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Sviluppo insostenibile senza la ricerca

Il sistema della formazione e dell’istruzione dovrebbe diventare l’epicentro degli investimenti, non solo economici, ma oggi non è così. Se n'è parlato in un convegno organizzato dalla Flc Cgil. Sinopoli: "Il governo cambi atteggiamento"

12/02/2020
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Rassegna.it

di Roberta Lisi

Il mondo scientifico e non solo ne parla da anni, inascoltato o quasi. Ciascuno di noi, se non è proprio giovanissimo, può raccontare come nel tempo la percezione delle stagioni sia cambiata, da inverni lunghi e freddi a inverni miti e corti. Ma a darci la sveglia sono stati ragazzi e ragazze chiamati da Greta in piazza a rivendicare futuro. Ed è proprio del futuro che si tratta. In realtà la questione, la sfida del cambiamento climatico parla non solo della sopravvivenza del pianeta ma ci pone di fronte al tema delle diseguaglianze in maniera dirompente. Perché la desertificazione di intere zone del mondo, i fenomeni atmosferici estremi, le guerre per l’acqua e per le materie prime portano e porteranno alla migrazione di fasce sempre più ampie di popolazione, certo.

Ma anche e soprattutto perché il modello di sviluppo capitalistico fondato sul consumo spinto che porta all’obsolescenza programmata dei prodotti per alimentare il produrre sempre più sfrenato, si gioca sulla svalorizzazione del lavoro, sulla competizione al ribasso dei diritti e sull’ipersfruttamento delle risorse fossili produttrici di energia. E la globalizzazione dell’economia e della finanza ha accentuato e velocizzato questi processi. Oggi questo modello di sviluppo non è più compatibile né con la sopravvivenza del pianeta, né con la giustizia sociale e infine con la democrazia.

“Occorre cambiare paradigma” è il messaggio lanciato con forza dai diversi partecipanti al convegno “Sviluppo sostenibile e Green New Deal non sono possibili senza ricerca e innovazione” organizzato oggi (11 febbraio) dalla Flc Cgil. E se è vero il nesso che sfruttamento e svalorizzazione del lavoro e sfruttamento del pianeta sono strettamente connessi, allora è da qui che occorre partire per una vera e propria rivoluzione. Sostenibilità è una delle parole chiave, ma anche scelte e responsabilità. Cambiare paradigma rendendolo sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Tenendo insieme in maniera indissolubile il nesso lavoro-ambiente. Contrastare i cambiamenti climatici è possibile solo se si innova sulle fonti energetiche, sui processi produttivi e sui prodotti, magari abbandonando definitivamente l’economia dello scarto è puntando su quella circolare del riciclo.

E allora la ricerca e tutto il sistema della formazione e dell’istruzione diventano o dovrebbero diventare l’epicentro degli investimenti non solo economici. Ancor prima forse, o contemporaneamente, serve una consapevolezza diffusa del fatto che consumiamo troppi beni individuali, che occorre spostare produzione e consumo da oggetti e servizi per uso “personale” a quelli collettivi: dalla mobilità alla cultura. Insomma serve una visione italiana ed europea di cosa vorremo essere fra 10, 20 50 anni e come arrivarci.

Tante le sollecitazioni arrivate nel corso della discussione, dalla necessità di una Agenzia per la ricerca a quella per l’economia circolare, alla finalizzazione degli investimenti (oltre che al loro aumento), a una politica industriale che sappia indirizzare e finalizzare il percorso. Ma è necessario innanzitutto una visione e un progetto e la capacità di programmare (termine desueto e a volte quasi criminalizzato di cui ci sarebbe un gran bisogno). C'è bisogno di un Paese che sappia fare sistema: università, centri di ricerca, imprese, sindacati, società civile, istituzioni a vari livelli. Tutto ciò, però inevitabilmente presuppone un ruolo del pubblico, dello Stato, centrale e forte, assunzione di responsabilità appunto.

Secondo il ministro dell’Università Gaetano Manfredi per evitare che questa vera e propria rivoluzione venga pagata dalla parte più debole della società bisogna affrontare e vincere tre sfide: quella sulla ricerca e sull’innovazione tecnologia; quella sulla formazione e quella sull’educazione della popolazione.

“Chiediamo a questo esecutivo – ha affermato Francesco Sinopoli segretario generale della Flc – un cambio di atteggiamento lungo tutta la filiera dell’istruzione formazione e ricerca. Servono soprattutto investimenti e il Def sarà il vero banco di prova". Infine, ha aggiunto Sinopoli, "serve un importante ruolo del pubblico che sia in grado di orientare le scelte produttive".

Ma non può essere il mercato a governare la transizione. Non solo, ma se è vero che l’attuale modello di sviluppo si fonda anche sullo sfruttamento del lavoro oltre che su quello dell’ambiente allora e anche – forse soprattutto – dal valore del lavoro che occorre ripartire. Innanzitutto non avendo paura di affermare che è necessario creare lavoro e lavoro di qualità. “Il lavoro – ha sottolineato il segretario generale della Cgil Maurizio Landini – deve partecipare alle decisioni su cosa e come produrre, non solo accompagnare le fasi di transizione. La tecnologia non è neutra – ha ricordato –, dipende da chi la progetta, da chi e come la usa, da chi controlla. Il mercato deve avere dei vincoli sociali a cominciare dalla dignità e qualità del lavoro. L’innovazione porterà con sé la perdita o la trasformazione di alcuni mansioni e funzione e la nascita di altri. È indispensabile – argomenta il numero uno di corso di Italia – accompagnare i lavoratori e le lavoratrici nelle fasi di transizione, servono strumenti di sostegno al reddito, ma anche uno straordinario piano di formazione continua utilizzando a questo scopo i contratti nazionali”.

Se si andasse al Piano del lavoro che la Cgil elaborò nel 2013 si scoprirebbe che è possibile creare lavoro cogliendo due sfide della contemporaneità utilizzando ricerca e tecnologia: cura dell’ambiente (messa in sicurezza del territorio, prevenzione idrogeologica, rigenerazione urbana) e cura della persona (servizi per l’infanzia, per gli anziani, per la non autosufficienza, cultura). Creare lavoro si può, puntare alla piena occupazione deve essere scelta politica strategica e prioritaria.


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