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Unità.Bush La Politica Deraglia

Bush La Politica Deraglia di Nicola Tranfaglia Si fa fatica nel nostro Paese a capire quello che sta succedendo nel Medio Oriente con la guerra in Iraq e la rivolta dell'opinione pubblica e de...

03/04/2003
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Bush La Politica Deraglia
di Nicola Tranfaglia

Si fa fatica nel nostro Paese a capire quello che sta succedendo nel Medio Oriente con la guerra in Iraq e la rivolta dell'opinione pubblica e delle popolazioni del mondo arabo contro gli Stati Uniti di Bush e i loro alleati europei (tra i quali c'è in prima linea il presidente del Consiglio italiano Berlusconi, come viene sottolineato di continuo dalle lettere e telefonate del presidente americano) perché si parte dall'idea, del tutto infondata, che tutto è incominciato con il sanguinoso attentato terroristico dell'11 settembre 2001.
Così si interpreta l'attuale politica estera americana come una reazione emotiva, magari impulsiva, alle tremila vittime di quella giornata drammatica. Ma non è così e lo dimostrano i documenti ufficiali della Casa Bianca che nelle ultime settimane vengono diffusi e discussi dalle riviste specializzate in tutto il mondo. Stupisce che non ne tengano conto alcuno non solo gli osservatori legati organicamente alla maggioranza parlamentare ma anche alcuni editorialisti che presentano i propri interventi come "obbiettivi" e al di sopra o al di fuori delle parti.
Se si leggono due documenti datati rispettivamente 26 gennaio 1998 e settembre 2000, cioè tre anni e un anno esatto prima dell'attentato, come la lettera inviata al presidente Clinton da politici e intellettuali della destra repubblicana, a lungo collaboratori della National Revue, come Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, Richard Perle, Francis Fukuyama e autori, con molti altri, del Report of the Project for the New American Century, è possibile farsi un'idea più chiara e precisa delle idee che sono alla base della politica estera di Bush ed escludere subito che si tratti di una reazione emotiva all'attentato dell'11 settembre ma che risponda invece a una strategia di medio e lungo periodo che ha trovato nella tragedia l'occasione per convincere la popolazione americana ad attaccare l'Iraq di Saddam Hussein risparmiato nel '91 dal presidente Bush senior, padre dell'attuale. Nella lettera a Clinton di cinque anni fa si resta colpiti da una visione della politica estera americana che si ritrova identica nel corposo progetto del 2000: sottovalutazione piena della centralità della questione israelo-palestinese per gli equilibri del Medio Oriente, fastidio per le Nazioni Unite e per l'opposizione presente già allora all'interno dell'Onu all'attacco contro l'Iraq, timore delle armi di distruzione di massa di cui disporrebbe Saddam Hussein.
La lettera si conclude con un invito pressante al presidente democratico di agire e difendere gli interessi della sicurezza nazionale che significano ancora una volta la scelta dell'opzione militare. Ma è leggendo con attenzione il progetto per il nuovo secolo americano, esposto in settantasei pagine corredate di numeri e cifre sul bilancio americano per la difesa e sulle risorse da spendere in aggiunta a quelle già stanziate dalla presidenza Clinton, che ci si può fare un'idea più attendibile del progetto della destra radicale.
In sintesi, rispetto allo scenario della guerra fredda ormai vinta dagli Stati Uniti - sottolinea il documento - l'obbiettivo della strategia diventa quella non più di contenere l'Unione Sovietica ma di preservare la pax americana e di dedicarsi a importanti missioni militari che consistono nell'espandere le zone di pace e di presenza della democrazia, di impedire l'ascesa di nuove grandi potenze, di difendere le regioni chiave dal punto di vista delle risorse economiche o strategiche, di far fronte a più guerre contemporaneamente, di portare la propria attenzione strategica sull'Asia orientale piuttosto che sull'Europa come era avvenuto nel secolo precedente.
Fondamentale nell'ampio documento è la consapevolezza di un sistema di sicurezza divenuto ormai da bipolare unipolare e che si vuole mantenere ad ogni costo così.
Di qui deriva anche, con tutta evidenza, la volontà di scoraggiare l'ascesa di nuove grandi potenze che si identificano con la Cina e in parte con la Russia e con l'India. Ma è la Cina il rivale di cui la destra ha maggior timore e anche per questo diventa urgente agire sul teatro asiatico prima che il processo di industrializzazione giunga a un livello tale da dispiegare tutte le potenzialità di un Paese che conta già un miliardo e trecentomila abitanti, cioè sette volte circa gli abitanti degli Stati Uniti.
Gli strumenti fondamentali per raggiungere simili obbiettivi sono l'aumento delle spese militari (da un milione e quattrocentomila a un milione seicentomila dollari, tanto per cominciare) e la modernizzazione tecnologica delle forze armate statunitensi: è la concezione della guerra leggera di cui si stanno facendo le prove in Iraq e che hanno nel segretario alla Difesa Donald Ramsfeld da molti anni il maggior sostenitore. L'altro elemento da sottolineare è la consapevolezza di una pax americana che è caratterizzata da uno stato di guerra permanente su diversi teatri militari e il progetto di assumere il controllo delle regioni-chiave del mondo, in primo luogo nell'Asia orientale ricca di risorse energetiche, portandovi la democrazia.
Ma come si può attuare un simile progetto? Con la forza o con il consenso? La scelta appare, leggendo il documento, quella della forza: la democrazia in quei Paesi la si vuole portare sulla punta dei missili e delle bombe che piegano i regimi autoritari oggi dominanti in tutta l'area asiatica.
Qui l'errore è evidente: in un mondo sempre più globalizzato e attraversato da forti richieste di diritti e di miglioramento economico pensare di istituire sistemi politici sul modello delle democrazie occidentali dopo scontri sanguinosi e massicci bombardamenti come quelli portati in queste settimane contro l'Iraq non appare affatto realistico.
C'é piuttosto il rischio di incoraggiare il terrorismo antioccidentale, di rafforzare i regimi autoritari in quanto nazionali o nazionalisti, di mostrare al mondo arabo il volto del vecchio colonialismo occidentale che per molti secoli ha sfruttato e oppresso quelle popolazioni.
Ma il Rapporto sul nuovo secolo americano, oltre a dissolvere la leggenda di una politica che inizia con l'11 settembre 2001, pone all'Europa un compito urgente che è quello di convincere il governo americano che è necessario cambiare politica per evitare che, invece di una pace americana, si abbia una guerra continua e permanente e, sullo sfondo, addirittura un assurdo scontro tra l'Islam e l'Occidente.
Per farlo, l'Europa deve affrettare il cammino verso l'unità politica e la sua capacità di non essere subalterna verso la presidenza Bush.


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