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Spending review: un bel Paese per ignoranti

Il MIUR sta per dare avvio al nuovo sistema per l’Istruzione degli Adulti.

25/04/2014
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Roberto Urbano

Il MIUR sta per dare avvio al nuovo sistema per l’Istruzione degli Adulti. Dopo oltre sette anni dalla Legge 296 del dicembre del 2006 che deliberava la nascita delle nuove istituzioni scolastiche, forse i CPIA (Centri per l’istruzione degli adulti) vedranno la luce nel settembre 2014. Abbiamo sempre pensato che riforme serie dell’istruzione non potessero essere realizzate a “costo zero”, eccoci accontentati: la riforma si realizzerà con un taglio considerevole di risorse. In tutti i provvedimenti che riguardano l’avvio dei CPIA, regolamenti, linee guida, circolari, decreti, ecc. …è sempre ripetuta, più volte, la magica formula che spalanca le porte dell’ignoranza per questo bel Paese: “…senza oneri aggiuntivi per lo Stato”.

Sono tanti gli aspetti di forte criticità che presentano i dispositivi normativi e applicativi di questa nuova istituzione scolastica, ma voglio soffermarmi solo su alcuni di questi, quelli più gravi.

Il primo grida vergogna. Non c’è indagine, italiana e internazionale, che non sottolinei come negli ultimi vent’anni il nostro Paese stia scivolando sempre di più nel baratro dell’analfabetismo. Una delle ultime è l’indagine PIAAC (Program for the International Assessment of Adult Competencies) realizzata dall’OCSE[1]: su 24 paesi di Europa, America e Asia, nella popolazione adulta tra i 16 e i 65 anni, l’Italia è risultato all’ultimo posto per literacy (lettura e comprensione di testi scritti) e penultimo per numeracy (applicazione di semplici concetti matematici). Il 30% della popolazione italiana in età di lavoro non è in grado di capire o scrivere una breve frase e il 40% ha grandi problemi a comprendere un semplice articolo di giornale. Ebbene il nuovo sistema taglia fuori proprio queste persone dall’offerta di formazione pubblica: chiede ai CPIA di occuparsi solo di titoli di studio, affermando che l’accesso ai corsi dei Centri non è consentito a chi ha già assolto l’obbligo di istruzione. 

Noi sappiamo che una persona a rischio alfabetico quando decide di rientrare in formazione, con grande sforzo (le 150 ore di permesso retribuito sono ormai un privilegio riservato ai dipendenti pubblici e molti allievi devono nascondere al datore di lavoro la frequenza a percorsi di studio), non pensa ad un corso di 3-4 anni per conseguire un diploma di istruzione superiore. Queste persone hanno bisogno di una manutenzione/potenziamento delle competenze di base, chiedono di acquisire i saperi minimi e le competenze necessarie per stare al passo con i cambiamenti che investono la loro vita quotidiana. Queste persone, e il nostro Paese, hanno la necessità di una massiccia azione di alfabetizzazione funzionale, e solo successivamente, dalla consapevolezza che riusciranno a costruire, se noi insegnanti saremo bravi, potrà nascere il bisogno di ulteriore istruzione e di titoli di studio. Ma tutto ciò non sarà possibile nei nuovi CPIA, che vedranno le risorse loro assegnate sulla base del numero di diplomi conseguiti.

Il secondo è l’anti-pedagogia. Qual è la ricetta per riportare gli adulti a scuola per conseguire un diploma? Semplice: si prende la scuola del mattino, con tutte le sue materie (compresa religione); si tolgono il 30% delle ore, così questa riforma è a “costo sotto-zero”; si accende la luce, per dare l’idea che si tratta di un corso serale, …e la “bignamizzazione” della scuola è servita.
Questo prevede la nuova istituzione: un taglio lineare, uguale per tutte le discipline, del 30%; senza il minimo sforzo di ripensare a curricoli didattici tarati sugli adulti; senza la necessità di rivedere le competenze alla luce di una nuova cittadinanza, al confronto con il mondo del lavoro.
L’unica riflessione che ha preso più tempo è la necessità di ricondurre il nuovo monte orario delle discipline a quota 33 o suoi multipli … non sia mai che chi comanda in questa nuova scuola siano i bisogni di competenza degli alunni, a scapito dell’orario-cattedra e dell’organizzazione scolastica.

Il terzo è la vittoria della burocrazia. Nei compiti del nuovo CPIA (in realtà i vecchi CTP svolgono questo compito da anni) c’è l’insegnamento della Lingua Italiana L2 ai cittadini migranti, e per il calcolo delle risorse di organico necessarie a realizzare questi corsi si prendono in considerazione solo gli Attestati rilasciati di livello A2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento[2]. Perché mai solo il livello A2? Perché tutta una serie di normative del Ministero dell’Interno (Accordo di Integrazione, Permesso di Lungo Soggiorno[3]) hanno come riferimento il livello A2 del QCER. E tutti i migranti, che in questi anni si sono rivolti ai CTP per imparare la lingua Italiana, che sono analfabeti in lingua madre, che hanno una bassa scolarità, che hanno una lingua madre che non utilizza caratteri latini, … a tutti questi cittadini che impiegano più tempo per arrivare al livello A2, con quali risorse i nuovi CPIA daranno loro risposte? Se non fosse che questa scelta è dovuta unicamente a cecità burocratica e a lontananza dal mondo reale, potrebbe essere un’interessante provocazione: è come dire ad una scuola superiore, “ti riconosco l’organico per le classi prime solo sulla base del numero di allievi che hanno la promozione in seconda” … immagino le percentuali di bocciati in prima superiore crollare vertiginosamente!

Note

1. Per saperne di più, consultare la pagina dedicata a PIAAC sul sito OECD, oppure la pagina sul sito ISFOL, che realizza l'indagine in Italia per conto di OECD.

2. Si veda, come quadro di riferimento generale la Griglia di autovalutazione.

3. Sui "Test di lingua italiana per permessi di soggiorno di lungo periodo", vedi la pagina sul sito del Ministero dell'Interno.

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