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Scuola, a lezione dal "maestro" Caproni

Con tutto l’affetto per Azzolina occorre un ministro dell’Istruzione di vero spessore per rivoluzionare il sistema

27/07/2020
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la Repubblica

Curzio MAltese

Giorgio Caproni, il poeta, faceva il maestro alle elementari. La mattina gli alunni lo trovavano in classe davanti alla lavagna con sguardo teso e preoccupato. «Bambini, sono disperato. Il direttore vuole sapere qual è la superficie della nostra lavagna e non mi ricordo come si fa a calcolarla. Ho paura che mi licenzi». I bambini in coro: «No! Ti aiutiamo noi!». Dopo averci pensato un po’, qualcuno gridava: «Base per altezza!». E il maestro: «Giusto, bravo, adesso ricordo. Ma perché l’area del rettangolo si misura base per altezza?». Quei "perché" creavano lo scompiglio tra i bambini. Ne venivano fuori belle discussioni, ogni giorno con un argomento diverso e, al termine delle lezioni, il maestro non dimenticava di ringraziare i suoi scolari per avergli risparmiato l’ennesimo possibile licenziamento. Il ricordo di questo geniale metodo di insegnamento socratico era uno dei racconti preferiti di Vincenzo Cerami, caro amico di Caproni, il più grande lirico del Novecento italiano.

Erano i tempi in cui il poeta si ritrovava a un bar di Monteverde con i colleghi Attilio Bertolucci e Pier Paolo Pasolini. A Parma Bertolucci aveva insegnato letteratura e storia dell’arte e Pasolini nei primi anni Cinquanta insegnò a Ciampino nelle scuole medie. A volte li raggiungevano Carlo Emilio Gadda e Elsa Morante, che tra l’altro ha scritto Il mondo salvato dai ragazzini.

Parlavano per ore di letteratura e di scuola. È davvero curioso come l’Italia, che ha espresso questo calibro di insegnanti, insieme ai più influenti pedagogisti del mondo da Maria Montessori a Lorenzo Milani, da Gianni Rodari a Loris Malaguzzi, riesca a parlare di scuola in maniera tanto misera e superficiale.

A partire dal Dopoguerra, nei decenni, il nostro è stato tra i Paesi con la più alta mobilità sociale grazie a uno straordinario sistema di scuola pubblica. I ministri dell’Istruzione, durante i quasi cinquant’anni di governo della Democrazia Cristiana, sono sempre stati mediocri, tant’è che fatico non poco a ricordare i loro nomi, ma la scuola continuava a essere di grande livello. Con l’arrivo di Berlusconi, questa qualità si è deteriorata anno dopo anno, al contrario di Paesi come Svezia e Germania che non hanno smesso di investire nella scuola, mentre altri Paesi con un vecchio sistema scolastico di stampo sovietico hanno avuto il coraggio di compiere una profonda riforma che li ha portati, come nel caso della Finlandia, a essere oggi tra i primi posti nel mondo per quanto riguarda l’istruzione.

Negli ultimi venticinque anni l’Italia è diventata un Paese regressivo grazie al disinvestimento nella cultura e all’infinita serie di riformine, ovviamente peggiorative, frutto di vane discussioni sulla scelta tra voti o giudizi, quando va bene, e, quando va male, organizzando ridicoli programmi di alternanza scuola-lavoro, dannosi per la scuola e inutili per trovare lavoro.

Un mese fa mi auguravo che fosse arrivato il momento di Mario Draghi e ancor di più oggi spero che possa essere lui a gestire i 209 miliardi che arriveranno dall’Europa, costruendo un nuovo governo di qualità. Con tutto l’affetto per la ministra Lucia Azzolina, che non ha più colpe dei suoi predecessori, è evidente quanto stia annaspando nella contingenza del momento. Occorre un ministro dell’Istruzione di vero spessore, magari che abbia vissuto all’estero, e che conosca i più fruttuosi metodi di insegnamento. Potrebbe essere l’occasione di usare le nuove risorse economiche per compiere una rivoluzione del sistema scolastico, di cui potranno godere le generazioni a venire. A partire dalla impellente ristrutturazione degli edifici scolastici, per affiancarsi poi a un solido gruppo di validi pedagogisti e professori, che in Italia per fortuna ancora ci sono e che di regola combattono nelle periferie di Milano, Palermo, Napoli.

Non esiste un futuro senza i ragazzi. Non è un caso che Greta Thunberg venga dalle scuole del Nord Europa.

Anche noi siamo pieni di giovani menti brillanti, ma la nostra scuola di solito li annoia perché è troppo vecchia.

Ci si diploma ancora arrivando a malapena alla Seconda guerra mondiale, ci ostiniamo con Alfieri ma non si sfiorano i grandi romanzi russi o francesi, figuriamoci se si studia l’ambiente.

Anche l’immigrazione è un problema di istruzione. La mescolanza nella specie umana è sopravvivenza. La nostra è una grande nazione perché siamo un Paese di bastardi, che è l’insulto che ci rivolgiamo più spesso.

Siamo un Paese felicemente bastardo che ha mischiato qualunque etnia abbia attraversato la nostra terra.

Questo ha permesso all’Italia di essere la più grande ricchezza di patrimonio culturale della storia.


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