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Studenti e dottorandi a Renzi: basta facili slogan sull’università. Entriamo nel merito dei problemi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera che i dottorandi dell’ADI e gli studenti universitari di LINK hanno scritto al Primo Ministro Matteo Renzi.

23/05/2015
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ROARS

Matteo Renzi, ospite di Vespa a Porta a Porta, ha parlato anche di università «Ci dicono di cambiare e noi cambieremo – ha spiegato il premier – Sono 20 anni che dicono che le università fanno schifo, smettiamo di dare poteri ai baroni che hanno i figli dei figli dei figli e iniziamo a premiare anche una volta la qualità e il merito all’università». I dottorandi dell’ADI e gli studenti universitari di LINK  hanno colto l’occasione per scrivere al premier, chiedendo di lasciare da parte “i facili slogan che convincono molto ma risolvono poco” per  entrare, invece, nel merito dei problemi. Problemi molto concreti che riguardano l’allargamento della fascia del precariato, il restringimento degli spazi democratici, il calo del finanziamento, la drammatica situazione dei fondi per il diritto allo studio, il divario crescente tra atenei del Nord e del Sud. Forse è davvero giunta l’ora di “cambiare verso”.


Siamo studentesse e studenti, precari e docenti dell’università. Abbiamo sentito le Sue dichiarazioni di ieri a ‘Porta a porta ‘ e Le scriviamo perchè sentiamo la necessità di aprire un dibattito sulla questione da Lei sollevata, anche se solo di sfuggita. Perchè è vero che, come dice Lei, è vent’anni che ci sentiamo dire che l’Università fa schifo e crediamo sia ora di analizzare con lucidità alcune questioni.
A differenza della Scuola l’Università ha subito dei profondi mutamenti in questi anni, dopo la legge 240 del 2010 che ha modificato tra le tante cose sia la modalità di distribuzione dei fondi sia la Governance. Addirittura i decreti attuativi della Riforma sono ancora in approvazione o sono stati approvati da pochissimo e gli atenei sono ancora in fase di adeguamento alle nuove norme.

Nonostante tutto l’Università necessita di un nuovo cambiamento. Ma quali saranno le parole d’ordine di questa ulteriore riforma? Ieri Lei ha risposto: merito. Non è una parola nuova, anche la riforma Gelmini agitava la bandiera del merito e della lotta al baronato solo pochi anni fa e poi la sua riforma si è tradotta in restringimento degli spazi democratici all’interno dell’università e in un accentramento ulteriore di potere, mentre la fascia del precariato universitario aumentava sempre di più.

Oltre le facili parole d’ordine quindi è forse il caso di entrare proprio nel ‘merito’ di alcuni problemi che passano sempre in secondo piano quando si attacca l’università dei baroni. Problemi che derivano da precise scelte politiche che continuano in modo initerrotto da anni. Il sottofinanziamento, su tutti. Anche quest’anno l’FFO è in calo. Come si pensa di produrre didattica e ricerca di livello senza soldi?

La drammatica situazione del diritto allo studio i cui fondi, sempre esigui, non permettono di coprire la platea degli idonei alla borsa di studio. Recenti notizie alludono addirittura ad un futuro potenziamento del sistema dei prestiti d’onore, strumento di indebitamento dello studente che sicuramente non va nella direzione di garantire il diritto dei meno abbienti a studiare.

La situazione dei giovani ricercatori all’interno dell’università è ormai diventata insostenibile: i tagli lineari e il sostanziale blocco del reclutamento che hanno caratterizzato questi anni si sono tradotti nella proliferazione di un precariato destinato a un’espulsione di massa dal mondo accademico. I primi provvedimenti (Legge di Stabilità 2015) in materia da parte del suo Governo non solo non hanno invertito questo trend ma hanno anzi indebolito uno dei pochi vincoli che favorivano l’accesso al ruolo.

Il divario sempre più evidente tra atenei del nord e molti atenei del sud, peraltro favorito dalle politiche premiali nella distribuzione dei fondi. La spaccatura che si sta verificando nel sistema universitario non può più essere ignorata perchè non possiamo accettare che le aree più deboli del Paese, in cui la formazione ha un ruolo ancora più centrale, perdano o debbano ridimensionare i loro atenei.

Crediamo sia ora di cambiare verso, di entrare nel merito dei problemi, senza tabù,  come dice lei, ma anche senza facili slogan che convincono molto ma risolvono poco.

ADI – Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani
LINK – Coordinamento Universitario

Pubblicato su Il Sole 24 Ore 22 Maggio 2015


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