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Università, fuga all'estero. Londra la più gettonata

Oltre 57 mila studenti iscritti negli atenei stranieri.Dieci anni fa erano diecimila in meno

28/08/2017
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Il Messaggero

ROMA Test d'ammissione alla facoltà scelta, inizio delle lezioni, esami. Finite le vacanze estive, il capitolo studi torna sotto i riflettori, a partire dalla scelta di corso e università. E sono in molti a preparare le valigie. Anzi, sempre di più. Cresce, infatti, il numero degli italiani che decidono di studiare all'estero, che sia per un periodo più o meno breve, partecipando a progetti europei, o per l'intero percorso accademico. Il perché è presto detto. Un'esperienza formativa in un altro Paese incide sul curriculum vitae, rendendo più semplice, statistiche alle mano, trovare un impiego. Secondo i dati AlmaLaurea, i laureati che abbiano partecipato all'Erasmus, il progetto di mobilità dell'Unione Europea, rispetto ai colleghi con i medesimi titoli, hanno il 12% di possibilità in più di trovare un impiego già un anno dopo il conseguimento della laurea. Un aumento di chance che i giovani non esitano a cogliere. 
LE STATISTICHENel 2006 era il 6% degli universitari italiani a partire con l'Erasmus o con altri progetti europei per concedersi un periodo di studio all'estero. A dieci anni di distanza, il dato è salito all'8%. E per l'anno accademico 2017/2018 è previsto un aumento di oltre il 40% dei giovani in partenza per università in altri Paesi. Perlopiù, per ovvi motivi, a sfruttare l'opportunità sono quanti seguono corsi di ambito linguistico, che rappresentano il 22,2% del totale. Ma in seconda posizione, con il 16,3% , sono futuri medici e odontoiatri. E a questo numero va aggiunto un ulteriore 1,9% di chi studia per professioni sanitarie. Non una sorpresa. Ai primi posti tra le figure più richieste all'estero compaiono proprio infermieri e medici. Sul podio degli studenti in viaggio pure aspiranti architetti, con il 12,5%, e avvocati, con il 10,1%. D'altronde, a spingere molti ad abbandonare il Paese è proprio la prospettiva del lavoro. Una recente indagine dell'istituto Giuseppe Toniolo sulla mobilità per studio e lavoro, condotta in collaborazione con l'Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo su un campione di mille giovani tra 18 e 32 anni, ha rivelato che il 70% degli intervistati ritiene che l'Italia offra decisamente meno opportunità lavorative degli altri Paesi e il 61,1% si è detto pronto a trasferirsi all'estero. Chi può dunque si mette in viaggio il prima possibile, per garantirsi una formazione ad hoc per il mercato di destinazione ma spendibile ovunque, Italia inclusa. Le mete cambiano a seconda delle ambizioni e soprattutto del tempo. Tra quanti aderiscono ai progetti europei vince la Spagna, con ben il 30,5% delle preferenze. Non è difficile immaginare le ragioni di questa scelta, influenzata pure dalle affinità di clima, cultura, lingua, senza dimenticare gli stereotipi sul divertimento. Seguono, ma ben distaccate, Francia, con il 12,8% e Germania, con l'11,6%. Il Regno Unito figura solo al quarto posto, con il 7%. Una percentuale interessante quest'ultima, specie se rapportata a quanti, invece, decidono di effettuare l'intero percorso formativo in un Paese straniero. 
I DATISecondo gli ultimi dati Unesco, sono quasi 57 mila - precisamente 56.712 - gli studenti italiani iscritti in atenei stranieri. Nel 2012, erano solo 47.998. Un importante balzo in avanti. E tra quanti decidono di lasciare l'Italia per studiare, la destinazione prediletta è proprio il Regno Unito, nelle cui università sono iscritti quasi diecimila connazionali. Al secondo posto, l'Austria, con poco più di ottomila casi. Poi la Francia, con quasi settemila. E ancora, Germania e Svizzera. La Spagna in questa graduatoria è al sesto posto, con poco più di 4700 preferenze. Insomma, le rotte di quanti scelgono di fare un'esperienza all'estero e quanti si trasferiscono per anni - e non sempre rientrano - sono ben diverse. Anche qui la motivazione è da ricercare nel mercato del lavoro. Il mese scorso, in Gran Bretagna si è registrato il 4,5% di disoccupazione, il livello più basso dal 1975. Non una promessa ma, secondo molti, una scommessa interessante.
Valeria Arnaldi