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Unità-Vedi alla Voce Scuola Pubblica

Vedi alla Voce Scuola Pubblica Paolo Prodi Un punto di partenza efficace penso possa essere l'episodio che ci racconta Carlo Maria Cipolla nel suo magnifico libro sul declino dell'anal...

04/12/2004
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l'Unità

Vedi alla Voce Scuola Pubblica

Paolo Prodi

Un punto di partenza efficace penso possa essere l'episodio che ci racconta Carlo Maria Cipolla nel suo magnifico libro sul declino dell'analfabetismo nel mondo occidentale: nel 1338, la città di San Gimignano decise di assumere a spese pubbliche un insegnante perché, come è detto nella delibera del Consiglio, 'sine magistro qui doceat pueros stari non possit'.
Una società moderna che vive sulle botteghe, sul lavoro e sui commerci non può sopravivere senza un sistema d'istruzione adeguato per i propri figli. Nei secoli tra il medioevo e l'età moderna assistiamo ad una trasformazione che investe tutte le regioni dell'Occidente: da una società fondata sugli ordini (sacerdoti, guerrieri, contadini) non certo immobili come le caste indiane ma in cui l'ideale di vita era quello di aderire allo 'stato' di appartenenza come modello ricevuto per trasmissione orale di generazione in generazione passiamo ad una società sempre più mobile fondata sulla cultura scritta e l'apprendimento. Le istituzioni educative dell'Occidente moderno sono nate da questa sfida. Mentre nel medioevo feudale la povertà è un macigno che tiene l'uomo imprigionato, alla fine del Rinascimento il sistema d'istruzione è cresciuto per il moltiplicarsi delle istituzioni educative e costituisce già una scala per mezzo della quale anche il povero può ascendere, per la sua preparazione culturale e professionale, ai gradini più alti della società.
Si tratta di un sistema pubblico di istruzione, sottoposto naturalmente ai condizionamenti dei privilegi nobiliari e della ricchezza, ma che ha il punto di riferimento nella città e nella Chiesa e a poco a poco in apposite strutture create dai sovrani per l'istruzione pubblica.
Solo dopo le secolarizzazioni del Settecento, con la rivoluzione francese e soprattutto con i processi di costruzione degli Stati nazionali si arriva nell'Ottocento all'obbligatorietà dell'istruzione primaria elementare e alla costruzione di un sistema statale di istruzione a monopolio statale. Lo Stato ha teso ad ottenere il monopolio dell'istruzione in vista del progetto di plasmare il cittadino nei valori della nuova società liberale e democratica e nella nuova religione della patria. Contro questo monopolio lottano i difensori della scuola privata sulla base di motivazioni distinte anche se spesso concretamente intrecciate tra di loro: la motivazione economica (la scuola come impresa redditizia, riorganizzata come servizio a pagamento per i ceti benestanti) o confessionale (per mettere al centro l'istruzione religiosa).
La scuola tradizionale, statale e privata, ha esercito egregiamente la sua funzione di formazione e selezione della classe dirigente e professionale e la raggiungeva con un sistema concorrenziale delle classi e dei voti messo a punto dal Rinascimento al XX secolo, potenziato e non abolito con la rivoluzione industriale. Questa funzione è stata anche alla base della crescita italiana e della promozione sociale per molto tempo: mio nonno era contadino, mio padre ha studiato e noi figli ci siamo affermati attraverso il conseguimento di traguardi scolastici e universitari. Questo è stato il grande processo di modernizzazione dell'Italia con grandi successi e grandi costi.
Ma ora questo mondo non esiste più. La crisi dello Stato-Nazione ha portato negli ultimi decenni anche alla fine del monopolio statale dell'istruzione e dell'educazione per le nuove tecnologie che non si fermano ai confini politici degli Stati, per il flusso enorme di informazioni e formazioni che raggiungono i giovani al di fuori delle strutture scolastiche. La selezione viene fatta al di fuori della scuola e il potere economico è in grado di deformare qualsiasi percorso educativo al di là dei meriti. Non si tratta soltanto di forme 'ingiuste' di selezione ma di una selezione spesso rovesciata, destinata ad aggravarsi se si persegue questa politica scolastica: fa un po' ridere pensare che le 'scuole', così come sono oggi, possano misurarsi con questi ostacoli: e proporre modelli di vita diversi da quelli che dominano la nostra quotidianità. Come si può ora dimostrare a un ragazzo che applicandosi nello studio può realizzare se stesso o semplicemente acquistare prestigio sociale?
Le discussioni sul finanziamento della scuola privata a cui assistiamo in Italia sembrano paurosamente vecchie, ancora mortificate dallo scontro confessionale tra laici e cattolici. In realtà il problema non è più quello della difesa dell'insegnamento statale da una parte e della difesa della libertà delle famiglie dall'altra. In questa nuova età della globalizzazione rischiamo di rimanere intrappolati nella prospettiva pericolosa di una contrapposizione tra una scuola statale secolarizzata, come contenitore sempre più omologante e privo di valori da trasmettere, e scuole private in cui si esprimono identità religiosi, culturali od e anche etniche, come mondi diversi non comunicanti fra di loro. Questo problema, già aperto da decenni, diventa ora drammatico nella misura in cui non si tratterebbe semplicemente di scuole private confessionali ma di scuole organizzate sulla base di religioni diverse, con grave pericolo di perdita del dialogo tra le identità collettive che è necessario per la sopravvivenza e la convivenza dei gruppi umani.
La soluzione a cui dobbiamo tendere se vogliamo guardare in avanti, scelta che può incontrare molte difficoltà ma che può anche aprire davanti a noi panorami nuovi e affascinanti è quella di una scuola non statale né privata ma pubblica in cui le diverse scelte formative e culturali possano convivere intorno ad alcuni punti fondanti - come la difesa dei diritti umani - e nella quale le diverse comunità identitarie possano portare i loro valori culturali e spirituali. Il pericolo, in caso contrario, è lo svuotamento sempre maggiore di una scuola statale priva di valori e il moltiplicarsi di scuole non più private in senso individualistico-libertario (perché questo oggi è letteralmente impossibile) ma come espressione di comunità culturali e religiose che tendono a difendere una propria identità separata. Si può pensare e sperare che anche la cristianità, sulla base del principio della doppia cittadinanza (del dualismo tra la sfera del potere e la sfera della coscienza che costituisce il nucleo dinamico inserito nella storia dal messaggio evangelico) sappia accettare questa nuova sfida e proporre nuove strutture educative come 'cosa pubblica', frutto di una dialettica in cui le diverse religioni e visioni del mondo possano non soltanto coesistere ma costituire l'anima in un nuovo umanesimo.
Mi sembra che il discorso possa forse ripartire da don Lorenzo Milani, troppo dimenticato: in questi giorni ricorre proprio il cinquantenario della fondazione della scuola pubblica, né statale né privata, di Barbiana. La sua intuizione - pur nella diversa situazione storica di allora impregnata dell'ideologia della lotta di classe - sembra ora rivelare un contenuto profetico in relazione alla situazione attuale della scuola e al dominio del consumismo a tutti i livelli sociali. Due cose ci preme almeno ricordare di quella esperienza anche se necessiterebbero ben altri approfondimenti.
Don Milani puntava sull'acquisizione del linguaggio, sia quello letterario ed artistico che quello matematico ed informatico ai massimi livelli possibili come partenza del riscatto dei ceti meno abbienti e più in generale dell'umanità. Su questo punto mi pare che non vi possano essere compromessi ed è su questo (non su altre linee) che si misura la differenza tra progressisti e conservatori, tra destra e sinistra. Necessità non della meritocrazia ma della riaffermazione della fatica dello studio e merito come base di ogni progetto scolastico per la massima espansione delle potenzialità dei giovani.
In secondo luogo non può esistere nella situazione attuale una difesa delle singole identità collettive basata sulla scuola come linea di difesa e come recinto; tanto meno una scuola per la difesa di un'identità nazionale o statale. Come diceva lo stesso don Milani solo coloro che 'sono rosi dal terrore che non si sia proprio vero ciò che insegnano' possono pensare di difendersi erigendo barriere protettive scolastiche: 'Ecco perché - egli scriveva in una sua bellissima lettera a Giorgio Pecorini - la mia scuola è assolutamente aconfessionale come quella di un liberalaccio miscredente'. Oggi possiamo aggiungere che se si finanziano le scuole cattoliche si devono poi finanziare le scuole islamiche ecc. Il problema è quello delle identità collettive, dei valori comuni che la scuola pubblica deve trasmettere. E che oggi possono consistere ed essere sviluppati soltanto nel confronto concreto sul territorio.
In conclusione se il problema si pone ancora in base al rapporto tra la scuola statale e quella privata siamo in un vicolo cieco. Anche il richiamo all'art.33 della Costituzione sembra datato, da qualsiasi parte esso venga evocato. Il problema è come progettare un sistema pubblico di istruzione integrato in cui siano chiaramente fissati gli scopi ed i traguardi, gli 'standards' che si vogliono raggiungere a livello di comunità nazionale, mentre la gestione sia lasciata il più possibile alle realtà locali nelle quali più facilmente possono esprimersi la pluralità e la ricchezza delle comunità presenti sul territorio. Trent'anni fa fu persa, a mio parere, una grande occasione quando il Parlamento e il governo rifiutarono il progetto dei distretti scolastici sul modello anglosassone, come vero autogoverno della scuola su base locale: si perse allora, nel 1974, con i cosiddetti 'decreti delegati', un occasione storica per non aver colto i tempi e per un certo conservatorismo sindacale che concepiva i problemi scolastici più come problemi degli addetti ai lavori che degli studenti e del paese. Spero che questo discorso possa essere ancora ripreso.
Non è mai troppo tardi, come si diceva una volta quando la scuola è stata per qualche tempo al centro dell'attenzione del paese e dei grandi mezzi di comunicazione. Forse.


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