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Unità on line-Il castello di carta

castello di carta da l'Unità del 20/12/2001 di Piero Sansonetti Letizia Moratti è rimasta isolata, parecchi dei suoi l'hanno tradita o si apprestano a farlo, e la sfida degli "stati gener...

21/12/2001
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l'Unità

castello di carta

da l'Unità del 20/12/2001

di Piero Sansonetti
Letizia Moratti è rimasta isolata, parecchi dei suoi l'hanno tradita o si apprestano a farlo, e la sfida degli "stati generali della scuola", che dovevano servire a lanciarla come ministro dalle idee chiare e dai consensi ampi, si è trasformata in una sconfitta plateale. Un tonfo. Prima il rifiuto di Foligno di ospitare la kermesse, poi il drammatico insuccesso di ieri.
Il palazzo dei Congressi di Roma, che ospitava il convegno indetto dalla Ministra dell'Istruzione, sembrava quasi sospeso nell'aria, irreale, scherzoso, lontano mille e mille miglia dalla vera scuola italiana e dai suoi problemi. Gli studenti - grandissima parte degli studenti - hanno rifiutato gli inviti (se ci sono stati davvero), e hanno preferito sfilare per le vie di diverse città italiane, a migliaia, contro la ministra e contro il governo. I pochi che hanno accettato l'invito ad andare all'Eur (in gran parte piccoli e fedeli adepti del berlusconismo) hanno finito per azzuffarsi tra loro e in serata e hanno deciso di abbandonare il convegno. Gli esperti non c'erano, professori pochi. Le personalità della cultura erano rappresentate da monsignor Maggiolini, da un giornalista di sport e da questo famoso Giuseppe Bertagna, professore, caporedattore di un quindicinale specialistico, sconosciuto a tutti fino all'altro ieri, che è l'estensore materiale del progetto di riforma che dovrebbe finire in Parlamento in odio a Berlinguer, a De Mauro e a tutto il 'culturame' di sinistra, come Berlusconi lo ha definito appena quindici giorni fa. Persino un uomo moderato e 'forzista' come il governatore del Piemonte, Enzo Ghigo, ha preso le distanze dalla riforma e ha fatto capire che quel che conta è solo il passaggio dei poteri, in materia di scuola, alle regioni.
Un fallimento. Il convegno, che la Moratti ha voluto chiamare 'Gli Stati Generali', con una discreta dose di presunzione e un gusto un po' naive, ha reso chiare due o tre cose. Intanto che la riforma scritta da questo Bertagna non ha il consenso di nessuno. Poi che lo stesso ministro, e presumibilmente i vertici di Forza Italia, visto il clima, non se la sentono di insistere troppo e pensano a cercare una via per uscire dal vicolo a retromarcia (questo si è intuito ascoltando il discorso prudente pronunciato ieri dalla ministra). Infine ha dimostrato che la destra italiana, oggi come oggi, non è in grado di aprire una discussione vera sulle grandi questioni nazionali (che non siano quelle che interessano direttamente il premier: giustizia, bilanci delle aziende, tasse sulle eredità per miliardari e cose del genere).
E' stato un fiasco persino dal punto di vista dello spettacolo. Evidentemente perché si è pensato che anche un convegno sulla scuola potesse essere organizzato come un grande vento televisivo, e che la forma, le luci fossero tutto: un palco elegante, un maxischermo, le sedie blu, uan gigantesca 'Giraffa' di acciaio, con un collo lungo trenta metri - bellissima - che serviva a guidare la telecamera principale in platea, alzandola e abbassandola con grande rapidità, molto meglio che al Costanzo Show. E gli oratori? Non ci ha pensato nessuno. Trent'anni fa per scrivere la piccola riforma della scuola media che poi fu approvata nel Natale del '#8216;63 (in un clima epico di battaglia, specie sull'insegnamento o no del latino), si misero intorno a un tavolo Amintore Fanfani, Guido Gonella, Ugo La Malfa, Cesare Luporini, Tristano Codignola e altri personaggi politici di quel calibro. Oggi? Questo professore - sicuramente bravissimo - di nome Bertagna, il figlio di Muccioli (quello della comunità di San Patrignano) e un allievo di Aldo Biscardi. Possibile che lo stato maggiore del centro-destra non abbia valutato in anticipo l'impossibilità di successo? La risposta, forse, c'è. Viene da destra. Vi ricordate quanti lamenti sul fatto che la cultura italiana - dalle università, alle accademie, ai simposi, alla ricerca scientifica, alla scrittura dei libri e dei libri di testo - è tutta di sinistra? I pianti sull'egemonia comunista? Forse non erano del tutto infondati. Solo che si sbagliava a individuare il colpevole. La colpa dell'egemonia della sinistra nella cultura non è della sinistra, è della destra che non ha mai saputo occuparsi di queste cose (non a caso oggi è guidata da un imprenditore che si è fatto un nome con le palazzine: non da un De Gasperi, o da un Don Sturzo). L'assenza pressoché totale di una cultura di destra, in Italia, sicuramente ha pesato nell'atteggiamento assunto da Berlusconi e dalla Moratti sul problema della riforma. A Berlusconi non interessa per niente l'aspetto culturale della scuola, che gli sfugge. Del resto l'ha detto esplicitamente: a lui interessa la lingua straniera, l'uso del computer e - soprattutto - la preparazione di quadri e manodopera buona per l'impresa. Tutto qui. E' questo il motivo per il quale si è scagliato contro la riforma della scuola di Berlinguer, ed è per questo che ha sognato una sua riforma che si può riassumere in due punti: rilancio della scuola privata e 'divisione' di quella pubblica. Gli esperti chiamano questa linea la linea della 'scuola duale', cioè divisa in due. Un pezzo, piccolo, per costruire la futura classe dirigente, e un pezzo, largo, per istruire la manodopera. E' l'idea che - in forme e modi molto più raffinati - era alla base della vecchia scuola, quella della prima metà del secolo. In gergo si chiamava 'scuola di classe'. Fu spazzata via alla fine degli anni sessanta, dagli studenti e da uomini come Don Milani (che ne sapeva più di Maggiolini...). Da allora le classi sociali hanno iniziato a mescolarsi, e l'istruzione pubblica a muovere passi seri verso l'unificazione del paese.