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Unità-Problemi e speranze del riformismo

28.06.2003 Problemi e speranze del riformismo di Furio Colombo Un editoriale del nuovo direttore del Corriere della Sera (domenica 22 giugno) disegna una cauta strategia collaborazionista per ...

29/06/2003
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l'Unità

28.06.2003
Problemi e speranze del riformismo
di Furio Colombo

Un editoriale del nuovo direttore del Corriere della Sera (domenica 22 giugno) disegna una cauta strategia collaborazionista per l'opposizione. Lo scopo è indicare l'area di agibilità della politica tutta a ridosso delle mura del potere di Berlusconi, che devono diventare centro esclusivo di attrazione e di riferimento per i disturbatori accampati fuori dal potere e ansiosi di rientrarvi. Scorre sul fondo la maledizione medievale (recitata insieme, in un armonioso canto polifonico, dagli spalti del potere e da una parte del coro sotto le mura): "altrimenti resterete fuori altri vent'anni", con la recente variante berlusconiana: "resterete fuori finché campate".

Sarebbe un peccato, ci fa capire il direttore nel suo editoriale, con tutte le buone cose che si potrebbero fare insieme. Viene evocata la persuasione che sia molto conveniente, anzi decisamente consigliabile per una opposizione lavorare accanto al Governo. Non vi sono molti esempi di un simile comportamento nel mondo delle democrazie maggioritarie - salvo eventi epocali e disgrazie naturali cui è urgente concorrere per porre rimedio. Di solito le opposizioni preferiscono tracciare una loro netta linea politica alternativa, segnare con forza gli errori, gli svarioni, le omissioni di chi governa, coglierli in castagna quando credono di averla fatta franca, fare in modo che la diversità si veda da lontano. Tutto ciò è tanto più vero e necessario per una opposizione intenta a confrontarsi con un governo che ama agire al di fuori della legalità e non esita a manomettere - per gli interessi personali del premier - i fondamenti della Costituzione.

Qui ti dicono che stare vicini e lavorare insieme fa "forza di governo". Ti assicurano che "il fare insieme per il bene del Paese" (per esempio le grandi opere, realizzate dal ministro Lunardi con il concorso dell'impresa di famiglia, e di una vasta rete di consociate) colpisce favorevolmente chi in passato ti ha votato contro persuadendolo, chissà, a spostare il voto.

[CAP3]Ma ecco le nuove regole per una opposizione educata, così come vengono presentate dal nuovo Corriere della Sera: "È sempre più chiaro che la 'devoluzione' ha un senso se si riesce a legarla a un più solido impianto del Governo centrale, quindi al tessuto nazionale. In altri termini è il momento di pesare quanto vale la volontà di personaggi molto diversi, da Fini a D'Alema, che via via si sono espressi a favore del cosiddetto 'premierato'. Non con l'idea di puntellare la presidenza Berlusconi (non ce ne sarebbe bisogno) bensì di fissare un criterio istituzionale valido una volta per tutte. Il resto dell'Agenda non è da meno. È inimmaginabile, ad esempio, che possa tardare ancora una legge definitiva e convincente sul conflitto di interessi specie con lo scudo giudiziario del 'Lodo Maccanico' ormai in opera. Lo scudo non equivale a una assoluzione ma a un'opportunità.

L'opportunità di affrontare i temi finora accantonati. Tra essi - se si ha coraggio ed equilibrio - c'è la riforma dell'ordinamento giudiziario".

Ecco, finalmente ci siamo arrivati. Una crema antirughe viene spalmata sul volto di un governo profondamente lacerato da crisi, divisioni, contraddizioni, interessi personali e un pauroso senso di vuoto quanto all'interesse collettivo. Ci viene fatto credere che il governo Berlusconi non ha bisogno di essere puntellato. Se però ci uniamo al loro sforzo e lavoriamo insieme a costruire un nuovo "premierato", il popolo, che non attende altro, sarà grato a noi per avere dato a loro questo straordinario sostegno, a cui si unisce anche il certificato di garanzia dell'opposizione.

Soprattutto avremo finalmente meritato il diritto di dare una mano alla riforma dell'ordinamento giudiziario, punto chiave, e anzi, ossessione della Casa delle Libertà, che, come è noto, nutre qualche rancore verso i giudici e che - per riforma dell'ordinamento - intende (come spiega continuamente il ministro della Giustizia Castelli, uno che non nasconde nulla) mutilazione e umiliazione. Tutto chiaro? Non proprio. Perché qui i fili del collaborazionismo ("venite a dare una mano, conviene anche a voi") si intrecciano con quelli del riformismo. O almeno, del riformismo secondo la definizione di alcuni. Infatti alcune voci sostengono che o si collabora, nell'interesse nazionale (dunque non solo comune, ma superiore a entrambe le parti) o non si è riformisti.

Il collaborazionismo si realizza in due mosse. Primo, i problemi del Paese sono quelli che sono. C'è da ridefinire il ruolo del primo ministro per rendere più nitido ed efficace uno dei tre poteri. È un lavoro incompiuto. Che male c'è a unire forze e idee per disegnare un nuovo tipo di capo dell'esecutivo?

Secondo, i giudici. Basta, ammoniscono, con il giustizialismo (nel loro linguaggio vuol dire l'ostinazione di alcuni di noi a sostenere i giudici che stanno subendo gli attacchi furiosi di alcuni potenti imputati che sono anche al governo del Paese). È evidente a tutti - dicono - che vi sono gravi problemi nell'amministrazione della giustizia. Il fatto che governino loro non è una buona ragione per non lavorare insieme a risolvere problemi così gravi.

Queste ragioni, anche se qui descritte in modo tendenzioso, non sono né assurde né fuori dal mondo. Ma - questa è l'opinione del nostro giornale - sono cattiva strategia. E non sono particolarmente riformiste perché non smuovono in nulla l'esistente. E sono cattiva strategia perché non esiste il bipolarismo freddo. La parte esclusa dal governare e a cui è assegnato il ruolo di opposizione ha il compito essenziale di mantenere viva l'attenzione e intenso il coinvolgimento di quella parte dei cittadini che si affacciano alla finestra della politica solo per ragioni straordinarie.

Esempio. In California, in questi giorni, l'opposizione repubblicana si è intestardita ad avere la meglio sul governatore Gray Davis, democratico. Davis è uno che ama le politiche sociali e il welfare, ha una forte base nera e ispanica e conta sul disinteresse dei conservatori bianchi, che non vanno a votare. E allora la destra ha pensato di ripescare una legge vecchia di un secolo e mai usata: un governatore si può mandare a casa con un referendum, se un numero abbastanza alto di cittadini si dichiara danneggiato personalmente dal governatore. Non c'è quorum, nei referendum americani. L'espediente è adatto ad attrarre gli apatici di destra e a scompigliare il voto di massa della sinistra. La California infatti adesso è percorsa da una febbre politica che non conosceva da tempo. Se il compito dei repubblicani era di fare opposizione, la stanno certamente facendo. E dimostrano che, nel sistema che contrappone due vasti schieramenti - prendere o lasciare - non esiste opposizione gelida che muove, in buona armonia con l'altro, le pedine di un gioco concordato con l'arbitro.

È vero, qui diventa visibile un dato unico del paesaggio politico italiano, che, dalla Francia agli Stati Uniti, non esiste. Infatti, altrove, il presidente appartiene a una delle squadre. E in Spagna e in Inghilterra Re e Regina sono puro simbolo di unità nazionale e ornamento della vita pubblica.

In Italia c'è in campo la contrapposizione dei due grandi schieramenti di destra e di sinistra e in mezzo (o sopra) c'è un arbitro, il Presidente della Repubblica, costretto a muoversi in un carosello di strane regole. Lui non deve vedere noi (la finzione è che lui non abbia idee e che non distingua fra figli uguali). E noi non dobbiamo vedere lui. Anche se la situazione richiede interventi tempestivi, drammatici e - per la natura umana di ogni intervento - discutibili, noi non dobbiamo né notarli né commentarli. Come si vede, è una situazione unica e disumana. Chiede a tutti di non avere opinioni o di fingere di non averne.

A questa anomalia la destra risponde con libera e screanzata maleducazione, dalla Lega che si fa beffe di Ciampi, a Berlusconi che gli risponde che "è ridicolo chi invita ad abbassare i toni". Il centrosinistra pensa che sia necessario smettere di denunciare anche le leggi più vistosamente indecenti, più appassionatamente osteggiate, nell'istante in cui quelle leggi lasciano l'Aula della Camera e del Senato. La destra irride a quel silenzio e spiega: "Vedete? Non fanno neppure opposizione". La doccia fredda (per ogni legge indecente approvata dal Parlamento, si passa dalla tempesta al silenzio) disorienta i cittadini.

E qui si apre un bel rebus.
Si ritiene che sia improprio e offensivo far notare i problemi eventualmente creati dal presidente della Repubblica nel tentativo di rendere un po' meno dannose le leggi di Berlusconi e della destra. Ma il silenzio crea continui e imbarazzanti dissensi dei deputati e senatori della opposizione con se stessi: devono fingere di accettare, in base a un galateo difficilmente decifrabile dai cittadini, ciò che hanno poco prima definito inaccettabile. Oppure dovrebbero adattarsi a opporsi di meno e a collaborare di più per aumentare il grado di armonia con l'arbitro. Ma così facendo aumenterebbero in modo pericoloso la distanza dai cittadini, certo dal popolo dell'opposizione.

La nostra intenzione è di far notare due equivoci che attraversano la vita pubblica italiana. Il primo è che bisogna far finta che il capo dello Stato non esista politicamente, non intervenga mai, non ci sia mai sulla scena dei gravi fatti politici del Paese. Fiori, applausi e silenzio a noi non sembrano segni di rispetto per una persona con la vita, la dignità e il passato di Ciampi. Con i suoi interventi che sono parte della nostra vita politica, probabilmente ha evitato danni più gravi di quelli che conosciamo da parte dell'attuale governo alla Repubblica. Il silenzio davvero lo aiuta?

Il secondo equivoco è che niente in questo discorso - e nelle divergenze di strategia qui tratteggiate - ha a che fare con qualsiasi possibile definizione di riformismo. La strategia collaborazionista è una scelta. Quella della opposizione netta, di tipo anglosassone e di deciso distacco dalle cautele del sistema proporzionale è l'altra strada. Data la sua matrice storica è probabilmente la più riformista. Infatti l'opposizione intransigente tipica dei sistemi bipolari e lontanissima dalle cautele proporzionali, nasce in America e in Inghilterra. In quei Paesi si impara che radicalismo non è nemico ma componente del riformismo. Il moderatismo rischia di cancellarlo.


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