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Un passo indietro per il bene dell’Università: lo #stopVQR dipende da noi

di Stefano Semplici

07/04/2016
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ROARS

Il Presidente del Consiglio, in una lettera pubblicata da «la Repubblica», ha elencato una serie di “fatti” che dimostrano – a suo avviso – che nel mondo dell’università e della ricerca «non ci sono solo problemi». E il governo ha già ribadito che intende continuare ad aumentare la quota “premiale” attribuita in base alla VQR. Questa VQR, che continuerà a dare di più (togliere meno) a chi occupa i primi posti delle classifiche e costringere gli altri ad un destino di marginalità senza possibilità di recupero. Dopo la riapertura della campagna VQR, dire che l’ANVUR e i rettori sono indifendibili aiuta a coltivare l’idea rassicurante di un popolo (i docenti universitari) oppresso ma sano. Le cose non stanno così. L’ANVUR, nel  “bollettino della vittoria” del 17 marzo – e adesso clamorosamente smentito – sottolineava  il ruolo dei quasi 11.000 ricercatori «che hanno già accettato di svolgere l’attività di revisori peer». Questi colleghi consentiranno all’ANVUR di stilare le sue classifiche. Per questo io considero la loro responsabilità pari a quella dell’ANVUR e dei Rettori. Chi non si chiama fuori non potrà dire che non è stata anche colpa sua.

È troppo facile attaccare l’ANVUR e i Rettori dopo la riapertura dei termini per il caricamento dei prodotti per la campagna VQR 2011-2014. Il loro comportamento è indifendibile e non c’è davvero altro da aggiungere, salvo ricordare che il loro potere viene da chi li ha nominati (nel caso del direttivo dell’ANVUR) e da chi li ha eletti (nel caso dei Rettori). In fondo è anche comodo, perché consente di puntellare l’idea rassicurante di un popolo (i docenti universitari) oppresso ma sano, vittima e non complice, che tanto vorrebbe e purtroppo non può. Le cose non stanno così. E l’ANVUR, nel vero e proprio bollettino della vittoria emesso il 17 marzo e adesso clamorosamente smentito, sottolineava giustamente il ruolo degli «oltre 400 illustri colleghi italiani e stranieri» coinvolti nei GEV e dei quasi 11.000 ricercatori «che hanno già accettato di svolgere l’attività di revisori peer». I primi hanno un nome e un cognome. I secondi potranno operare al riparo di un anonimato impenetrabile fino al termine della procedura. Questi colleghi e questi ricercatori consentiranno all’ANVUR di stilare le sue classifiche. E lo faranno perché lo vogliono. Per questo io considero la loro responsabilità pari a quella dell’ANVUR e dei Rettori.

Il Presidente del Consiglio, in una lettera pubblicata da «la Repubblica» il 26 marzo, ha elencato una serie di “fatti” che dimostrano a suo avviso che nel mondo dell’università e della ricerca «non ci sono solo problemi»: le risorse per borse di studio sono state portate nella Legge di stabilità a 56 milioni; sono stati rivisti i criteri di accesso alle borse di studio; sono stati sbloccati gli stipendi dei docenti universitari e si permettono nuove assunzioni negli atenei, con il fiore all’occhiello dei 500 posti di professore associato o ordinario attribuiti a ricercatori di eccellenza, che «saranno selezionati da commissioni di top scholars di indubbio prestigio internazionale». Agli oltre 11.000 colleghi e ricercatori che continuano a voler collaborare con la VQR vorrei prima di tutto domandare se ritengono questi interventi una risposta vera ed efficace ai problemi del diritto allo studio, del blocco degli scatti stipendiali, dell’estinzione ormai prossima di interi settori del sapere, dell’agonia delle università del Sud. Ma non è questa la domanda fondamentale alla quale dovrebbero rispondere. Il Presidente del Consiglio ricorda che «sulla ricerca non basta spendere di più, dobbiamo spendere meglio». E il governo ha già ribadito in parlamento che per spendere meglio intende, fra l’altro, continuare ad aumentare la quota “premiale” attribuita in base alla VQR, in base a questa VQR. Perché a questo serve la VQR e questo è l’effetto principale che ha prodotto e continuerà a produrre: dare di più (togliere meno) a chi occupa i primi posti delle classifiche e costringere gli altri ad un destino di marginalità senza possibilità di recupero, perché se anche ci fossero idee e passione non ci sarebbero le risorse per farlo. Chi ha deciso di mettersi a disposizione dell’ANVUR condivide questa scelta politica e culturale?

A chi risponde “sì” non ho altro da dire. Abbiamo un’idea diversa di università e continueremo a confrontarci a viso aperto. Chi risponde “no” non può continuare a nascondersi dietro giustificazioni e pretesti vari, perché con il suo lavoro contribuisce di fatto a questo risultato. La sua collaborazione è uno schiaffo a tutti coloro che, in tante sedi, in modi e con obiettivi diversi, si sono opposti e continuano ad opporsi alla VQR. E questo schiaffo non potrà essere dimenticato facilmente. È sufficiente una comunicazione all’ANVUR per chiamarsi fuori. Fermare la VQR è possibile, anche se la protesta continuerà a non essere neppure riconosciuta e citata, il che conferma che in fondo è temuta. Una pausa di riflessione farebbe bene a tutti, ma i vertici del sistema appaiono impermeabili a questa consapevolezza e pronti ad usare ogni mezzo pur di raggiungere il risultato. Per questo la strada, difficile ma obbligata, è quella del movimento dal basso. Contro questa VQR perché è profondamente sbagliata e per questo deve essere combattuta, a prescindere dall’esito (che nelle parole del Presidente del Consiglio appare peraltro segnato) della battaglia per gli scatti di anzianità. Chi non si chiama fuori non potrà dire che non è stata anche colpa sua.