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sole 24 ore - Un diritto allo studio che premi i più bravi

Un diritto allo studio che premi i più bravi di Silvio Fortuna* Il Documento di programmazione economica e finanziaria pone l'accento sull'esigenza di porre mano a una decisa riforma delle rego...

25/07/2002
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Il Sole 24 Ore

Un diritto allo studio che premi i più bravi
di Silvio Fortuna*

Il Documento di programmazione economica e finanziaria pone l'accento sull'esigenza di porre mano a una decisa riforma delle regole che presiedono in Italia al diritto allo studio universitario. Un confronto internazionale. È noto che il nostro Paese, rispetto agli altri Paesi dell'Ocse, spende mediamente il 20% in più per ogni allievo che frequenta la scuola, mentre la spesa italiana per l'università è tra le più basse dei Paesi Ocse. Infatti in Italia ogni anno si spendono 6.295 dollari per studente, mentre la media Ocse è di 11.720 dollari; anche se occorre riconoscere che nell'ultimo decennio l'Italia ha avuto una crescita superiore alla media dei Paesi Ocse. L'Italia, inoltre, risulta il terzo Paese per la durata media degli studi universitari: ciò significa che, se la nostra spesa per studente è bassa, la nostra spesa per laureato è straordinariamente alta nel confronto con gli altri Paesi. C'è, infine, un altro doppio primato di cui gode l'Italia: mentre nella scuola il numero di studenti per docente è tra i più bassi del mondo (appena 9,5 allievi a testa), gli studenti universitari per docente sono in media 25 a testa, mentre in Francia sono 17, negli Stati Uniti 15, in Germania 12 (meno della metà dei nostri). Eppure il nostro ritardo più grave è un altro ancora: riguarda, infatti, il diritto allo studio. L'indagine EuroStudent 2000. I dati della recentissima indagine EuroStudent 2000 parlano chiaro: in Francia si erogano 400mila borse di studio all'anno per gli studenti universitari, in Italia solo 100mila. L'ammontare mensile in euro che lo Stato destina al diritto allo studio universitario è di 165 euro in Italia, 266 euro in Francia, 317 in Finlandia, 326 in Germania e 355 in Austria. Dal 1996 a oggi i posti alloggio per studente sono passati da 27mila a 29mila. Ma le distanze restano rilevanti: in Francia i posti alloggio sono 150mila, in Germania 223mila. In Italia tra gli studenti fuori sede meno di uno su dieci alloggia in una struttura predisposta da enti per il diritto allo studio, e solo il 4% degli studenti vive in alloggi universitari (in Finlandia la percentuale è del 24%, e in Olanda arriva addirittura al 34%). Scarsa mobilità. Non stupisce, quindi, che gli studenti universitari italiani che vivono ancora in famiglia siano il 68%, mentre in Finlandia sono soltanto il 6% (in Germania sono il 24%, e in Francia il 46%). Questo, ovviamente, ostacola la possibilità di scegliere un ateneo o un corso di laurea per le sue caratteristiche intrinseche, cioè perché corrisponde alle proprie esigenze o aspirazioni, anziché per la sua vicinanza a casa. L'Italia è l'unico Paese Ocse nel quale sono sostanzialmente inesistenti sia forme di sostegno agli studenti di carattere non assistenziale, come i prestiti d'onore, sia la differenziazione delle modalità di sostegno. Ridurre nella stessa misura per tutti gli studenti (che ne abbiano bisogno o meno) le spese per i trasporti o per la mensa rischia di distogliere inutilmente risorse che potrebbero essere investite in modo mirato. Le stesse modalità di assegnazione degli aiuti agli studenti sono spesso regolate in modo talmente rigido da non consentirne un utilizzo efficace. Borse di studio e competizione. Personalmente sono convinto che il diritto allo studio sia una potente leva per modernizzare e rendere più competitivo il nostro sistema universitario. Il ritardo italiano ha però una spiegazione. Nonostante lo straordinario sforzo che gli atenei hanno compiuto, a partire dal 1989, per conquistare più larghi spazi di autonomia, la nostra università è ancora basata su un modello di finanziamento che privilegia l'offerta sulla domanda: si finanziano cioè le università, non gli studenti. È venuto il momento di voltare pagina. Occorre in primo luogo ridurre i costi fissi delle università; agendo, in particolare, sul numero eccessivo degli studenti fuori corso e sulla lunghezza, altrettanto abnorme, della permanenza all'università. In secondo luogo è necessario realizzare un'effettiva autonomia finanziaria degli atenei, spostando progressivamente il focus sulla domanda, cioè sugli studenti. Università e impresa. Che un imprenditore prenda le difese degli studenti ed esalti il diritto allo studio può sembrare paradossale solo a chi ignori che il massimo interesse dell'impresa è avere una società aperta, priva di lacci e lacciuoli, in cui il merito sia premiato anche e soprattutto quando è privo di mezzi. L'alta qualità dell'insegnamento universitario è per gli imprenditori un obiettivo prioritario. Ma perseguirlo è impossibile senza utilizzare la leva del sostegno reale agli studenti capaci e meritevoli. L'Italia segue ancora il modello centralizzato "continentale", in contrasto con il più efficiente modello anglosassone, presente nel Regno Unito e in alcuni Paesi nordici, che punta a finanziare gli studenti, attraverso borse di studio e, in misura crescente, con i prestiti d'onore. Il Dpef. È importante che questa logica venga finalmente accolta dal Dpef. La svolta di cui il Documento contiene i primi indirizzi si fonda sull'eliminazione delle rigidità legate al finanziamento dell'offerta universitaria e su una progressiva diversificazione della spesa pubblica, che premi soprattutto gli studenti capaci e meritevoli, consentendo loro di frequentare le migliori università. Occorre che anche le Regioni e le Agenzie per il diritto allo studio si convincano che il diritto allo studio non fa parte delle spese assistenziali, ma costituisce una leva essenziale per migliorare da un lato la competitività del nostro sistema universitario, dall'altro le possibilità individuali di successo. *Delegato del presidente di Confindustria per le attività di Education e conoscenza

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