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Università La lotta della classe

Con le lezioni online si impara? Federico Condello e Maurizio Ferraris dialogano sul nuovo diritto allo studio

14/06/2020
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la Repubblica

Corrado Zunino

La didattica a distanza è entrata nella vita universitaria in modo pieno, strutturale. Al Covid dobbiamo anche questo: un’accelerazione e un allargamento di platea per le videolezioni – e i videoesami, le videolauree – d’ateneo, insieme alla conseguente rarefazione della vita in accademia. «L’università è incontro, scambio, idee da passare, ricerca». È una comunità, dicono rettori, docenti, studenti. Che cosa sta perdendo questa comunità ora lontana? Che cosa ha imparato? Che cosa teme e, soprattutto, dove può andare adesso che un nuovo strumento è entrato nella sua vita quotidiana? Ne abbiamo parlato con il professor Maurizio Ferraris, 64 anni, ordinario di Filosofia teoretica dell’Università di Torino e in dipartimento presidente del laboratorio di Ontologia, e con il professor Federico Condello, 47 anni, ordinario di Filologia classica all’Università di Bologna. Una doppia videointervista (appunto) su una piattaforma messa a disposizione dall’ateneo torinese.

Che cosa ne pensate dell’ingresso rapido e potente della Didattica a distanza in università? Alla Sapienza di Roma sostengono che, con le lezioni da remoto, sono cresciuti gli studenti presenti ai corsi.

Maurizio Ferraris: Non ho dati, ma a Torino è stato spesso espresso un gradimento sui corsi a distanza.

Federico Condello: Non credo che la retorica dell’inclusività sia fondata. Non sappiamo se la teledidattica raggiungerebbe davvero un bacino così ampio, è prematuro dirlo. Su oltre 1,7 milioni di studenti delle università pubbliche, gli iscritti agli atenei telematici sono il 5,4 per cento. E tutta l’università è ancora oggi, purtroppo, un’esperienza d’élite. In Italia i laureati sono il 19 per cento della popolazione quando la media Ocse, parliamo dei Paesi industrializzati, è del 37 per cento. Sull’efficacia potenziale della cosiddetta Dad, che ha sottospecie sconfinate, semplicemente mancano i dati. Per la fascia 6- 17 anni, Save the children ha offerto numeri agghiaccianti sulla mancata inclusività. Il divario digitale esiste, andrebbe specificato per realtà geografica, anagrafica, per classe sociale. Pretendiamo analisi serie prima di lanciarci speranzosi alla caccia del nuovo iscritto.

M. F: Non voglio passare per un laudatore della Didattica a distanza, un cantore del presente. Dico subito che l’università è un luogo fisico: se Gramsci fosse rimasto in Sardegna e non avesse visto Torino, tutte le sue riflessioni sulla città operaia sarebbero state diverse. È stato Mussolini a imporgli, con il carcere, la didattica in remoto, che nel 1926 era rappresentata dai libri. Non mi piace, però, la contrapposizione tra insegnamento a distanza e in presenza, come dire: preferisci un hamburger malcotto o andare al ristorante stellato? La risposta è banale. L’università tradizionale ha molto meriti e dovrà continuare ad esistere nei secoli, ma dobbiamo tenere presente che è cambiata e ancora cambierà. Ai tempi di Kant nelle facoltà, semplicemente, si leggevano libri scritti da altri. L’evoluzione dell’accademia è un fatto naturale e la crisi del Covid è stata un acceleratore di processi tecnologici in corso. Io direi che l’università di 40 anni fa, la mia, vissuta da studente, era d’élite.

F. C.: Tutti gli atenei italiani si sono vantati di essere arrivati per primi alle lezioni da remoto, ma oggi la curva dell’entusiasmo è in calo, e non per ragioni nobili: basta fare qualche conto per scoprire che la Dad inciderà, negativamente, sul Prodotto interno lordo del Paese. La desertificazione di 80 atenei pubblici per almeno sei mesi provocherà cambiamenti in diversi panorami economici. A Bologna l’indotto garantito dalla presenza di 45 mila studenti è pari a 3,5 milioni di euro al giorno. Amministrazioni comunali che attaccavano le movide universitarie, ora si stanno lanciando in elogi sperticati agli studenti.

Usciti dall’emergenza clinica, quale potrà essere, a settembre, un modo virtuoso per utilizzare la Didattica a distanza?

M. F.: Non è necessario che tutte le attività debbano essere in presenza, si può fare eccellente insegnamento universitario in remoto. Certi convegni, alcuni aspetti internazionali della ricerca. Ma perché devi andare a New York se puoi fare una conference call? Sì, la Dad può essere utile per le fasce alte dell’insegnamento.

E come sono gli insegnamenti dal vivo, oggi, nell’università italiana?

M. F.: Oggi, come ieri d’altro canto, all’interno dell’università italiana troviamo pessimi corsi in presenza. Ricordo negli Anni Cinquanta un illustre italianista di Torino: i suoi corsi consistevano nella lettura ad alta voce, con voce ispirata, dei manuali da lui scritti. Diversi atenei, inoltre, hanno pessime biblioteche. La lezione a distanza garantisce trasparenza sulla qualità. A Torino gli atenei sono la maggior fonte di reddito della metropoli, ma insistere sull’istruzione in aula perché altrimenti ci rimette la città è un cattivo argomento e non ha nulla a che fare con il buon livello dell’insegnamento. Fare interamente didattica in remoto è l’elargizione di un servizio inferiore, ma credo che, invece, l’introduzione di un sistema misto abbia delle virtù. Vent’anni fa i Moocs, progenitori di queste videolezioni e offerti dall’aristocratica Ivy League americana, avrebbero dovuto far scomparire le altre università, esattamente come i sofisti suggerivano di non andare più da Platone nel momento in cui si sarebbero potuti leggere i libri. Non è successa né l’una né l’altra cosa. Un sistema non scaccia il precedente, lo affianca. E l’università deve essere sì in presenza, ma anche con corsi in differita, come già accade con le biblioteche.

Qualche esempio di utilizzo calzante della Dad?

M. F.: L’introduzione basica alla filosofia, un corso per trecento persone pensato per chi arriva da altri corsi di laurea, si può fare in remoto. Se si dovrà osservare il distanziamento, nella stessa aula si potrà tenere un seminario, che ha numeri più contenuti. L’università ha problemi di spazio strutturali e un corso tenuto in un cinema non credo sia significativamente migliore di uno online. Tante cose si sono fatte classicamente a distanza: Schopenhauer si è laureato per corrispondenza mentre nell’altra stanza la madre ballava con Goethe. Non è vero che voglio buttare a mare secoli di tradizione, vorrei aggiungere qualcosa che il nostro tempo ci ha portato. Purtroppo, si è persino letto che chi accetta la Dad è paragonabile a chi giurò fedeltà al fascismo. Lo ha scritto un professore e non ha senso».

F. C.: Stiamo parlando oggi di un’esperienza che nasce negli Anni ’ 80 e ha avuto il suo boom da un decennio abbondante. Nulla di nuovo in sé, ma adesso osserviamo un mutamento molecolare della didattica universitaria decisamente avventato. Non è detto che tutti noi ci presteremo a questo cambiamento. Un’analisi su dodicimila studenti evidenzia elementi di favore su aspetti concreti: con la Didattica a distanza si ascolta meglio la lezione, si vedono meglio le slide, non si è costretti in aule pollaio, non c’è il brusio di sottofondo. Tutti questi problemi, tuttavia, andrebbero risolti in altro modo e temo che l’entusiasmo per il remoto sia un alibi per non affrontare seriamente il diritto allo studio.

Si spieghi.

F. C.: La Dad può essere tante cose e calarla nella realtà non è semplice. Innanzitutto, mi preoccupano le voci di spesa. Non basta una webcam con un trespolo e un paio di cuffie per fare buona didattica. Gli investimenti sui device, la formazione dei tecnici e dei docenti, la riorganizzazione dei corsi sono costi alti in ogni ateneo. Non possono bastare i 62 milioni messi a bilancio dal governo. Da cosa saranno distratti? Un altro pensiero è che, in prospettiva, un’erogazione maggioritaria di insegnamento a distanza porterà alla creazione di corsi di serie A, in presenza, per un’élite, e corsi di serie B. Inoltre, il remoto prevede un incremento di frontalità e nozionismo, causa cali d’attenzione, fatiche aggiuntive di studenti che invocano pause. I ragazzi chiedono volti a chi parla: " Prof, accenda la webcam", ti dicono. C’è bisogno di una relazione per insegnare. E poi ci sono ambiti di studio in cui le difficoltà crescono in maniera esponenziale, Fisica, Chimica, Biologia, non parliamo di Medicina. La teledidattica è una forma surrogata di preparazione che produrrà specialisti inferiori.

Professor Ferraris, ci indichi un suo modello di insegnamento da lontano.

M. F.: È vero che la Dad di massa è uno strumento nuovo ed è vero che dobbiamo imparare a usarlo, immaginare un nuovo linguaggio. Negli Anni Cinquanta la tv era una telecamera fissa che riprendeva uno spettacolo teatrale o di varietà. Per il mio corso di " Social ontology" io ho agito così: ho preso l’iphone, ho girato sequenze di dieci minuti, non più lunghe, le ho caricate con altri testi e per due giorni le ho offerte agli studenti. Al terzo ho organizzato una discussione in presenza. Costa fatica, sarebbe stato più comodo fare tutto in classe, ma in questo modo posso sfruttare al meglio la novità offerta dal nuovo strumento in una fase di emergenza. Da diversi decenni l’università conosce un cambiamento rapido in cui è entrata, necessariamente, la tecnologia. Anche nel campo della medicina le tecniche operatorie avanzate oggi vengono diffuse su Youtube. La Dad, che, per esempio, elimina i tempi morti, può liberare innovazione, regalare creazione là dove è necessario e distribuire insegnamento a tutti in modo permanente.

F. C.: Specifici accorgimenti, nuovi linguaggi. No, non credo che tutto questo si traduca in un reale arricchimento. Mi colpisce l’ingenuità di certi atenei che pensano di poter concorrere con privati e network che sugli insegnamenti da remoto hanno una potenza di fuoco imparagonabile. La ricchezza delle nostre università è un’altra. Non credo neppure che il podcast e la differita potenzieranno la didattica in presenza. Non sono applicabili ai seminari, ai laboratori, ai tirocini, agli esami scritti, nemmeno a molti orali. Un docente bravo, in un’aula reale, percepisce le reazioni, vede i volti, ascolta i silenzi e su questa base orienta la sua lezione. Oggi è sottratto da queste percezioni. Alla didattica universitaria non serve euforia puerile, piuttosto saggezza e concretezza. E una vigilanza critica enorme: rischiamo di buttare all’aria il nostro passato senza avere un futuro pronto.


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