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Sessantamila precari come allo Spallanzani

Ricercatori . La situazione è stata rafforzata dal blocco delle assunzioni nel settore pubblico durato un decennio e dal taglio dei finanziamenti all’università e alla ricerca

06/02/2020
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il manifesto

Claudia Pratelli *

Di Francesca Colavita, ricercatrice dello Spallanzani che, insieme alle colleghe del team di ricerca, ha isolato il coronavirus sappiamo ormai molto. Sappiamo che per anni è stata una cococo, cioè una collaboratrice coordinata e continuativa e che fino a maggio 2019 guadagnava 16.762 euro lordi l’anno.

Sappiamo che adesso ha un contratto annuale. A lei e alle colleghe il paese ha tributato elogi bipartisan per un indubbio successo scientifico che ci rende orgogliosi.

Quello che non sappiamo è che come Francesca, in Italia, ne esistono circa altre e altri 60 mila. E’ una stima molto approssimativa, ricavabile dai dati Cineca sui precari dell’università più altre figure non censite di altri settori. Si tratta di: cococo, borsisti, assegnisti, dottorandi e ricercatori a tempo determinato delle università, degli enti pubblici di ricerca, degli Irccs. A cui andrebbero sommato il gigantesco peso del lavoro gratuito.

Il mondo della ricerca pubblica in italia è composito, così come caleidoscopica è la condizione contrattuale dei precari. Il chè produce, in un contesto di generale sottovalutazione della ricerca, incomprensibili e odiose disparità di trattamento tra settori e comparti. L’Istituto Spallanzani dove lavora Francesca Colavita è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs) e ricade nel comparto Sanità per il quale la legge di Bilancio ha previsto una misura importante per la stabilizzazione del personale precario:la proroga della Legge Madia fino al 31 Dicembre 2022.

Questo non avviene nell’università dove la precarietà è cronica e, finora, senza via d’uscita per assenza di fondi, di reclutamento e/o di strumenti normativo/contrattuali. Sempre di precari e precarie della ricerca si tratta, impegnati in progetti di eguale valore, con contratti che non danno stabilità e spesso neanche prospettive. Che assicurano minori tutele sociali e previdenziali. E, in molti casi, prevedono compensi del tutto inadeguati.

Questa situazione è stata rafforzata dal blocco delle assunzioni nel settore pubblico durato un decennio e dal taglio dei finanziamenti all’università e alla ricerca. Sono dieci anni che nei taglia e cuci delle leggi di bilancio non si trovano mai abbastanza soldi per la ricerca. È successo anche nell’ultima legge di bilancio. Mentre prorogava le stabilizzazioni per i precari della sanità, il finanziamento dell’università è finito addirittura sotto la soglia della decenza. Ancora oggi manca quell’elemosina chiamata “piano straordinario per il reclutamento di ricercatori”. Si tratterebbe di 1600 posizioni. Ce ne vorrebbero 20 mila. All’anno. Almeno per i prossimi cinque.

I ministri passano, litigano e nei casi più combattivi -come nel caso dell’ex Ministro Lorenzo Fioramonti- si dimettono.
La propensione dei governi rimane da troppo tempo insufficiente. Risulta soprattutto singolare, sull’onda dell’orgoglio nazionale per il merito delle ricercatrici dell’istituto Spallanzani, che i principali alfieri della meritocrazia, alcuni dei quali siedono al governo, facciano sentire forte la loro voce quando si tratta di esercitare selezioni o prove del fuoco per i precari, si ammutoliscano invece quando si tratta di rivendicare risorse per riconoscere e valorizzare il lavoro delle ricercatrici e i ricercatori del paese.

* Assessora alle politiche Educative e Scolastiche, III Municipio, Roma


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