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Scuola, perché non pensare ai doppi turni, invece che a chiuderle?

La didattica a distanza è una scorciatoia, si sarebbe dovuto lavorare meglio per far avere gli insegnanti a tutte le scuole per tempo. E non escludere un ripensamento degli orari

15/10/2020
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Corriere della sera

Paolo Sestito

*Ex presidente dell’Invalsi

L’Italia è tra i Paesi che più a lungo han tenuto chiuse le scuole, per di più senza distinzioni, nonostante i maggiori costi della chiusura nel caso delle primarie (costi per i genitori che dovevano lavorare e per gli apprendimenti degli alunni, come evidenziato da Gianluca Argentin che ha stimato, sulla base delle indagini Invalsi, che solo un terzo dei bimbi di V primaria aveva a casa una connessione e una postazione potenzialmente disponibili per la DAD e almeno uno dei due insegnanti di «base», tra italiano e matematica, abituato a usare tale strumento, la metà circa rispetto alla II superiore).

La scorciatoia

A un mese scarso dalla loro tardiva riapertura, vi è chi già parla di richiuderle, sia pure con riferimento al solo segmento secondario superiore. E’ un passo avanti il fatto che si pensi a differenziare le sorti delle scuole evitando di fare di ogni erba un fascio. E’ però un passo indietro che si cerchi di nuovo la scorciatoia della chiusura e del rinvio alla DAD.Questa è senz’altro da valorizzare, anche meglio integrandola nella vita delle scuole. Ha però limiti e costi, inferiori ma non assenti, anche nelle superiori. Soprattutto, ci sono alternative migliori, in tutte le scuole e in modo particolare nelle superiori. Le stime già prima citate evidenziano come la quota di alunni di II superiore per cui entrambi gli insegnanti di italiano e matematica fossero abituati ad adoperare la DAD scendeva al 36%, poco, anche se sempre meglio del 25% della V primaria. Le stesse stime evidenziano inoltre come quella quota fosse più bassa nelle famiglie meno abbienti (nelle cui case gli spazi a disposizione dei ragazzi per poter studiare con comodità evidentemente sono più ridotti). Non stupisce pertanto che - come quantificato da stime riferite ad altri Paesi (la regione fiamminga del Belgio ), perché purtroppo Miur e Invalsi in Italia non hanno effettuato alcuna rilevazione - la chiusura delle scuole non solo abbia abbassato il livello medio degli apprendimenti, ma ne abbia anche ampliato la dispersione, penalizzando di più chi già stava messo peggio.

Poca attenzione agli insegnanti

Nel predisporre la riapertura delle scuole attenzioni – e risorse – sono state adoperate per acquisire i banchi unipersonali con rotelle, evidentemente ritenuti un restyling capace, non si sa bene secondo quali leggi della fisica, di ampliare la metratura delle singole aule o forse più adeguato allo status di fashion leader d’un paese come l’Italia rispetto alla soluzione universalmente diffusa di adoperare, alla bisogna, divisori in plexiglas. Minore attenzione è stata prestata al reclutamento e all’allocazione tempestiva degli insegnanti alle singole scuole: quella che in un lavoro passato avevo definito la giostra annuale degli insegnanti per molte scuole sta ancora girando; rispetto al passato i numeri sono semmai stati ampliati dal maggior numero di assunzioni, di ruolo e non, come poteva peraltro prevedere qualsiasi conoscitore del precariato di massa e dei poco funzionanti meccanismi concorsuali (basti dire che i concorsi, privi d’una cadenza regolare su base annuale, si contano sulle dita di una mano nell’ultimo trentennio).

Il nodo degli orari

Poco si è fatto invece sugli orari delle scuole. A un baby boomer, come lo scrivente, che ben ricorda di esser spesso andato a scuola di pomeriggio e non di mattina, sembra strano che non si possa provare anche questa strada. Specie nel caso delle scuole superiori, i cui alunni normalmente si recano a scuola da soli e non sono legati agli spostamenti dei propri genitori tra casa, lavoro e sosta a scuola dei figli, cosa impedisce di usare le scuole in orari «non tradizionali»? Decongestionare i trasporti – evitando la concentrazione dei flussi nelle ore di punta - può conciliare distanziamento sociale a fini sanitari e prosecuzione della vita sociale ed economica, nelle scuole e non solo.