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Unità-Dallo Stato Sociale allo Stato d'Ansia

Dallo Stato Sociale allo Stato d'Ansia di Livia Turco Sono tante le donne e gli uomini di questo nostro Paese che in questi giorni di vacanza sono rimasti a casa. E non solo per via del cattivo te...

14/08/2002
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l'Unità

Dallo Stato Sociale allo Stato d'Ansia
di Livia Turco

Sono tante le donne e gli uomini di questo nostro Paese che in questi giorni di vacanza sono rimasti a casa. E non solo per via del cattivo tempo ma del modesto salario. E sono tanti quelli e quelle che, pur nelle località marine e montane, pensano con preoccupazione a come far quadrare i conti nell'autunno che verrà, con i figli da mandare a scuola, l'affitto da pagare, gli anziani da curare.
Basta ascoltare ciò di cui parlano le persone su un autobus o un treno oppure al mercato, o in un ambulatorio della Asl per avere la consapevolezza che il problema di far quadrare i conti impegna un numero di famiglie e di persone che va molto oltre quelle conteggiate dai dati Istat sulla povertà. Tanto più ora che è anche aumentato il costo della vita ed è diminuito il potere d'acquisto dei salari, degli stipendi e delle pensioni.
Inoltre, per far fronte alle incombenze normali della vita quotidiana - come la crescita dei figli o la cura delle persone anziane - non bastano le risorse individuali e familiari ma è necessario il sostegno di qualificate politiche pubbliche nell'ambito della formazione, della salute e delle politiche sociali.
Il governo, invece, le sta drasticamente riducendo. Ma le incertezze rispetto alla quotidianità della vita non riguardano solo i lavoratori dipendenti, i pensionati, le persone che per varie ragioni si trovano ai margini della società.
Coinvolgono anche il ceto medio, come confermano i dati sulla minor propensione al consumo ed agli investimenti.
Dunque, i dati macroeconomici messi in risalto in questi giorni relativi al malessere della nostra economia - aumento del debito pubblico, crescita debole, diminuzione degli investimenti e dei consumi - cominciano ad avere un riscontro negativo nella vita di tante persone e famiglie.
Questi dati non sono affatto neutri e non sono solo la conseguenza di una congiuntura europea ed internazionale difficile, bensì sono il frutto di una politica economica e sociale che non sa tenere in ordine i conti pubblici, non sa sostenere la crescita economica attraverso l'innovazione e la valorizzazione del capitale umano, torna a praticare la separazione tra crescita economica e coesione sociale attraverso lo smantellamento dello Stato sociale e la riduzione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
Come possono inoltre, gli italiani, soprattutto quelli che vivono del proprio lavoro, non cadere nell'ansia e nell'incertezza quando sentono annunciare dai ministri del governo miracolistiche quante nebulose riforme, ad esempio, su temi cruciali come quello della sanità? Come può reagire una persona anziana che con una pensione considerata decorosa riesce a malapena a comprarsi i beni essenziali e le medicine quando sente parlare dai ministri del governo di tagli, di riforma del prontuario farmaceutico, o addirittura di mutue? Come non possono cadere nell'incertezza e nell'ansia i genitori che devono avviare i propri figli a scuola e non sanno quale situazione troveranno a fronte di cambiamenti annunciati e poi rinviati? E soprattutto in una scuola che può contare su una sola certezza: minori risorse e meno insegnanti a disposizione. Per non parlare dei diritti nel lavoro.
Eppure gli italiani sanno assumersi le loro responsabilità quando viene loro prospettato un futuro per il Paese. Basti ricordare la moderazione salariale che è stata un caposaldo della politica di concertazione durante i governi di centrosinistra. Essa aveva la sua premessa in un comportamento virtuoso delle istituzioni politiche e degli attori economici e sociali. E poté contare su contropartite certe e significative: riduzione del debito pubblico, incremento della crescita e l'aumento dell'occupazione, la difesa e anche l'ampliamento dei diritti.
Oggi, invece, quello che si era annunciato come il governo dei miracoli e del sorriso smagliante, del successo e della fortuna alla portata di tutti, sta seminando incertezza, ansia ed insicurezze. Perché non ha un progetto per l'Italia. Perché ha dimostrato di difendere gli interessi della sola parte più forte. Perché attraverso le sue proposte sul fisco, sulla previdenza, sul mercato del lavoro, sulla scuola, sulla sanità, sulle politiche sociali, opera una redistribuzione di risorse fortemente iniqua e riduce i diritti delle persone. Perché pratica la politica come comando, alterando in modo grave le fondamentali regole democratiche. Perché si fa portatore di un'etica pubblica in cui vince il più ricco, vince il clan, vince l'illegalità. È clamoroso, ad esempio, che di fronte alle indagini che riguardano un viceministro per circolazione di droga nel ministero che fu di Quintino Sella e di Carlo Azeglio Ciampi, nessuno di questo governo, che peraltro si è autoproclamato sceriffo nella lotta alle droghe, ha sentito la decenza di suggerire a quel viceministro che avrebbe dimostrato meglio la sua innocenza lasciando l'incarico di governo!
Il richiamo all'etica pubblica non è una fuga in avanti moralistica rispetto ai problemi del benessere e della sicurezza dei cittadini. Perché la qualità e il livello del benessere non è dato soltanto dal livello del reddito.
Come scrive l'economista e premio Nobel A. Sen, la povertà deve essere concepita come fallimento delle capacità della persona e come limitazione della sua esistenza. Ciò che conta è la possibilità di ciascuna persona di esprimere pienamente le sue capacità e dunque di tradurre le risorse e le opportunità a sua disposizione nella piena realizzazione dei suoi talenti e dunque delle sue libertà. Ciò richiede una proposta di sviluppo economico e sociale che punta sulla valorizzazione del capitale umano ed è consapevole che, tanto più nell'economia e nel mondo globale, i diritti essenziali della persona, quelli che attengono alla sua dignità, non sono un ostacolo alla crescita o un puro costo, ma al contrario sono il motore della crescita e dello sviluppo economico. E dunque, un sistema di welfare che pratichi i diritti come valorizzazione delle capacità delle persone è la componente essenziale dello sviluppo economico e sociale.
Ma questo richiede un'azione di governo che sappia indicare una meta condivisa per il Paese in cui ciascuno sia chiamato a dare il meglio di sé, veda riconosciuti i suoi diritti e si senta sollecitato nelle sue responsabilità.


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