Si tratta di un insieme di persone di singoli stati europei (23 in tutto) attive nel campo dell'educazione. Attraverso il portale europeo eSchoolnet sono state raccolte le migliori esperienze per le scuole, attraverso la ricerca di un modello ritenuto di validità generale su base UE, indicando esempi di best practises.

Chi seleziona le scuole Enis?
L'impegno di ogni Stato è quello di indicare le scuole di eccellenza presenti sul suo territorio e sottoporre le attività di questi istituti all'attenzione delle scuole di tutta Europa.

Quale rapporto c'è tra tecnologia e scuola negli istituti della rete Enis?
Si tratta di applicazioni delle nuove tecnologie alla didattica, non di applicazioni concentrate sull'informatica. Sono passi avanti per sperimentare soluzioni innovative per l'apprendimento, superando i metodo tradizionali di insegnamento.
Insomma c'è un incontro tra pedagogia e tecnologia. Gli insegnanti non devono avere paura delle eventuali difficoltà, ma devono mettersi in gioco.

Quali altre finalità si propone Enis?
Promuovere e migliorare la comunicazione tra le scuole, attraverso la diffusione della conoscenza. E'importante porsi il problema della trasmissione del sapere alle nuove generazioni.

Quale tipo di rapporto scuola-territorio esiste per le scuole Enis?
La scuola deve essere in contatto con il territorio, non può essere scollegata dalla realtà sociale. Ha infatti il compito di trasmettere e condividere con il territorio un patrimonio di conoscenze sia di carattere culturale che finalizzate all'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Dobbiamo consegnare alla società dei cittadini consapevoli con capacità di lavoro. Insomma promuovere tanto il sapere di conoscenza, quanto il saper fare e saper essere.

Si tratta di una sfida complessa'
Il rischio con le nuove tecnologie è quello di puntare tutto sul saper fare, quando invece si tratta di strumenti funzionali a realizzare il saper essere. Dal punto di vista pedagogico si tratta infatti di prestare maggiore attenzione all'individuo inteso come persona. Il saper fare va subordinato ad un sapere di conoscenza e al saper essere.
La scuola deve essere un luogo sociale che opera in funzione del benessere collettivo.

E che ruolo giocano le nuove tecnologie?
Le nuove tecnologie mettono in discussione la didattica tradizionale e i suoi contenuti.
La scuola è oggi chiamata ad una sfida. Quando nel 1957 con il Trattato di Roma fu istituita la Comunità tutto questo era impensabile. Condividere percorsi di approfondimento insieme è importante per la costruzione dell'Europa.

Come può avvenire questa condivisione di esperienze?
Sono importanti le cosiddette best practises in Italia e all'estero. Come lo sono tutti gli esempi di lezione utilizzando le nuove tecnologie. Il problema però è soprattutto di tipo concettuale: aprire la classe all'esterno, utilizzando la videoconferenza per ospitare la lezione di un docente straniero, non è facile. Le difficoltà oggi sono, però, più a livello, per così dire concettuale, che tecnico. In classe l'insegnante è abituato ad essere solo, non siamo ancora abituati a questo tipo di collaborazioni.

Dove è stata raccolta l'esperienza?
Le attività realizzate sono confluite nel portale di ricerca virtual school, una scuola virtuale da cui attingere idee e pratiche importanti. I migliori insegnanti portano a conoscenza di tutti le loro unità didattiche. La virtual school è suddivisa in dipartimenti (arte, matematica, lingue), penso al progetto molecool che mancava della componente italiana ed ora ha trovato una scuola di eccellenza italiana, l' Istituto Malignani di Udine.

Quali soluzioni esistono per mettere in comunicazione le scuole?
Ci sono ambiti come il Comenius space per mettere in comunicazione le scuole, una piazza telematica e un luogo di ricerca per parternariati tra scuole europee.
Le scuole dichiarano gli ambiti in cui stanno lavorando e così si possono incontrare su progetti comuni.
Si tratta di progetti tra scuole di diversi paesi, cioè la possibilità di effettuare parternariati con imprese, enti, scuole, università. Queste collaborazioni danno un valore aggiunto, da verificare ovviamente, attraverso azioni di monitoraggio.

Significativa è l'esperienza dei Cluster, di cosa si tratta?
I Cluster sono gruppi composti da soggetti diversi che collaborano a progetti europeo.Operano a un livello orizzontale, non gerarchico.
I Cluster rispettano il modello Comenius. Il finanziamento iniziale arriva da European Schoolnet.

Può fare qualche esempio?
Dopo Montecatini sono nati alcuni Cluster tra scuole italiane e straniere. L'Itc Vivante di Bari ha avviato un progetto relativo alla matematica con una scuola islandese e una belga.
Il liceo Alighieri di Spoleto insieme al Liceo Classico Mieli di Palermo e una scuola svedese realizza un cluster sui valori, sulla tolleranza e l'educazione alla legalità. Un progetto condiviso che parte dalle esperienze fatte dalla scuole sul territorio.
Il terzo cluster è un progetto relativo a programmi open source tra Iti Majorana di Grugliasco, gli Itis Einstein di Roma e Belluzzi di Bologna e una scuola finlandese.

Quali sono le principali difficoltà incontrate?
Per le scuole di eccellenza servono risorse aggiuntive proprio per premiare merito ed eccellenza. Non ci si può più basare sul volontariato. Le scuole devono avere mezzi per essere propositive sul territorio: tenere corsi, fare ricerca. E tutto questo ha un costo. Abbiamo invitato le direzioni regionali a reperire fondi per sostenere questi progetti. Appoggiarsi a progetti europei di natura analoga è molto importante. Minerva, ad esempio, rispetta tutte le caratteristiche dei progetti Enis, anche per quanto riguarda la possibilità di stabilire partnernariati con enti, privati e università sul territorio. Le esperienze Enis possono rientrare nei progetti Minerva che consentono di ottenere maggiori finanziamenti
Tuttavia è importante anche attingere fondi dal territorio.

E se ciò non dovesse avvenire?
Se si deve premiare la qualità bisogna concentrare le risorse dove queste servono realmente. Ci muoviamo perché la scuola funzioni, altrimenti rischiamo di creare non reti di sviluppo, ma reti di sottosviluppo, semplici elenchi di link.

E cosa servirebbe invece per promuovere l'esperienza?
Un travaso di informazioni e conoscenze verso il territorio e le altre scuole. Centri servizi che si aprono al territorio per condividere esperienze. Altrimenti si tratta solo di punte isolate che per di più si sobbarcano carichi di lavoro senza un ritorno economico adeguato. Anche perché per alcune professionalità legate all'innovazione il mercato strappa alla scuola il personale più qualificato, premiandoli in termini remunerativi.

Sulla base dell'esperienza delle scuole Enis possiamo fare il punto sull'informatizzazione della scuola?
L'obiettivo è quello di avere un punto rete in ogni classe. E poi un PC su ogni banco, per arrivare alla scuola senza fili con il computer nella cartella. L'Ebook potrebbe sostituire in parte il libro.
Certamente la presenza del PC in classe è importante per affrontare in modo diverso la didattica, per stimolare la ricerca da parte dell'insegnante, oltre il modello della lezione frontale. C'è la possibilità di accesso a fonti di conoscenza. Insegnare diventa quindi sinonimo di cercare, insieme alla classe, sapendosi anche mettersi in discussione.

E a livello d'istituto?
E con l'intranet d'istituto c'è la possibilità di condividere documenti nella scuola e diffondere il sapere, e questa è anche un'occasione di democrazia. Si possono sviluppare modalità di fruizione individuale e per gruppi, con la possibilità di accedere direttamente a spazi di autoapprendimento.
Ma non c'è solo questo!

A cosa si riferisce?
Dobbiamo potenziare le biblioteche, intese come centri di apprendimento, sul modello dei Centres de documentation francesi. Qui, ancor più che in classe, è possibile creare spazi di apprendimento con libri, strumenti multimediali e audiovisivi. Spazi collettivi di apertura al territorio. Per coltivare interessi come la musica classica ad esempio, qualcosa che comunica speranza di vita. La cultura è un piacere, qualcosa di bello e divertente. La scuola non deve comunicare noia!
La lingua però è un ostacolo nei progetti con l'estero'
Abbiamo due emergenze da affrontare: far avanzare il processo di alfabetizzazione tecnologica e il problema della lingua. Nelle scuole però abbiamo una grande risorsa interna, troppo spesso sottovalutata: i docenti di lingue. Perché non attivare corsi che li vedano coinvolti in prima persona? E dove non si insegna lingua straniera la rete può diventare uno strumento utilissimo per l'aggiornamento professionale e la condivisione dei saperi.

Si può attingere a fondi europei per supportare questo sforzo?
C'è poi un'azione comunitaria nell'ambito del Comenius che permette alle scuole di avvalersi di madrelingua per tutta una serie di attività di progettazione legate al programma europeo.
Si potrebbe ipotizzare un utilizzo di queste persone anche per insegnare le lingue straniere!
C'è il problema dei fondi, ma è anche vero che per questo scopo si potrebbe attingere ai finanziamenti del progetto ministeriale lingua 2000 e al programma comunitario lingua nell'ambito del Socrates.


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