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Unità-Da sinistra per salvare la scuola

28.11.2003 Da sinistra per salvare la scuola di Marina Boscaino Dopo l'inizio dell'anno scolastico - che aveva messo a tacere una serie di riflessioni, di perplessità, di analisi - il peric...

29/11/2003
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l'Unità

28.11.2003
Da sinistra per salvare la scuola
di Marina Boscaino

Dopo l'inizio dell'anno scolastico - che aveva messo a tacere una serie di riflessioni, di perplessità, di analisi - il pericoloso silenzio sulla scuola è stato interrotto da una fila di iniziative culminante nella grande manifestazione nazionale che oggi vedrà insieme Cgil, Cisl e Uil a Roma e che costituiscono l'ideale prosecuzione del grande sciopero del 24 ottobre. Studenti e lavoratori si daranno il cambio per le strade di Roma per dare vita ad una giornata interamente dedicata alla difesa della scuola pubblica. Era sembrato, durante l'estate, che l'attenzione del mondo politico, della società civile, del sistema di informazione fosse più vigile sulla situazione dell'istruzione pubblica. Ma poi la partecipazione di società civile e di mondo politico è andata scemando, forse perché la manovra di smantellamento della scuola pubblica - attuata con ostinazione dal governo Berlusconi - sta procedendo lentamente, a causa della più volte ribadita indisponibilità di fondi da dedicare all'operazione.

Quanto ingannevole e illusoria potrebbe essere questa quiete lo hanno compreso tutti i sindacati della scuola, che hanno organizzato durante l'ultima settimana diverse mobilitazioni.

La scuola pubblica italiana continua infatti ad essere penalizzata da un governo che - Finanziaria dopo Finanziaria - l'ha sottoposta a tagli sempre più radicali, assottigliandone la consistenza, indebolendone l'impianto, minandone l'integrità. Non bisogna dimenticare che la legge delega approvata il 28 marzo 2003 sulla riforma della scuola può attendere ancora per molti mesi l'approvazione dei decreti attuativi che le consentirebbero di entrare definitivamente in vigore. E non bisogna cullarsi nell'illusione che la lentezza con la quale si stia procedendo possa essere indicativa di un fallimento futuro. Non bisogna dimenticare, inoltre, che la riforma della scuola è stata uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Berlusconi nel 2001. Certo, sarebbe interessante confrontarsi con chi allora votò il Centro Destra. Sarebbe utile poter chiedere a quegli elettori se oggi sono realmente in grado di sostenere che la riforma del ministro Moratti costituisca un effettivo vantaggio per la scuola pubblica italiana. Chissà se quelle persone, messe di fronte ai problemi ulteriori che oggi ha la scuola rispetto al passato, potrebbero esprimere previsioni ottimistiche sul futuro dell'istruzione pubblica. Sarebbero 10 milioni le persone che ogni giorno, lavorando e studiando nelle scuole, mettono a rischio la propria incolumità. Oggi la situazione dei precari è sempre più drammatica e si ripercuote automaticamente sugli alunni, vittime di una discontinuità didattica determinata dall'avvicendarsi sulle cattedre di tanti non titolari quanti sono gli anni di corso, in classi sempre più affollate, con un monte ore in probabile diminuzione. Continuano nel 2004 i tagli agli organici già decisi nelle Finanziarie 2002 e 2003: altri 12.500 posti scompariranno dopo i 21.000 dei due anni precedenti. E l'esiguo numero di immissioni in ruolo previste per il prossimo anno non modifica questo quadro in modo decisivo. La riforma Moratti, poi, dietro un'asfissiante propaganda patinata (i cui costi incidono ulteriormente sull'irrisorio budget riservato alla scuola), propone un modello che suggella definitivamente le differenze di status sociale, allontanando la scuola da quelle prerogative di garante di pari opportunità per tutti i cittadini che la Costituzione per prima le ha affidato. In una differenziazione di percorsi che dall'accesso anticipato alla scuola materna prima, alla scuola elementare poi, sottolinea e amplia definitivamente il divario sociale attraverso l'abbassamento dell'obbligo scolastico e la divaricazione tra istruzione e formazione professionale. Che porteranno i nati bene a vivere anche meglio e i nati peggio a rimanere per sempre in una condizione di svantaggio. In un ambiguo gioco tra tempo pieno e doposcuola, infine, si sta progettando l'abolizione del tempo scuola pomeridiano, che dal 1970 ha accompagnato un ingresso consistente delle donne sul mercato del lavoro, conquista di civiltà e di miglioramento sociale. Per questi e per tanti alti motivi occorre non abbassare la guardia. Se la riforma Moratti e il modello di scuola del Centro Destra hanno un merito - ha osservato Ninel Donini, responsabile Ds del Dipartimento Scuola e Formazione delle Marche, partito e Regione che stanno organizzando una serie di iniziative sui problemi dell'istruzione - è quello di costringerci a guardare dentro la scuola e dentro noi stessi. A considerare quanto ognuno di noi ritenga ormai acquisiti per sempre alcuni principi definititi dalla nostra Costituzione, che sono il senso di un'idea di società solidale, giusta, disposta a combattere l'iniquità, a promuovere il miglioramento delle condizioni generali, pur nei limiti delle contraddizioni del mondo in cui viviamo. La situazione della scuola pubblica italiana è l'esempio di come questi principi potrebbero essere scavalcati da un sistema basato su presupposti completamente differenti, contro i quali è doveroso opporsi.

Nonostante isolate iniziative e lo stato d'allerta del mondo sindacale, da più parti si denuncia un vuoto di interventi, un silenzio imbarazzante: manca una proposta che si contrapponga alla riforma demolitrice della Moratti con un progetto che non sia la semplice opposizione ai tagli. Pensare a una riforma della scuola che non solo contrasti la riforma Moratti ma attui ed estenda pienamente i principi di uguaglianza e di pari opportunità che la scuola può offrire richiederebbe l'abbandono di quello che è uno dei capisaldi di un'impostazione neo-liberista della politica, che purtroppo è diventato senso comune persino nella Sinistra. Se si assume che il pareggio del bilancio dello Stato costituisce una caratteristica imprescindibile di un'economia sana ed in crescita, il pensare di trovare le ingenti risorse che servirebbero per la scuola diviene contraddittorio. L'unico modo che rimane è quello di sottrarre risorse ad altre voci della spesa pubblica e sociale, anch'esse tuttavia ridotte all'osso da undici anni di politiche di risanamento della finanza pubblica. Viene da chiedersi se non sia il caso di invertire la rotta. Che la Sinistra si interroghi sull'ipotesi di smettere di sostenere e difendere patti e principi imposti dalle destre e di cogliere, invece, l'occasione della crisi del Patto di Stabilità aperta da Francia e Germania per ripensare al quadro generale delle politiche europee; e magari portare la spesa per l'istruzione - e quella per gli investimenti pubblici - al di fuori della individuazione della spesa che determina l'eventuale disavanzo da contenere. Che Tremonti sostenga una posizione analoga non sembra essere un motivo sufficiente per chiudere la strada a posizione intimamente diverse e che hanno diversi fini politici e sociali. La battaglia per i principi è una battaglia a tutto campo. Non può essere fatta nascondendo le proprie contraddizioni dietro una pietosa foglia di fico.


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