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Se la classe diventa cooperativa: a Parma la scuola può cambiare

Dodici istituti insieme per costruire un sapere condiviso. Il pedagogista Novara: "La lezione frontale, che richiede agli alunni un atteggiamento di ascolto passivo, è una pratica medievale".

30/05/2019
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la Repubblica

di Lucia De Ioanna

Una rivoluzione copernicana nella scuola, che metta al suo centro lo studente, è possibile, anzi, a Parma è già iniziata.

Il progetto Cooperare per apprendere, che ha coinvolto 12 scuole del primo ciclo (Sanvitale-Fra Salimbene, Albertelli-Newton, Edith Stein, Laura Sanvitale, Bocchi, Fratelli Bandiera, Ferrari, Micheli, Toscanini, Montebello, Parmigianino, Verdi), presentato nell’auditorium Gabbi del Crédit Agricole nel convegno La scuola può cambiare, è un esempio virtuoso di applicazione del cooperative learning, metodo che punta ad aumentare il successo formativo, incrementando le competenze sociali, il benessere personale, le relazioni e la motivazione di bambini e ragazzi.

Obiettivo del progetto, mette in luce Pier Paolo Eramo, dirigente dell’istituto comprensivo Sanvitale- Fra Salimbene, è stato quello di sperimentare un metodo che privilegia il momento dell’apprendimento come esperienza costruttiva, lavorando in rete per avere un impatto sulla città attraverso un modello esportabile che prevede condivisione e scambio tra docenti.

Il titolo dell’incontro, La scuola può cambiare, è ispirato al titolo dell’ultimo libro del pedagogista Daniele Novara, Cambiare la scuola si può: per attuare questa trasformazione, osserva Eramo, è necessario lavorare in rete dal basso, "spostando il focus dalla centralità dell’insegnamento alla centralità dell’apprendimento".

Nelle definizione degli obiettivi progettuali, Fondazione Cariparma ha agito come partner e non solo come sponsor. Gino Gandolfi, presidente di Fondazione Cariparma, in apertura del convegno conferma la volontà di fondazione Cariparma di "contribuire allo sviluppo economico, sociale e culturale del territorio investendo in quello che appare essere il patrimonio più prezioso che abbiamo: i giovani. Solo sostenendo la scuola possiamo costruire una società migliore".

Entrando nel vivo dell’esperienza, Giovanni Cattabiani, maestro della scuola primaria Jacopo Sanvitale, coordinatore del progetto insieme alla professoressa Franca Guerra, mostra come il vero soggetto dell’esperienza sia stata la classe cooperativa: l’insegnante assume un ruolo decentrato, viene come ‘spiazzato’ dal suo ruolo classico di chi deve trasmettere conoscenza poiché questa, in base al modello cooperativo, viene costruita insieme, attraverso un processo che si alimenta di curiosità e desiderio di scoperta.

Costruendo insieme un sapere condiviso, si producono effetti positivi anche sul piano sociale e relazionale: "Mentre filmavo gli alunni nelle diverse fasi di lavoro", testimonia il regista Milo Adami, autore di un documentario che ripercorre le diverse fasi del progetto biennale, "mi sono accorto di non essere solo di fronte ad una classe ma di essere osservatore di una vera e propria società".

Il metodo cooperativo appare come uno strumento privilegiato per formare cittadini consapevoli, come osserva Beatrice Aimi, dirigente scolastico che coniuga competenze nell’ambito delle scienze cognitive e della didattica: "Imparare a mediare e a confrontarsi, rispettare la diversità, comunicare in modo empatico, educare ad essere e non solo al sapere: questi sono obiettivi fondamentali che, tra l’altro, coincidono con quelle soft skills oggi indispensabili anche nel mondo del lavoro".

L’errore, che tradizionalmente viene stigmatizzato diventando fonte di ansia per gli alunni, deve essere riletto in una chiave costruttiva: "Attraverso l’apprendimento cooperativo diamo la possibilità a bambini e ragazzi di sperimentare e anche di sbagliare: in questo senso il cooperative learning si rivela essere un modello efficace anche sul piano dell’inclusione", osserva Franca Guerra.

Che gli studenti siano stati soggetti attivi del progetto appare evidente quando Letizia, Marcello ed Andrea, tre alunni della classe 3° F della Frasalimbene, salgono al tavolo dei relatori per offrire il loro punto di vista sull’innovativo percorso che hanno potuto sperimentare nel corso di due anni: "Una grande ricchezza, che porterò con me anche alle scuole superiori, è avere imparato a discutere le mie idee confrontandomi con gli altri per trovare una soluzione comune", osserva Letizia con la quale concordano Marcello e Andrea per i quali è stato importante anche "imparare a conoscere e superare i propri limiti".

Ospite del convegno il pedagogista Daniele Novara, entusiasta del successo di un percorso che si è svolto nella città dove è stata compiuta l’importante scoperta dei neuroni-specchio: oltre alle evidenze che derivano dall’osservazione, "i neuroni mirror ci confermano, su un piano scientifico, il fatto che i cervelli nella cooperazione lavorano meglio".

La lezione frontale, che richiede agli alunni un atteggiamento di ascolto passivo, "è una pratica medievale, rispetto alla quale la scuola non ha saputo produrre innovazione"

Bersaglio polemico del pedagogista è una scuola che ‘procede staticamente’, trascinando pratiche inerziali come le interrogazioni, le note disciplinari e una valutazione che stigmatizza il copiare e gli errori senza tenere in considerazione il fatto che l’apprendimento si realizza proprio per via imitativa e attraverso prove ed errori: "Bisogna uscire dalla scuola del controllo che genera paure e passare alla scuola dell’apprendimento che valuti i progressi di ogni alunno e non i suoi errori".

Esempio di una volontà di apprezzare i progressi di ogni bambino è il maestro Alberto Manzi, la cui figura viene ricordata da Novara: per la sua scelta di eliminare i voti sostituendoli con il suo famoso timbro: "Fa quel che può, quel che non può non fa", Manzi ottenne una sospensione dall’insegnamento di tre mesi. E’ a questi modelli che, secondo il pedagogista, la scuola deve tornare a guardare: Maria Montessori diceva che, quando entrava nelle sue classi, non voleva accorgersi della presenza dei docenti, sostenendo la necessità di una scuola nella quale la conoscenza nasce dall’azione e dal lavoro degli alunni più che dalla presenza di un insegnante che fa lezione.

Il modello di apprendimento maieutico delineato da Novara legge la classe come "un’entità socio-emotiva relazionale all’interno della quale la conoscenza si genera a partire da domande autentiche e non da domande delle quali si conosce già la risposta. Apprendere significa avere una capacità applicativa e non limitarsi a ripetere la risposta giusta".

Come mostra a tutti anche Pippi Calzelunghe, nel suo primo giorno di scuola: quando la maestra la accoglie e le dice: "Adesso Pippi vediamo quello che sai: quanto fa sette per sette?", Pippi risponde "Perchè, tu non lo sai?". "Certo che lo so", risponde la maestra: "Sette per sette fa quarantanove". Allora Pippi, meravigliata: "Allora se lo sai così bene perché lo chiedi a me?". Questa scena ridicolizza, come osserva Novara, la pratica delle domande illegittime, quelle per le quali si attende la risposta esatta, diversamente dalle domande maieutiche che puntano ad attivare una vera ricerca risvegliando interesse, motivazione e voglia di scoprire".


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