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Una frustata quella preside in manette

viviamo una stagione in cui la politica sta creando ad arte un clima da stadio intorno ai tribunali, e i presidi – che nella nostra adolescenza incarnavano l’Autorità Massima – sono improvvisamente finiti nel mirino del governo

15/04/2019
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la Repubblica

Sebastiano Messina

Ventisette anni dopo Tangentopoli, ogni volta che scoppia un nuovo scandalo – come se non fosse successo nulla, come se niente fosse cambiato – è difficile non pensare che sia stato fatto ancora troppo poco, per eliminare quel che di marcio c’è nella macchina dello Stato. Ma quello che è successo ieri ad Anna Rita Zappulla ci avverte che rischiamo di passare da un eccesso all’altro.

Chi è Anna Rita Zappulla? È la preside di un istituto tecnico professionale di Imperia, l’Ipsia "Marconi", che qualcuno della sua scuola ha denunciato ai carabinieri perché usava solo lei la Toyota Corolla che sarebbe invece dovuta servire a tutto l’istituto. Così i carabinieri l’hanno pedinata, hanno nascosto un Gps nell’abitacolo, hanno intercettato le sue telefonate, e hanno raccolto le prove di un uso, diciamo così, improprio della vettura. Tenendola sotto controllo, ieri si sono accorti che la preside era addirittura andata a Mentone, in Francia. Non una trasferta, dunque, ma una gita. Con la macchina della scuola.

Appena la Toyota è tornata sul suolo italiano, la preside è stata perciò bloccata. È stata interrogata. È stata dichiarata in arresto. Ed è stata portata nel carcere di Pontedecimo. Tra i delinquenti comuni.

Ora, dando per scontato che i carabinieri si siano convinti di avere in mano le inoppugnabili prove di un reato, una domanda è lecita: era proprio necessario, ed era davvero giusto, trattare una dirigente scolastica come un rapinatore beccato con la refurtiva?

Sia chiaro: se l’abuso c’è stato, è sacrosanto che venga punito con la severità prevista dal codice penale. Così come è ovvio che dovrà affrontare un inevitabile procedimento disciplinare, alla fine del quale sarà magari licenziata. Ma quale ragione c’era per aggiungere al disonore di una denuncia per peculato – già insostenibile per un dirigente scolastico – anche il marchio d’infamia delle manette e del carcere?

Si voleva colpire l’uso improprio delle auto di servizio? Ottimo. Ma quando un presidente della Provincia di Messina si fece scoprire mentre andava in Puglia con l’auto blu venne denunciato.

Quando il sindaco di Termini Imerese non riuscì a spiegare perché usava l’auto di servizio fuori orario gli fu imposto l’obbligo di firma. E ci sono stati sindaci indagati per essere andati con macchina e autista allo stadio o a un matrimonio sulla costiera amalfitana. Ma nessuno, finora, è mai stato arrestato e portato in cella per uso improprio dell’auto blu.

E nemmeno l’eccesso di tolleranza del passato può giustificare l’eccesso di durezza del presente, perché la giustizia deve sempre avere chiaro il confine tra la severità e l’accanimento.

Eppure viviamo una stagione in cui la politica sta creando ad arte un clima da stadio intorno ai tribunali, e i presidi – che nella nostra adolescenza incarnavano l’Autorità Massima – sono improvvisamente finiti nel mirino del governo, che solo da loro, tra tutti i professori, pretende le impronte digitali all’entrata e all’uscita dalla scuola. È dunque oggi difficile, molto difficile, non pensare che si sia voluto dare a questa preside colta sul fatto una punizione esemplare, esponendola alla gogna più vergognosa che è – per un dirigente dello Stato – finire in cella come un delinquente. Una frustata sulla pubblica piazza che poteva, e doveva, essere evitata.