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Università e scuola, l'agenda del merito

di Giorgio Israel

20/12/2011
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Il Messaggero


COSA può fare il governo Monti in tema di politica dell’istruzione entro l’orizzonte di un anno e mezzo? In sintesi: chiudere i dossier aperti più urgenti e adottare sulle questioni più delicate una linea mediana e prudente. Tra i dossier aperti il primo della lista è lo sblocco della formazione dei nuovi insegnanti. Nonostante da tre anni sia pronto un nuovo regolamento per la formazione, tutto è fermo da allora.
È un’interruzione inconcepibile per un Paese avanzato, che riduce l’appello quotidiano «apriamo le porte ai giovani» a un insopportabile esercizio di retorica. Il pretesto principale per la paralisi è la richiesta di vincolare la formazione al reclutamento. Da questo punto di vista, va salutato con molto favore il proponimento espresso dal ministro Profumo di riavviare i concorsi per le scuole di ogni ordine e grado. Questa può essere la via per tagliare il nodo gordiano. Tanto più occorre evitare a tutti i costi che i ritardi del ministero blocchino il nuovo processo di formazione per un quarto anno, anche perché si rischierebbe di creare materia di contenzioso sui concorsi.
Un altro dossier importante è quello della riforma universitaria. È urgente avviare un meccanismo di reclutamento che fronteggi le massicce ondate di pensionamenti. La riforma universitaria, per diventare operativa, richiede molti decreti attuativi e, in particolare, la definizione dei criteri di valutazione per l’abilitazione scientifica nazionale. È noto che l’Anvur (Agenzia di valutazione dell’università e della ricerca) e il Cun (Consiglio universitario nazionale) hanno espresso in materia opinioni divergenti. In attesa di conoscere la scelta finale è opportuno ricordare che il principio ispiratore della riforma che più ha ottenuto consensi era ispirato a un’idea liberale.
Le valutazioni si fanno a valle e non a monte. In parole povere: le università assumano autonomamente nuovi docenti e poi si valuterà la bontà delle scelte fatte, premiando e penalizzando di conseguenza. Purtroppo si è fatta avanti la solita tendenza alla regolamentazione burocratica basata su una rete di norme stabilite a priori (e basate su rigidi e discutibili parametri bibliometrici) che trasformerebbero le commissioni in meri organi esecutivi, diciamo pure in passacarte. È da augurarsi che la versione finale del regolamento concorsuale ci riservi la gradita sorpresa di un approccio liberale e alieno da dirigismi.
La problematica della scuola è ancor più delicata e dovrebbe essere affrontata senza ideologismi. Le nuove Indicazioni nazionali per i licei furono ispirate al principio di fissare le conoscenze imprescindibili lasciando la massima libertà metodologica. È il modo di concepire correttamente l’autonomia: il principio opposto propugnato dal pedagogismo costruttivista è invece il disinteresse per i contenuti e l’imposizione di rigide prescrizioni metodologiche, ovvero un’altra forma di dirigismo dissonante con i principi di una società liberale. Sarebbe auspicabile che la revisione delle Indicazioni nazionali per il primo ciclo (elementari e medie) seguisse la stessa impostazione non ideologica. Preoccupano invece, e non poco, le nuove linee guida per gli istituti tecnici e professionali che hanno un ruolo strategico nel rapporto tra il mondo della scuola e il mondo della produzione. Difatti, esse sono state costruite pesantemente sulle idee postmarxiste di Edgar Morin circa la mente umana «ologrammatica» e «sistemica»; da cui la dissoluzione delle ripartizioni disciplinari, che ha prodotto l’idea di accorpare scienze della terra, biologia, chimica e fisica nelle cosiddette «scienze integrate». Non è qui la sede per discutere le perplessità che in tanti abbiamo circa questa impostazione. Ma va detto che la scuola non può essere il continuo terreno di sperimentazione di teorie pedagogiche ispirate a ideologie universali. Ciò può essere gratificante per lo sperimentatore ma il terreno di sperimentazione rischia di esserne segnato per lungo tempo, come è avvenuto per certe scelte avventate compiute nella scuola primaria.
Infine anche qui vi è il capitolo valutazione. È nota la tendenza a un ruolo crescente dell’Invalsi (Istituto per la valutazione del sistema dell’istruzione). Ma occorre intendersi: l’Invalsi può valutare il sistema nel complesso, essere usato per valutare gli insegnanti, e addirittura per valutare gli studenti, sostituendosi agli insegnanti. Sarebbe auspicabile che il ministro proceda con i piedi di piombo per il secondo aspetto e si astenga assolutamente dal terzo. L’idea che la prova di terza media in matematica venga sostituita da un test Invalsi è raccapricciante. Raccontava un insegnante di aver sentito dire da un editore: «Stiamo «invalsando» tutti i nostri libri» (voce del verbo «invalsare»…). Per favore, ministro Profumo, difenda la cultura, la scienza, l’italiano e il buon senso. Evitiamo di sostituire l’insegnamento con l’addestramento ai test («teaching to the test»), ascoltando le tante voci che si levano all’estero contro i pessimi esiti delle valutazioni automatiche. Evitiamo la solita commedia all’italiana di raccogliere i resti di quello che altrove viene scartato dopo averne sperimentato gli effetti dannosi.
 


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