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Unità-Assalto alla Costituzione

.09.2003 Assalto alla Costituzione di Agazio Loiero Dunque il Consiglio dei ministri ha dato via libera al testo di legge costituzionale sulle riforme. Quello, per intenderci, elaborato dai cosi...

17/09/2003
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l'Unità

.09.2003
Assalto alla Costituzione
di Agazio Loiero

Dunque il Consiglio dei ministri ha dato via libera al testo di legge costituzionale sulle riforme. Quello, per intenderci, elaborato dai cosiddetti quattro saggi in Cadore. Siccome l'accordo non era stato unanime nella Casa delle libertà, sono state apportate al testo alcune modifiche per bloccare i dissensi. A Storace, alla fine, è stata concessa la costituzionalizzazione di Roma capitale, avversata per lungo tempo da Bossi.

Al ministro Tremaglia che in agosto affermava testualmente "senza l'interesse nazionale si potrebbe anche rompere", è stato concesso che la Camera dei deputati sia composta da 400 deputati "più i deputati eletti dagli italiani all'estero". A Bossi, ovviamente, è stata graziosamente offerta la famosa devolution, insieme ai tempi d'approvazione (la fine del 2004) da sbandierare alla sua festa, il prossimo 20 settembre, con l'ampolla. Una vera ignominia. Si continua ad applicare alla nostra Carta una sorta di spoils system, per cui ogni partito si accaparra alcuni brandelli di riforma, deformando l'unitarietà della sua struttura.

Vediamo però in cosa consiste il nuovo progetto di legge.

Statuto dell'opposizione.

Si rafforza la figura del premier ma nulla è previsto in tema di garanzie per le minoranze. Ci si limita a rinviare ai regolamenti parlamentari. Pochissimo.
Ormai la stessa sensibilità dei costituzionalisti da tempo indica, quasi come contrappeso agli accresciuti poteri del premier, la necessità di definire in Costituzione i diritti delle opposizioni e i poteri del capo dell'opposizione, la possibilità per le minoranze parlamentari di ricorrere alla Corte costituzionale (come avviene ad esempio in Francia) in caso di presunta incostituzionalità di una legge, le inchieste parlamentari a richiesta delle minoranze (come è previsto da tempo in Germania), la possibilità di ricorrere alla Corte costituzionale in materia di controlli elettorali (come proposto dalla Commissione bicamerale D'Alema). Manca quindi lo statuto dell'opposizione. Ma per il resto va tutto bene? Per nulla.

Premierato.

Più che una proposta mi sembra il tentativo di costituzionalizzare quanto di fatto avvenuto nelle ultime elezioni politiche, vale a dire il collegamento nella scheda elettorale tra il candidato premier ed i singoli candidati alla Camera dei deputati, con tanto di pubblicazione del nome del candidato primo ministro. Seppur poco mascherata, si tratta della formula basata sull'elezione diretta del presidente del Consiglio, un modello sconosciuto nei Paesi occidentali ed abbandonato di recente anche dallo Stato d'Israele, unico ad averlo previsto formalmente. I saggi invece vorrebbero costituzionalizzare tale meccanismo fondato sulla personalizzazione della candidatura a premier e non sulla logica aggregante delle coalizioni, il potere di nomina e revoca dei ministri, il potere di richiedere in modo vincolante lo scioglimento della Camera dei deputati.
Certo la Camera può votare una mozione di sfiducia condannandosi però all'autoscioglimento, e quindi sostanzialmente non esiste più non solo la fiducia iniziale, ma nemmeno la sfiducia, che resterebbe una previsione meramente formale di difficile realizzabilità pratica.

Il primo ministro resta quindi arbitro della sorte del Governo e della stessa Camera politica. L'ultimo spiraglio di libertà parlamentare consiste nella possibilità che il premier, bontà sua, si dimetta senza chiedere lo scioglimento. In tal caso risorgerebbero i poteri attuali del presidente della Repubblica e della stessa Camera. Un'ipotesi di scuola. È chiaro che siamo fuori di una democrazia parlamentare: sei eletto se sei collegato al candidato premier vincente o perdente che sia, rimani in carica se il premier si dimette e non chiede lo scioglimento. L'Assemblea politica di fatto diverrebbe una "consulta del re": se si oppone ai progetti legislativi del governo, la minaccia di scioglimento non potrebbe non farsi sentire. Meglio sarebbe stato tipizzare le ipotesi di scioglimento, senza lasciare tutto alla discrezionalità del premier.

Presidente della Repubblica.

Non è vero dunque che il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica viene accresciuto: risulta semmai il contrario, di fatto gli ultimi argini di garanzia attributi attualmente al presidente della Repubblica vengono travolti. Per lo scioglimento vale quanto detto sopra. Viene abrogato il potere presidenziale di controllo e di autorizzazione dei progetti di legge di iniziativa del governo. In sostanza le funzioni del presidente della Repubblica si riducono all'indicazione dei presidente delle autorities e del vice presidente del Csm. Più che funzioni di garanzia, mi sembrano attività di nomina, piuttosto modesta nell'ampio contesto istituzionale della Repubblica.

Senato federale.

La novità più rilevante è la costituzionalizzazione del metodo proporzionale. Ma in fondo fino al 1992 il Senato veniva eletto su base regionale. E allora qual è la novità? La separazione delle funzioni rispetto alla Camera: quindi, il Senato sarebbe federale non per la sua formazione ma per le sue competenze, dovendosi occupare delle leggi contenenti i principi fondamentali per la legislazione concorrente delle regioni. Ma un Senato così non avrebbe nulla di cui occuparsi. Proprio perché le leggi di principio tendono ad essere stabili nel tempo e quindi una volta approvate nei singoli settori dovrebbe passare del tempo prima dell'insorgenza della necessità di un cambiamento.

Devolution.

La Lega ha ottenuto che la bozza contenga senza modifiche il testo della devolution, così come già approvato in prima lettura dalla Camera. Nessun limite esplicito alle famose "competenze esclusive" viene introdotto, come pure avevano preteso An ed Udc. In alternativa viene previsto che il governo possa sottoporre al Senato federale una legge regionale in contrasto con "l'interesse nazionale della Repubblica". Il Senato può rinviare la legge al Consiglio regionale. Quindi non giudica la Corte costituzionale, ma un organo elettivo come il Senato, soggetto a logiche politiche. E se il Consiglio regionale riapprovasse la legge incriminata? Allora il Senato "può" proporre il suo annullamento al presidente della Repubblica, il quale "può" decretarne l'annullamento. Una catena di eventualità destinate nei fatti a frantumare la tutela dell'interesse nazionale.

Comunque sia la stessa formula dell'interesse nazionale della Repubblica appare contraddittoria. Infatti l'aggettivo ("nazionale") sembra rinviare all'interesse generale della collettività, laddove il genitivo ("della Repubblica") si riferisce al concetto di cui all'articolo 114 della Costituzione ("La Repubblica è costituita da comuni, città metropolitane, province, regioni e Stato"), per cui evidentemente qui si tratta degli interessi particolari delle singole comunità territoriali.

Corte costituzionale.

Viene elevato il numero dei giudici a 19 unità, di cui 3 nominati dalla Camera e 6 dal Senato. Comprendo la necessità di regionalizzare la Corte stabilendo un numero alto di componenti nominati dal Senato federale: ma, innanzitutto, proprio volendomi calare nella logica della Lega, mi chiedo se questo significhi realmente regionalizzare la Corte, dato che il Senato è eletto direttamente e che quindi le regioni, in quanto tali, nessuna voce, avrebbero nella sua formazione. In ogni caso, non appare certo coerente con una democrazia maggioritaria prevedere che circa la metà dei giudici della Corte costituzionale, massimo organo di garanzia del sistema, siano eletti da Camere elettive, quindi comunque influenzate da logiche politiche.

In definitiva, un testo che avrebbe bisogno di molte modifiche, per ripristinare alcune garanzie minime, e del contributo dell'opposizione. Ma il clima infuocato, instaurato dalla maggioranza, (l'Italia è l'unico Paese dove la coalizione di governo attacca senza sosta l'opposizione) nelle ultime settimane non aiuta la collaborazione dei due schieramenti politici in Parlamento.


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