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Unità-Oggi Milano si riempie di pace

Oggi Milano si riempie di pace di Guglielmo Epifani Quando abbiamo pensato di tenere questa manifestazione a Milano sul tema dei diritti, nessuno di noi poteva immaginare che in questo inizio di ...

15/03/2003
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l'Unità

Oggi Milano si riempie di pace
di Guglielmo Epifani

Quando abbiamo pensato di tenere questa manifestazione a Milano sul tema dei diritti, nessuno di noi poteva immaginare che in questo inizio di primavera saremmo stati alla vigilia di una guerra.
La tensione etica e civile che i cittadini italiani, europei, del mondo avvertono in queste settimane dovrebbero convincere anche i più testardi che questa guerra non si deve fare. Che non libererà il mondo dal terrorismo. Che non libererà l'Iraq da Saddam Hussein, il dittatore che tutti ben conosciamo. Che il mondo non sarà più libero e giusto. Che a soffrire saranno i più deboli, gli inermi, le donne, i bambini. Spero che in queste ultime ore prima del voto del Consiglio di sicurezza dell'Onu possa prevalere il buon senso e l'opinione di chi è contro la guerra, per la pace.

L'Italia è nel cuore del Mediterraneo, è naturalmente il crocevia di culture, interessi, popoli, è una piattaforma logistica naturale di pace e di convivenza civile. Siamo stati in grado di rappresentare questo punto di incontro, proprio perché abbiamo fatto dello scambio con altre tradizioni, altre culture che si affacciano su questo straordinario mare, la nostra vocazione naturale. Per questo nel nostro Paese è forte e consolidata una alta e nobile tradizione di pacifismo. Anche per questo all'Italia non conviene questa guerra. Perché avrà risvolti e ripercussioni drammatiche in quest'area. Perché muterà l'ordine mondiale, fondato sul primato della forza. Perché si sancirebbe il principio che i mezzi (un'avventurosa guerra, magari con armi nucleari) sono più importanti dei fini (liberare l'Iraq da un regime dittatoriale). Mi colpisce il linguaggio bellicista di questi giorni: si parla di bombe atomiche, armi nucleari, piani di attacco e di battaglia con troppa leggerezza, come se parlassimo di soldatini di plastica, senza pensare alle vittime in carne ed ossa, alle vite spezzate. Occorrerebbe un senso di responsabilità più diffuso, anche in chi fa informazione, per non dimenticare mai che quando ci sono le guerre le persone muoiono, soffrono, le famiglie si disgregano, la povertà aumenta, la fame è possibile, non c'è lavoro. Non possono esserci diritti.

La Cgil è impegnata in queste settimane testardamente per la pace. Lavorando con gli altri sindacati europei (e non solo) perché la pressione democratica verso i governi possa evitare questo conflitto. La ferma di quindici minuti di ieri ha rappresentato una novità inedita: per la prima volta in tutta Europa, nello stesso momento, i lavoratori hanno incrociato le braccia per dire "no alla guerra". Discutendo e dialogando con i movimenti e le associazioni laiche e cattoliche impegnate a difendere la pace, nel rispetto dell'articolo 11 del nostro dettato costituzionale. Per questo domani, marceremo ad Assisi, un luogo simbolico di pace e di convivenza, a fianco della Cisl e della Tavola della Pace. Mettendo in atto le iniziative proprie di un sindacato perché nella legalità e nella nonviolenza, i lavoratori italiani non prestino un solo minuto del loro lavoro a sostegno della guerra.
In un mondo non di pace, non ci possono essere diritti per le persone, per gli uomini, le donne, i bambini, i giovani, gli anziani, i lavoratori e le lavoratrici. In questo nostro stare in campo per la pace, oltre al rifiuto etico e morale per una risoluzione dei conflitti fondata sulla violenza, c'è anche e soprattutto la preoccupazione per le conseguenze sociali ed economiche che ogni guerra porta con sé. Per questo, per noi, per la Cgil, pace e diritti sono due valori che camminano insieme.

Da oltre dieci anni la Cgil ha fatto del tema dei diritti il fondamento della propria identità, il fondamento delle proprie politiche rivendicative. I diritti sono la nostra bandiera e la nostra capacità di rappresentare e di mobilitare le persone, i propri iscritti e il Paese. Lo straordinario anno di mobilitazioni e di iniziative che abbiamo alle spalle lo dimostrano. E abbiamo fatto delle politiche di sviluppo, del modello produttivo, del modello di specializzazione e della lotta al declino del Paese l'altra grande battaglia sulla quale siamo impegnati: c'è qualcosa di più di un tratto di congiunzione fra il tema e le politiche dei diritti e la battaglia per evitare il declino del Paese. Per noi i diritti non solo i diritti che nascono dal rapporto di lavoro o di produzione; la grande forza che abbiamo sempre avuto è stata quella di riuscire a tenere insieme quella battaglia sui diritti tradizionali, che ci vede impegnati nei contratti, nella difesa dei diritti individuali dei lavoratori, in quelli collettivi, nelle tutele plurime, nel rispetto della dignità di chiunque abbia un rapporto di lavoro, con una battaglia più generale sui diritti di cittadinanza e sui diritti civili.

Non dobbiamo smarrire l'identità di un sindacato che fa dei diritti del lavoro il primo fondamento della propria azione, ma per evitare sempre e comunque - per oggi e per il futuro - che una battaglia per i diritti del lavoro venga contrapposta a una battaglia generale dei diritti di cittadinanza o dei diritti sociali. La nostra forza, il nostro prestigio, la nostra responsabilità si giocano in questa capacità: quali diritti difendere, quali diritti promuovere. D'altra parte come potremmo definire il diritto alla formazione o il diritto alla salute, o il diritto di eguaglianza dei lavoratori extracomunitari se non attraverso un terreno di identità comune tra i diritti che provengono ed emanano dal lavoro e i diritti che appartengono ad ogni persona? Come potremmo noi costruire un rapporto che parla ai giovani e agli anziani, agli inclusi e agli esclusi, che lega le generazioni, se non fossimo in condizione - giorno dopo giorno - di tenere assieme questa barra e questa strategia? Fra le molte teorie esistenti, io sono tra coloro che pensa che i diritti in realtà sono il frutto di costruzioni storiche che chiamano essenzialmente la responsabilità delle persone, delle istituzioni e dei sistemi politici e pubblici, e che per questo esiste una titolarità indiscutibile dei diritti universali. I diritti appartengono alle persone senza distinzione di territorio, di censo, di appartenenza etnica, comunitaria o religiosa, sono convinto che questo sia il portato più avanzato delle grandi battaglie democratiche che, nel corso dell'epoca moderna, si sono affermate. Se i diritti fanno capo alle persone, solo questo fonda la loro universalità e solo questo rappresenta la garanzia di eguaglianza di ognuno verso l'altro.

Abbiamo concluso con uno straordinario successo la campagna di raccolta delle firme per la difesa e l'estensione dei diritti dei lavoratori. Oltre cinquemilioni di firme peseranno nel dibattito parlamentare sulle riforme del mercato del lavoro. Ora dobbiamo avere la forza e la capacità di offrire a quei milioni di cittadini e di lavoratori una nuova frontiera di impegno e di partecipazione, perché la battaglia per la difesa e l'estensione dei diritti non è vinta. Noi staremo in campo con la straordinaria forza che la Cgil rappresenta, con la capacità di mobilitare le coscienze civili e democratiche del nostro Paese.


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