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Università, numero chiuso senza pace. E rispunta il modello francese

Il tema è rilevante, anche perché i corsi a numero chiuso (programmato a livello nazionale o locale) sono una realtà sempre più rilevante del nostro sistema universitario e riguardano ormai il 40% dei corsi

05/09/2018
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Il Sole 24 Ore

Francesca Barbieri

C'è chi li giudica troppo selettivi, addirittura ingiusti. Chi invece pensa che siano indispensabili per evitare di creare una nuova generazione di disoccupati. Chi, potendoselo permettere, aggira la barriera all’ingresso, seguendo la via dell’estero, dove non ci sono filtri o dove sono molto più blandi. Sul numero chiuso all’università, che ha dato poco superato la “maggiore età” - la legge che lo ha istituito è la n.264 del 2 agosto 1999 - le polemiche non sono mai mancate, soprattutto ad ogni cambio di Governo e quando si apre la stagione dei test.

Oggi, in occasione della prova di medicina e odontoiatria, con 67mila iscritti per poco più di 10mila posti (9.779 a medicina, 1.096 a odontoiatria) ci sono state proteste contro l’accesso a numero chiuso nelle sedi di esame di alcune università, come Firenze e Siena.

Protestano alcuni sindacati universitari: «La grave carenza del numero di
posti per l’accesso ai corsi di laurea in medicina e chirurgia è inaccettabile e va a ledere ulteriormente il diritto allo studio, già colpito da un test assolutamente iniquo» ha dichiarato Alessio Bottalico, Coordinatore di Link - Coordinamento universirario.

Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell’Udu, sottolinea che «il risultato è chiaro: considerando i soli numeri chiusi nazionali, il neodiciottenne numero chiuso vanta il risultato di oltre un milione di studenti sbattuti fuori dall’università». Sull’altro fronte la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo). Abolire i test di accesso ai corsi di laurea in medicina non avrebbe senso, perché già oggi molti laureati non trovano uno sbocco né formativo né lavorativo. Il presidente Filippo Anelli ha dichiarato ieri all’Ansa: «Sono dieci-quindicimila i giovani colleghi che, anche quest’anno, non riusciranno ad accedere né alle scuole di specializzazione né al corso per la medicina generale, andando ad ingrandire il cosiddetto limbo formativo: uno stop forzato, uno sperpero di vita e di risorse fatto di inoccupazione e sottoccupazione». 
A chiudere il cerchio il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti: «Quest’anno abbiamo aumentato i posti disponibili - ha twittato -. Continueremo a lavorare con gli atenei in questa direzione». Per quanto riguarda in particolare l’accesso programmato alle facoltà di medicina, a quanto si apprende dal Miur, si aprirà un ragionamento a breve con gli atenei.«Una prima risposta alla forte domanda di accesso ad alcune facoltà universitarie a numero chiuso come medicina può essere allargare la platea degli ammessi anche per rispondere al fabbisogno di medici - ha detto il presidente della Crui Gaetano Manfredi - . Da una prima valutazione si potrebbe aumentare del 50% il numero di posti, senza stravolgere il modello organizzativo. Si potrebbe dunque passare dagli attuali 10mila a 15mila in un paio d’anni, che servono per poter attrezzarsi e organizzarsi, mantenendo la qualità didattica e di infrastrutture».

«Garantire al maggior numero possibile di studenti l’accesso all’università è uno degli obiettivi di questo Governo, chiaramente scritto nel Contratto sul quale si fonda. Mantenere le facoltà a numero chiuso vuol dire penalizzare migliaia di studenti senza dare loro l’opportunità di impegnarsi e dimostrare quanto valgono nelle materie che hanno deciso di studiare» è quanto affermato in una nota dai componenti M5S della Commissione Cultura alla Camera.

La soluzione potrebbe passare dal modello francese. Un’idea non nuova visto che già nel 2015 era stata l'allora ministra dell’Istruzione Stefania Giannini a citarlo a proposito dei test di medicina. Che avrebbero dovuto essere rivisti appunto sulla base del modello francese:ammissione per tutti al primo anno e sbarramento ex post sulla base di esami e crediti. Quel progetto si è poi concluso con un nulla di fatto vista la difficoltà a trovare risorse sufficienti per metterlo in pratica.

Il tema è rilevante, anche perché i corsi a numero chiuso (programmato a livello nazionale o locale) sono una realtà sempre più rilevante del nostro sistema universitario e riguardano ormai il 40% dei corsi . Nell’anno accademico 2016/2017 lo “sbarramento” iniziale ha interessato circa 640mila studenti, di cui 415.179 per effetto della programmazione locale e 226.930 in virtù di quella nazionale. E con l’anno accademico nuovo assume dimensioni ancora più rilevanti visto che i corsi ad accesso programmato salgono dai 2.054 attuali ai 2.077 del 2018/2019, in base alle rilevazioni della guida università del Sole 24 Ore.