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Unità--Tentazioni di regime-di Nicola Tranfaglia

Tentazioni di regime di Nicola Tranfaglia Mai nella Storia d'Italia, se non nei primi anni di quello che sarebbe diventato poi con Mussolini il regime fascista, era accaduto che un premier in cari...

31/01/2003
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l'Unità

Tentazioni di regime
di Nicola Tranfaglia

Mai nella Storia d'Italia, se non nei primi anni di quello che sarebbe diventato poi con Mussolini il regime fascista, era accaduto che un premier in carica definisse un atto politico e di aggressione personale una pronuncia delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, cioè del massimo organo giurisdizionale chiamato a decidere il punto di diritto, l'applicazione di una legge vigente nel nostro ordinamento. È accaduto ieri con le scomposte dichiarazioni di Berlusconi di fronte al rigetto da parte della suprema Corte delle istanze di remissione dei processi Sme e Imi-Sir dal Tribunale di Milano in base alla legge Cirami.
Il capo del governo, che fino ad ieri aveva dichiarato di avere "assoluta fiducia nella Cassazione, una fiducia che non è mai mancata" ha cambiato in poche ore radicalmente parere e ha condito di minacce verso i giudici, come verso l'opposizione di centrosinistra, dichiarazioni che realizzano senza alcun dubbio una grave interferenza del potere politico nei confronti di quello giudiziario avvalendosi della sua carica di capo della maggioranza parlamentare per annunciare la già ventilata divisione delle carriere e far trapelare una possibilità di elezioni anticipate come strumento non si sa bene se di superamento delle leggi vigenti o della Costituzione repubblicana.
Il ragionamento di Berlusconi riemerge regolarmente nei momenti cruciali: una concezione della democrazia in cui chi è eletto ha sempre ragione e nessuno può sanzionarlo o sottoporlo a giudizio.
Ma i maestri del pensiero liberale, ancor prima che di quello democratico, a cominciare da Alexis de Tocqueville, avvertono che quello indicato da Berlusconi non è proprio di uno stato liberale che fissa la supremazia delle leggi sul potere esecutivo e sui comportamenti di chi lo impersona. Liberalismo e democrazia concordano, da due secoli a questa parte, sul dato di fondo in base al quale indipendenza della magistratura e pluralismo dei mezzi di comunicazione sono presupposti fondamentali di ogni democrazia liberale. Guarda caso: sono i due terreni di attacco e di conquista dell'attuale capo del governo, gravato di un pesante conflitto di interessi.
La concezione a cui si richiamava ancora una volta Silvio Berlusconi di fronte alle sue personali disavventure giudiziarie, quelle stesse disavventure che lo spinsero nel '#8216;94 a scendere in campo, è proprio, invece, di un regime populista e plebiscitario in cui le leggi devono piegarsi di fronte agli eletti e in particolare al leader massimo che agisce sulla base di un mandato che sarebbe assoluto e incontrollato conferito a lui dalla maggioranza degli elettori.
Ma all'onorevole Berlusconi dobbiamo ricordare ancora una volta, e lo ha fatto ieri il segretario dei Democratici di sinistra, che la nostra Costituzione non prevede nulla di tutto ciò, ma, al contrario, è retta da un sistema parlamentare nel quale ai ministri come al presidente del Consiglio non è consentito né di godere di un trattamento privilegiato di fronte alle leggi né di tentare, con vari mezzi, di sottoporre i magistrati al dominio del potere esecutivo.
In sostanza ci troviamo di fronte a una forte drammatizzazione di due processi vicini alla conclusione del primo grado che riguardano direttamente il capo del Governo e il suo amico e sodale onorevole Previti. È chiaro che si tratta di casi particolarmente torbidi giacché le accuse a Berlusconi e a Previti sono di aver corrotto magistrati: si tratta di uno dei reati più gravi e infamanti per chi rappresenta o dovrebbe rappresentare gli interessi della collettività. Di qui la gravità della crisi innescata dalle ultime vicende giudiziarie e la tentazione evidente nel presidente del Consiglio, di atti di forza contro la Magistratura di fronte a una pretesa persecuzione e di fronte a un'opinione pubblica non limitata alla sola opposizione che lo critica per questa ragione.
C'è da augurarsi che l'onorevole Berlusconi se ne renda conto e non pensi, neppure per un momento, che in simili condizioni si possa instaurare un dialogo tra chi vuole ripristinare l'immunità parlamentare senza limiti e subordinare i giudici all'esecutivo e chi oggi ritiene fondamentale difendere lo spirito e la lettera della Costituzione e delle leggi.


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