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Unità-GAsparri spegne la tv pubblica-di N.TRanfaglia

Gasparri spegne la Tv pubblica di Nicola Tranfaglia L'estate è favorevole ai colpi di mano. Fa caldo e le proteste collettive sono più difficili. La stampa quotidiana fa finta di non vedere. Le ...

12/07/2003
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l'Unità

Gasparri spegne la Tv pubblica
di Nicola Tranfaglia

L'estate è favorevole ai colpi di mano. Fa caldo e le proteste collettive sono più difficili. La stampa quotidiana fa finta di non vedere. Le rassegne stampa delle radio pubbliche e private, come delle televisioni, hanno stabilito di fatto che i due giornali più diffusi e autorevoli, malgrado l'evidenza delle cifre, sono il Foglio di Giuliano Ferrara e il Riformista di Antonio Polito, così da costruire un ridicolo pluralismo che taglia l'ala di sinistra e privilegia quella di destra. Le varie Autorità per le comunicazioni o per l'Antitrust tacciono in tutte le lingue ma, se la seconda interviene, non viene ascoltata. E poi dicono che chi eccepisce sulla libertà di espressione nel nostro Paese è un massimalista, un estremista.
Parlare perciò (come vorrei fare oggi) del disegno di legge Gasparri sull'assetto del sistema radiotelevisivo e di delega al governo per l'emanazione del codice della radiotelevisione significa infrangere un tabù tacito, ma non per questo meno forte e insistente, nel coro uniforme dei mezzi di comunicazione di massa.
Eppure tra pochi giorni, secondo l'annuncio del governo, il disegno di legge sarà approvato, il Senato procede a tappe forzate e la Camera attende che arrivi la formulazione definitiva da accogliere e approvare a sua volta.
Vale la pena ricordare che il provvedimento arriva in Parlamento dopo che il presidente della Repubblica aveva dedicato il suo primo e unico messaggio alle Camere all'esigenza di un effettivo pluralismo nell'informazione. Il Capo dello Stato indicò in quell'occasione alcuni obbiettivi essenziali al legislatore: attuare la centralità del servizio pubblico, come detta la Costituzione; attuare le quattro direttive europee in materia di comunicazioni elettroniche; attuazione del titolo V della Costituzione per quanto riguarda le competenze regionali; l'esigenza di una garanzia delle minoranze e dell'opposizione.
Il disegno di legge non risponde a nessuno di questi obbiettivi e si preoccupa, al contrario, di tutelare l'impero mediatico del capo del governo e di favorire un'ulteriore concentrazione dei media che non potrà che accentuare l'attuale sistema duopolistico Mediaset-Rai, assestando peraltro al servizio pubblico il colpo finale per sancirne l'inferiorità rispetto all'oligopolista privato di cui Berlusconi conserva, a tutti gli effetti, la proprietà e la scelta dei dirigenti che se ne occupano.
Si decide, a leggere il testo uscito dalla commissione del Senato che ha abolito gli emendamenti passati alla Camera nella precedente lettura, di privatizzare la Rai (come chiede anche la destra del centrosinistra, basta guardare gli articoli su il Riformista, su Panorama e sul Sole 24 ore del senatore diessino Franco De Benedetti) ma di mantenere i limiti di pubblicità e di canone ora esistenti in modo da avere uno strano animale che diventa un'azienda privatizzata e proprietà di un gran numero di azionisti (secondo il modello della "public company") ma nello stesso tempo non può competere ad armi pari con Mediaset. Dal 2005 la Rai, privatizzata, potrà essere smembrata e venduta a pezzi.
Nel frattempo la Rai dovrà, entro la fine del 2003, mettere a punto otto canali digitali, anche se non è chiaro con quali risorse finanziarie visto il tentativo, chiarissimo, da parte del Tesoro e del governo di azzoppare il concorrente della tv berlusconiana, destinata a diventare la numero uno del panorama italiano.
La seconda preoccupazione della legge, e lo ha sottolineato con grande chiarezza il senatore Falomi ricordando che la legge suscita perplessità dell'Udc e di altri membri della maggioranza (ma diventeranno qualcosa di concreto queste perplessità o ci troveremo di fronte al consueto chinare la testa di fronte al diktat di Berlusconi?) riguarda il proposito di fermare ad ogni costo nuovi concorrenti: il gruppo Telecom, secondo la legge, non potrà superare una presenza superiore alla metà di quella consentita a Mediaset.
Il risultato complessivo è chiaro: la Rai è messa in condizione di non poter competere ad armi pari, il gruppo Telecom per definizione non può insidiare il maggior concorrente, così passiamo dal duopolio più o meno collusivo a un monopolio benedetto dal governo e dalla maggioranza parlamentare.
Ancora, malgrado la pronuncia della Corte Costituzionale abbia stabilito con sentenza che non è consentito un regime transitorio e che deve essere fissato un termine definitivo e non eludibile in materia radiotelevisivo, la legge in discussione concede a Retequattro e a Telepiù nero una proroga dai confini indefiniti.
E non è finita. Mediaset vuole acquistare un proprio quotidiano, un'emittente radiofonica nazionale, controllare Tv locali? Non c'é problema: basta che si calcoli il 20 per cento delle risorse economiche che un unico soggetto può raccogliere non più all'interno di un solo comparto ma nel mondo più largo della produzione cinematografica, delle affissioni pubblicitarie, dei compact disc, dell'editoria libraria.
Così, per l'unico soggetto presente in tutti questi mercati e in condizione di non avere limiti pubblicitari o di altro genere, il venti per cento si allarga a dismisura e può raggiungere percentuali che nessuna legge antitrust in tutto l'Occidente consentirebbe.
Infine, a livello regionale, si consente che uno stesso soggetto possa detenere fino a tre concessioni e che due soli operatori possano controllare tutte le televisioni regionali. La legge del monopolio-duopolio domina, contro l'esigenza del pluralismo, tutti gli aspetti del sistema e, se ci fosse spazio, di citare altri aspetto del disegno di legge, se ne avrebbe la più chiara conferma.
Di qui si ricava in modo limpido l'affermazione che l'articolo 21 della Costituzione, il messaggio del Capo dello Stato del luglio 2002 alle Camere, l'articolo 11 della carta europea dei diritti e la sentenza n. 466/2002 della Corte Costituzionale sono apertamente violati dalla legge Gasparri in discussione al Senato.
Anche di fronte a tutto questo si potrà chiudere gli occhi e far finta di niente. Continuo a sperare di no.


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