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Tasse universitarie ed austerità

L’Italia è ultima in Europa per laureati, questo il verdetto di Eurostat. Un dato incontrovertibile, ma divergono le spiegazioni. Le quali non possono prescindere dalla valutazione comparativa dei costi che ricadono sugli studenti

18/04/2014
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L’Italia è ultima in Europa per laureati, questo il verdetto di Eurostat. Un dato incontrovertibile, ma divergono le spiegazioni. Le quali non possono prescindere dalla valutazione comparativa dei costi che ricadono sugli studenti e le famiglie. Questo articolo di Armanda Cetrulo, pubblicato originariamente su Young Voices of Europe, evidenzia le disparità delle politiche per l’istruzione messe in atto dai paesi del Sud-Est Europa rispetto a quelli del Nord Europa. L’Italia, che staziona a fondo classifica per le borse di studio, presenta un aumento del 63% delle tasse universitarie negli ultimi 10 anni. Con queste premesse, diventa più facile spiegarsi la la maglia nera per numero di laureati.

L’ultimo report della Commissione Europea sui sistemi nazionali di contribuzione e sostegno per gli studenti universitari mostra chiaramente profonde disparità tra i Paesi Europei, confermando anche in questo caso, una sorta di “divisione” tra i Paesi del Nord Europa e quelli del Sud-Est. Non ci sono infatti tasse universitarie (escluse le spese amministrative) in Danimarca, Germania, Austria, Finlandia e Svezia mentre invece in tutti gli altri Paesi sono previste tasse più (Estonia, Lituania) o meno (Francia) alte.

È interessante notare che non solo le tasse differiscono ma anche il tipo di sostegno finanziario per gli studenti varia senza però riuscire minimamente a colmare le differenze in termini di costi sostenuti dagli studenti. Infatti, gli stessi Paesi che non prevedono tasse universitarie sono anche quelli che forniscono un più ampio supporto, in termini di borse di studio per reddito (need-based grants) e premi per merito (merit grants), come riportato nella tabella qui:

Come risulta chiaro, i Paesi del Sud Europa non sono capaci di garantire borse di studio adeguate per la maggiore parte dei loro studenti e la crisi non ha fatto che peggiorare questo aspetto a causa degli elevati tagli al settore dell’istruzione. In Italia, per esempio, le tasse universitarie sono cresciute del 63% negli ultimi 10 anni e uno degli effetti immediati è rintracciabile nella significativa riduzione di numero di iscrizioni all’università (-17% negli ultimi 10 anni). In Grecia, alcune lezioni universitarie e corsi di laurea sono stati sospesi a causa delle difficoltà finanziarie e della mancanza di risorse necessarie per portare avanti molte attività didattiche. Allo stesso tempo, in Germania le tasse universitarie, che erano state recentemente introdotte, sono state poi velocemente abolite in 15 delle 16 regioni del Paese e anche la Sassonia ne ha previsto l’abolizione per il 2014-2015.

Dietro questo tipo di politiche, ci sono diverse e complesse ragioni che bisognerebbe prendere in considerazione: molti Paesi Nordici presentano un sistema economico completamente diverso con un maggiore livello di imposizione fiscale e un impegno più esplicitamente redistributivo da parte dello Stato, e stanno inoltre attraversando una situazione economica decisamente più favorevole. Resta comunque un aspetto, più teorico ed idealista se vogliamo, che andrebbe analizzato. Dietro queste politiche, c’è infatti una diversa visione della società e del ruolo che l’istruzione e la conoscenza giocano nel determinare e dare forma allo sviluppo di un Paese. Adottare un sistema contributivo che non impone eccessivi oneri e costi per gli studenti, fino a non prevedere tasse e fornire contemporaneamente gli aiuti necessari a chi ne ha bisogno, significa investire nel futuro di un paese, stimolando l’innovazione, il progresso e garantire un’emancipazione personale e collettiva, promuovendo l’uguaglianza. Non è allora una coincidenza che proprio i Paesi che hanno smantellato le università pubbliche registrino anche i più alti tassi di NEET (giovani che non sono impegnati in percorsi formativi o lavorativi).

Nel determinare il dato sui Neet, giocano senza dubbio un ruolo fondamentale l’inarrestabile peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro e l’elevato tasso di disoccupazione, ma ciò non basta a catturare pienamente il fenomeno degli inattivi. Tra le giovani generazioni del Sud Europa si sta difondendo un profondo e crescente senso di disillusione e fragilità insieme all’idea pericolosa che alcuni diritti siano troppo “costosi” per essere rivendicati. Oggi, i giovani cittadini europei hanno diritti diversi in termini di educazione, condizioni di lavoro, servizi e possibilità di vita. Questo è un aspetto cruciale che dovrebbe essere richiamato in vista delle prossime elezioni europee se l’obiettivo è quello di risvegliare un senso di identità e cittadinanza europea che sembra oggi profondamente disperso.

Pubblicato originariamente su Young Voices of Europe.


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