FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3776329
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità-Perché il premier non querela l'Economist?

Unità-Perché il premier non querela l'Economist?

10.05.2003 Perché il premier non querela l'Economist? di Furio Colombo Silvio Berlusconi si discosta spesso dalla verità. Questa non è una notizia, è una abitudine . Quando lo fa di più vuo...

11/05/2003
Decrease text size Increase text size
l'Unità

10.05.2003
Perché il premier non querela l'Economist?
di Furio Colombo

Silvio Berlusconi si discosta spesso dalla verità. Questa non è una notizia, è una abitudine . Quando lo fa di più vuol dire che si avvicina una udienza, una sentenza o una campagna elettorale. In questo momento Silvio Berlusconi mente con una intensità e una continuità frenetica. Mente su Prodi, Amato, fa inscenare "su commissione", ovvero, dai suoi uomini nelle commissioni della Camera e del Senato, storie romanzesche su Dini e Fassino. Va alla radio e inventa la sua storia sui giudici. Chi indaga su di lui, benché abbia cominciato a farlo quando fra lui e la politica non vi era alcun rapporto e si trattava solo di normale (ma grave) violazione delle leggi, commette criminalità giudiziaria e tenta di abbattere il governo. Dunque un "golpista". Va in televisione e giura sulla perdita delle sue povere aziende, a causa della persecuzione giudiziaria subita, lo stesso anno in cui il suo cestino di aziende registra un incremento senza precedenti del 45 punto qualche cosa per cento, lo stesso anno in cui tutto il resto dell'economia, e gran parte delle aziende di coloro che non governano, subiscono forti perdite. Perché il governo di Berlusconi porta bene a Mediaset, ma non all'Italia.

Silvio Berlusconi, fermo, tranquillo, scandisce a "Radio Anch'io" (7 maggio, ore 9): "Mai nessun uomo politico al mondo è stato perseguitato o anche solo giudicato come lo sono stato io. Mai, nessuno, in nessun Paese. Senza giudici legati al progetto giustizialista della sinistra di abbattere il governo eletto dal popolo con le sentenze, questo non potrebbe accadere".

Silvio Berlusconi, come si era detto, e come ormai sanno anche i suoi elettori, non ha il problema della verità. Per esempio nega che Richard Milhous Nixon, trentasettesimo presidente degli Stati Uniti, sia stato coinvolto in una gigantesca operazione giudiziaria in cui sono stati incriminati prima tutti i suoi assistenti e collaboratori più stretti, poi il suo intero ufficio legale, infine il suo ministro della Giustizia. Per giungere alla condanna più grave che possa colpire un presidente degli Stati Uniti in carica, lo "impeachment", che Nixon ha evitato con le dimissioni. Tutto ciò è accaduto negli anni 70.

Nega che Ronald Reagan a partire dall'autunno del 1986, sia stato oggetto di una lunghissima inchiesta, prima del Congresso e poi del "Procuratore speciale" appositamente nominato (e ahimè, come direbbe Berlusconi, non della sua parte politica). L'accusa erano strani affari (compresa vendita di armi) con l'Iran e il Nicaragua, che comportavano somme ingenti, clamorose violazioni della legge e anche della Costituzione. A uno a uno sono caduti nelle maglie dell'inchiesta tutte le persone che godevano della confidenza esclusiva del presidente. E di nuovo, come nel caso di Nixon, anche alcuni dei suoi avvocati.

Nega che Bill Clinton e la moglie Hillary siano stati investigati (bancarotta) da commissioni del Congresso con poteri giudiziari, da due diversi "Grand Jury" (una forma di procura speciale) per l'accusa di bancarotta, per molestie a Jennifer Jones, per rapporti impropri con Monica Lewinsky, per avere mentito (nel secondo Grand Jury) al primo.

Di tutto questo si sono fatti carico i presidenti delle varie commissioni d'inchiesta Congressuali (sempre del partito nemico, i repubblicani) e un procuratore speciale, certo Starr, di solida fede conservatrice e apertamente ostile a Clinton da molto prima di iniziare l'inchiesta. Si noti che, per il reato di bancarotta, i coimputati dei Clinton sono stati condannati e una di essi ha scontato tre anni di prigione. Il mondo è pieno di giudici, e benché questo sia un comprensibile incubo per Silvio Berlusconi, deve farsene una ragione e non pretendere di vivere sempre e solo nel "Silvio Berlusconi Show" di sua invenzione.

A volte, come sanno Nixon, (repubblicano) Reagan (repubblicano) e Clinton (democratico) i giudici si intestardiscono e mettono sotto inchiesta anche "le più alte cariche dello Stato". A volte condannano, senza far caso all'alta carica, ma tenendo d'occhio solo il reato. Meglio: più duri con il reato, per via dell'alta carica. A volte i presidenti in questione hanno dovuto ricorrere all'uso del "perdono", come è accaduto a Reagan. Se il suo consigliere per la sicurezza Nazionale, ammiraglio Poindexter, fosse stato processato, se il suo ex ministro della Difesa Caspar Weinberger fosse salito sul banco degli imputati, avrebbero dovuto chiamare in causa il presidente degli Stati Uniti. Per questo il successore di Reagan, George Bush padre, ha "perdonato" tutti. Ma, a quel punto, tutte le testimonianze e le prove erano diventate materia di inchieste e dibattiti televisivi per le quali nessun giornalista è mai stato punito. E un presidente immensamente popolare, Clinton, lo stesso che ha portato il suo Paese al più alto livello di benessere, è stato radiato dall'ordine degli avvocati - una delle conseguenze dei molti processi - e non potrà esercitare la professione ora che, giovane com'è, ha lasciato la Casa Bianca.

Tutto ciò non lo stiamo narrando per illustrare capitoli di storia americana. Ma per contribuire a scriverne uno, alquanto più grande e più grave, della storia contemporanea italiana. Gli eventi americani, solo alcuni nel mondo (potremmo ricominciare narrando eventi e processi a carico di primi ministri giapponesi, nessuno dei quali ha mai spaccato il proprio Paese o reagito con furenti vendette) servono non solo a confermare che Berlusconi si è alquanto scostato dalla verità nelle sue affermazioni ripetute che ormai gli italiani conoscono. Servono anche per ricordarci - e ricordare al premier italiano impegnato a costruire i muri di difesa e di intimidazione tipici di un regime - il grande protagonista, il testimone immancabile della libertà democratica: l'opinione pubblica.

È infatti l'attenzione e il rispetto per l'opinione pubblica che ha indotto Nixon a cedere, dopo una resistenza accanita, rappresentata da Oliver Stone in un celebre film. E ha indotto Reagan a rassegnarsi al "perdono", e ha fatto sì che Clinton abbia accettato, mentre era in carica, le inchieste, i processi e le censure. Clinton più volte ha provato a suggerire: non si potrebbero fare dopo, tutti questi processi? Se i suoi "procuratori speciali" hanno detto di no e hanno continuato, indagando, interrogando e mettendo "sotto giuramento" sia il presidente che sua moglie, è perché l'opinione pubblica - compresa quella di fede clintoniana - non sarebbe stata in favore di un trattamento speciale. E infatti Clinton, che non possiede Mediaset, ha accumulato parcelle legali per 70 milioni di dollari.

Ora l'opinione pubblica è proprio ciò di cui Silvio Berlusconi vuole liberarsi. Lo fa utilizzando tutto il personale alle sue dipendenze, che comprende un certo numero di deputati, di senatori (che sono anche suoi avvocati) e di giornalisti, che sono anche suoi dipendenti. Il caso è grave, anomalo, viene continuamente denunciato in Europa. Ha fatto dire al più autorevole settimanale d'Europa, The Economist di venerdì 8 maggio, "Silvio Berlusconi non può guidare l'Europa quando comincerà il semestre a guida italiana. Non ne ha la statura morale".

Berlusconi ha usato la guerra all'Iraq per dividere l'Europa, l'accusa di antiamericanismo per spingere indietro i suo avversari, le denunce e querele (lui che ha abbondanza di difensori e mezzi difensivi) per far tacere i cittadini come quel giovane Pietro Ricca che, nell'atrio del Tribunale di Milano, si è permesso di suggerirgli "si faccia processare".
E poiché una troupe del Tg3, che era presente, è riuscita a cogliere al volo il sibilo del presidente-poliziotto mentre ordinava: "identificate quell'uomo", anche il Tg3 è stato posto prontamente sotto inchiesta, anzi la più odiosa delle inchieste, quella detta "amministrativa" che vuol camuffare la repressione politica sotto l'affermazione "siamo venuti a vedere chi ruba". Notare che, dovunque nel mondo (il mondo dal quale Berlusconi riceve notizie sulla stima di cui gode, via Economist ma anche via Financial Times) quello del Tg3 che acciuffa al volo la scena (Berlusconi che si volta furente, e si sente la frase completa con cui il premier spinge le guardie ad agire) si chiama scoop.

Il fatto è che Berlusconi non fa niente per caso. Ha appena detto: "La libertà di stampa non è libertà di diffamare". In tal modo gli basta definire diffamazione qualunque atto di libertà. Perché la libertà è il vero nemico di uno che sa compiere con furore atti distruttivi, sa seminare accuse e vendette, sa persino come e dove scovare faccendieri sinistri da prima della Prima Repubblica (roba da Ovra, per intenderci) e mandarli in giro a diffondere messaggi cifrati e nomi in codice come forma di avvertimento all'opposizione.

Ma non sa governare. E per lui sarebbe un bel guaio se si allentasse il giro dei dipendenti e degli opportunisti e la gente cominciasse a rendersi conto di quel che è successo in Italia mentre lui, tra un processo e l'altro, era "il capo". Ora The Economist, con il tremendo articolo pubblicato contro di lui (e purtroppo, di conseguenza a danno dell'Italia) il giorno 8 maggio gli offre una grande occasione: querelare il giornale inglese, sperimentare una giustizia che non è composta delle nostre dilaganti toghe rosse (che, secondo il suo racconto, controllano ogni angolo dell'Italia e ogni grado di giurisdizione e ogni funzione della magistratura, visto che lui le ha provate tutte) e confrontarsi con una libera opinione pubblica che non è dominata dal suo impero editoriale e televisivo, dai suoi ben piazzati dipendenti e dai suoi avvocati-deputati-presidenti di commissione Camera e Senato.

Perché non sottoporsi al libero giudizio di una bella giustizia anglosassone, con carriere separate e libera opinione pubblica?


La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33

I più letti

Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL