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Vogliamo una scuola che sia luogo di vita-intervista a Jorge Torre, coordinatore provinciale dell'Unione degli Studenti di Milano

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18/03/2002
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Vogliamo una scuola che sia luogo di vita
intervista a Jorge Torre, coordinatore provinciale dell'Unione degli Studenti di Milano

Iniziamo, con questa intervista a Jorge Torre, una serie di incontri con gli studenti, per scoprire come la pensa - su riforma, diritto allo studio, vita in classe, rapporti con gli insegnanti, maturità - l'altra metà dell'universo scuola.

Tu sei un rappresentante dell'Unione degli Studenti, ci spieghi cos'è l'Uds?

L'unione degli studenti vuole essere il sindacato degli studenti, cioè un'associazione che parte dai diritti, dalle necessità degli studenti per poi portare avanti una serie di rivendicazioni. È un'organizzazione a livello nazionale, sorta nel 1994, che ha raccolto più gruppi indipendenti. Siamo presenti in tutte le città italiane, almeno in tutti i capoluoghi di provincia. Abbiamo ottenuto grandi risultati, come lo Statuto degli studenti e delle studentesse, statuto che va certamente ampliato, ma che è un buon punto di partenza. Adesso, stiamo lavorando alla stesura di una legge sul diritto allo studio.

Come vi ponete nei confronti di questa riforma?

La riforma Moratti fa appello a un'idea di scuola completamente diversa dalla nostra. Per noi la scuola deve essere un luogo di vita, un luogo di partecipazione degli studenti, un luogo dove si deve dare agli studenti una cultura che formi la coscienza critica necessaria ad affrontare il mondo, a viverlo consapevolmente. L'idea di scuola che passa attraverso questa riforma è quella di un'azienda, in cui lo studente è un cliente. Non si pone il fine di valorizzare le attitudini o gli interessi dei singoli studenti. La suddivisione in due canali, con una scelta così precoce, fa sì che la scelta tra istituto professionale e liceo sia più della famiglia che non dell'individuo. I fattori che la condizioneranno sono dunque il reddito e le condizioni sociali della famiglia. Quello che ci vuole è una legge vera, nazionale, sul diritto alla studio, il cui fondamentale scopo sia aiutare le famiglie, e soprattutto quelle che vorrebbero far entrare subito i figli nel mondo del lavoro perché portino a casa la pagnotta. La legge nazionale sul diritto alla studio dovrebbe riportare a scuola questi ragazzi, inserirli in un processo di formazione. Nella riforma, poi, non vengono indicati criteri o regole in base ai quale organizzare l'alternanza all'interno delle scuole professionali tra studio e lavoro. Non ci sono garanzie. È scuola o è lavoro?

La Moratti ha costantemente parlato della necessità di coinvolgere tutto il mondo della scuola, quindi anche gli studenti, per realizzare una riforma che avesse un ampio consenso.

Noi abbiamo criticato anche il modo in cui la riforma è stata portata avanti. Si parlava di una riforma fatta da genitori, insegnanti e studenti, con il più ampio consenso possibile quindi, ma quando si sono accorti che il consenso non c'era hanno fatto uno show televisivo: gli Stati Generali. Di fatto, hanno lasciato intervenire solo coloro che erano favorevoli alla riforma, mentre sono state totalmente snobbate le migliaia di studenti che erano lì fuori a protestare, così come le manifestazioni dei mesi precedenti. Per finire, si sono poi rifugiati dietro la legge delega, negando quindi anche la discussione e il confronto all'interno del parlamento. Quando è venuto qui a Milano, il ministro ha detto ancora una volta di voler incontrare gli studenti, ma ovviamente solo quelli d'accordo con la riforma. Il problema è che questa è la loro idea di studenti: clienti che non possono intervenire in quello che si fa a scuola. Basta pensare alla riforma degli organi collegiali che doveva arrivare in parlamento oggi (11 marzo 2002): il consiglio di istituto viene trasformato in un consiglio di amministrazione e degli 11 membri solo 2 sono studenti. Come dire che non contano nulla.

Della riforma gli studenti se ne occupano e se ne preoccupano oppure soltanto coloro che già fanno parte di associazioni e movimenti organizzati ne discutono?

In questo ultimo periodo abbiamo fatto circa 60 assemblee in giro per le scuole, chiamati dagli studenti che vogliono sapere cosa sta succedendo. Ovviamente, essendo una riforma complessiva, di tutto l'impianto della scuola è sentito come una cosa un po' distante. Però ci sono molte cose, delle ricadute concrete, diciamo, dei principi generali della riforma nella vita quotidiana degli studenti che già cominciano a preoccupare: l'esame di stato e la riforma della commissione, il rischio del 7 in condotta. C'è una grande paura delle ingiustizie. In molti casi, non si capisce neanche dove sta la riforma. A cosa serve?, si chiedono gli studenti.

C'è solidarietà tra insegnanti e studenti?

Noi abbiamo creato in molte scuole dei comitati contro la riforma Moratti con insegnanti della CGIL scuola e con il CIDI. Gli insegnanti adesso sono in agitazione più per questioni di tagli all'organico. Noi abbiamo una prospettiva più ampia, su tutta la riforma. Avere dei tagli sull'organico però significa sovraffollamento delle classi: in media in Lombardia ci sarebbero anche classi con 32 studenti. È un attacco alla qualità dell'insegnamento.

Parliamo del buono-scuola in Lombardia, pensate che sia uno strumento valido per garantire il diritto allo studio?

Il buono-scuola viene venduto come strumento che garantisce il diritto allo studio, mentre non è così. Difendere il diritto allo studio significa consentire a tutti di andare a scuola. Una legge sul diritto allo studio nazionale o regionale dovrebbe usare la maggior parte delle sue risorse per consentire a chi non può permetterselo di continuare a studiare. Formigoni ha deciso di aiutare chi non ne ha bisogno. Una franchigia di 400.000 lire esclude di fatto tutti coloro che scelgono la scuola pubblica. Le tasse d'iscrizione ammontavano a 29.300 lire, i contributi non arriveranno mai a superare le 300.000 lire e quindi i buono-scuola sono riservati a chi sceglie di frequentare una scuola privata. Abbiamo sperato che quest'anno Formigoni cambiasse i parametri per ottenere il buono scuola, che rivedesse le modalità, che per esempio si tenesse conto anche del patrimonio, oltre al reddito...

Nelle interviste che abbiamo fatto, a docenti universitari, ma anche insegnanti delle medie superiori e inferiori, spesso è venuto fuori il problema dell'incomunicabilità tra la scuola come istituto e gli studenti, i giovani. È un problema che esiste?

C'è sicuramente bisogno di rivedere i programmi, il metodo d'insegnamento, l'impianto della scuola. C'è un motivo per cui gli studenti tendono a imparare di più all'esterno: la scuola ha un'impostazione autoritaria, unilaterale. Il docente insegna, lo studente impara. Non è più così, perché con le nuove tecnologie, i film, tutti i canali d'informazione che abbiamo all'esterno, ci sono cose che gli studenti conoscono meno dei docenti stessi. Lo studente non si sente motivato ad imparare. A me è capitato di insegnare cose d'informatica alla mia professoressa d'informatica e questo mi porta a dire: "Io me ne frego di quello che mi insegna lei, me lo faccio per i fatti miei a casa o dove credo e basta". Nel momento in cui si riesce a rompere questo rapporto unilaterale - un tentativo s'era fatto con l'autonomia - e si dà più spazio agli interessi o ai tempi dello studente, che può alzarsi e chiedere "possiamo approfondire quest'aspetto prof?" si crea un dialogo diverso anche più costruttivo e funzionale. Reintrodurre il 7 in condotta, ristabilire una modalità unilaterale di rapporto, non fa che incancrenire questa situazione. Ci sono poi forme di cultura che sono estranee alla scuola e sono quelle che noi rivendichiamo anche nella nostra legge sul diritto allo studio: libri, cd, cinema, teatro. Fonti di cultura e di sapere la cui acquisizione deve essere agevolata, anche questo rientra nella nostra concezione di diritto allo studio.

Quindi l'alternativa per te potrebbe essere rappresentata dall'autonomia?

L'autonomia didattica ti dà la possibilità di interrompere il programma per analizzare meglio alcuni aspetti: sono piccoli spazi di scelta, di libertà all'interno della scuola, che gli studenti pian pianino cercano di prendersi. Anche nelle autogestioni c'è il tentativo di liberarsi di questi rapporti, di invitare relatori esterni a parlare di altre materie, l'improvvisarsi e inventarsi le materia. Sono sperimentazioni valide che dimostrano la voglia che c'è di rompere questa rigidità di rapporto, questa unilateralità.

Gli insegnanti come si pongono di fronte a queste esigenze di liberalizzazione?

Purtroppo la filosofia di molti di loro è "io insegno, voi state zitti e imparate". Non si insegna più così. Molte cose potremmo insegnarle noi. C'è molta difficoltà da parte degli insegnanti, di qualunque parte politica, nel ripensare il proprio ruolo.

Quali sono i diritti fondamentali che riconoscete nello Statuto degli studenti e delle studentesse?

Sono dei diritti normali, che però prima del 1998, prima cioè che scrivessimo lo Statuto, non venivano riconosciuti: dal diritto di assemblea, al diritto di riunirsi con le proprie associazioni, dal diritto ad avere chiarimenti in caso di sospensione o sanzione disciplinare, diritto di fare ricorso anche ad un organo di garanzia provinciale nel momento in cui ci fossero delle violazioni. Sono diritti che venivano dati per scontati quando non lo erano affatto. Per esempio, l'articolo 4 dice che la condotta non può influire sul voto di merito. Ci sono voluti 3 anni di rivendicazioni. Noi rivendichiamo tutt'ora il diritto di sciopero. Ci viene risposto che non siamo lavoratori eppure a volte siamo penalizzati per aver partecipato a uno sciopero. È della settimana scorsa la notizia che 400 studenti sono stati esplusi perché avevano partecipato a troppe manifestazioni'

Probabilmente perché si pensa che gli studenti non abbiano granché da perdere e che vogliate solo stare a casa'

Certo che c'è chi sta a casa, come anche tra i lavoratori. Mi sembra che chi muove quest'obiezione lo faccia partendo dal principio che agli studenti andare a scuola non interessi, che non siano consapevoli della sua importanza. Certo, a volte è vero, e noi lavoriamo comunque perché passi un messaggio diverso. Ma bisogna comunque dare la possibilità a chi vuole davvero esprimere un dissenso la possibilità di farlo. È una garanzia nei confronti di chi va per esprimere idee magari divergenti da quelle dei professori. Ancora oggi, nei temi, ci sono professori che valutano quello che hai scritto, cioè le tue idee, e non come lo hai scritto. La libertà di pensiero e di espressione dello studente deve essere garantita comunque e non è così ovvio e scontato. Anzi, è una tutela che non abbiamo.