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Republica-I "new global", i diritti e la nuova identità europea

I "new global", i diritti e la nuova identità europea La Carta in discussione alla Ue è un esempio dello scontro tra logiche di mercato e difesa degli individui La lotta per le garanzie fondam...

21/11/2002
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la Repubblica

I "new global", i diritti e la nuova identità europea

La Carta in discussione alla Ue è un esempio dello scontro tra logiche di mercato e difesa degli individui
La lotta per le garanzie fondamentali ha ora obiettivi di dimensione planetaria
STEFANO RODOTÀ

V'è da augurarsi che le vicende giudiziarie di questi giorni non spengano l'attenzione che, dalle parti più diverse, cominciava ad essere manifestata per i temi discussi al Social Forum di Firenze, e si torni invece al silenzio della ragione. Si tratta di questioni spesso rimosse, sottovalutate o, peggio, abbandonate con rassegnazione all'iniziativa di circuiti fuori d'ogni logica democratica. Considerati nel loro insieme, questi temi hanno un visibile denominatore comune, un fattore unificante, nell'attenzione rivolta ai diritti individuali e collettivi, tradizionali e nuovi, che disegnano un programma politico dove eguaglianza e pace, lavoro e rispetto della biosfera non siano soltanto parole, ma imperativi capaci di rinvigorire l'ormai esangue partecipazione dei cittadini. Non voglio dire che tutto debba essere guardato dal punto di vista del diritto, che la grammatica dei diritti sia l'unica chiave per capire il mondo. Ma è ormai evidente che nella dimensione globale si sta svolgendo una nuova e durissima lotta per il diritto.
Questa espressione non meravigli. "La lotta per il diritto" è il titolo di un classico del pensiero giuridico, scritto nel 1872 dal giurista tedesco Rudolf von Jhering, di cui Benedetto Croce promosse la diffusione in Italia nel 1935 e che sottolinea la necessità che ciascuno resista sempre alle violazioni del diritto. Oggi questa lotta non riguarda soltanto il diritto già vigente, di cui si deve esigere il rispetto. Si svolge anche per far nascere un diritto nuovo, adeguato alla dimensione planetaria di moltissimi fenomeni, espressione di bisogni generali e non delle richieste di ristretti gruppi d'interesse, creato e applicato secondo procedure democratiche. Questa prospettiva è ben descritta da alcune formule ormai note: globalizzazione non attraverso i mercati, ma attraverso i diritti; globalizzazione non imposta dall'alto, ma promossa dal basso.
Utopie, fughe in avanti, chiacchiere senza riscontro alcuno nella realtà? E' stato detto. Ma queste disinvolte critiche sono smentite proprio dalle dinamiche reali, prima tra tutte quella che riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Di questo testo si discute nella Convenzione che lavora al progetto di costituzione europea, e che dovrà appunto decidere quale rilevanza attribuire alla Carta dei diritti. Su questo punto è in corso uno scontro. A Bruxelles molti si adoperano per sterilizzare i diritti contenuti nella Carta (e non mi pare che la sinistra europea abbia piena consapevolezza di quello che sta avvenendo, forse prigioniera ancora d'uno schema ideologico che induce a sottovalutare la dimensione del riconoscimento giuridico dei diritti). A Firenze la questione è stata affrontata pubblicamente, anche con critiche aspre alla Carta, nella quale si è visto piuttosto un riflesso delle logiche liberiste, che avrebbero affievolito le garanzie contenute in molte costituzioni nazionali, quella italiana in particolare. Come orientarsi in questa discussione, quali azioni concrete intraprendere perché la Carta possa, al tempo stesso, offrire solide garanzie ai diritti individuali e collettivi e fornire, se non un modello, uno schema forte proprio a chi ritiene che la via maestra della globalizzazione passi attraverso i diritti?
Una premessa. I diritti, quelli sociali in particolare, continuano a far paura. Incidono sulla struttura del potere, lo redistribuiscono, perché lo sottraggono all'arbitrio di potentati pubblici e privati e armano una moltitudine di soggetti individuali e collettivi con strumenti destinati ad incidere non solo nella dinamica giuridica, ma prima di tutto nella lotta politica. Una domanda, allora. Se la Carta fosse davvero solo un nuovo mezzo per rafforzare le vecchie dinamiche dell'integrazione europea, come mai i suoi avversari si trovano proprio tra coloro che vorrebbero rimanere fermi a quel modello? Non siamo di fronte, invece, ad un testo che comincia a mettere in discussione proprio la pura logica di mercato?
Una indicazione concreta. Pochi giorni fa, il 15 novembre, è stata presentata a Bruxelles una Carta europea dei diritti dei malati, elaborata da una associazione italiana, Cittadinanza Attiva, con la collaborazione di una quindicina di associazioni di malati cronici, consumatori e volontari di altri paesi europei. E' un testo ricco e importante, che prende le mosse proprio da un articolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e lo sviluppa specificando analiticamente i contenuti del fondamentale diritto alla salute. Questo è un buon esempio di "globalizzazione dal basso", perché prende le mosse da esperienze concrete (in Italia quella assai importante del Tribunale dei diritti del malato) e le traduce in un impegnativo documento di principi senza passare attraverso mediazioni istituzionali. Nello stesso tempo, è un testo che si muove appunto nella direzione della globalizzazione attraverso i diritti, fornendo anche una lettura complessiva della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che ne fa emergere i contenti innovativi. Si congiungono così l'innovazione istituzionale dall'alto e l'iniziativa diretta dei cittadini.
Una via per l'azione futura. Proprio le prospettive indicate dalle discussioni svoltesi nel Social Forum consentono di guardare alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea non solo come ad una tra le tante possibili dichiarazioni di diritti, ma come al primo tentativo di unificare una regione del mondo proprio intorno al tema dei diritti. In questo senso, essa può essere considerata un modello da prendere in considerazione in tutte le altre aree del mondo dove i tentativi di unificazione hanno finora risposto quasi esclusivamente alla logica economica. E la Carta non è il solo modello di integrazione attraverso i diritti rinvenibile nella dimensione europea. L'Europa ha messo a punto una efficace tutela della privacy che si sta imponendo come punto di riferimento obbligato per i più diversi paesi, dall'Australia all'America latina, dal Canada ai paesi del centro e dell'est europeo. Valorizzare queste esperienze europee dovrebbe essere un imperativo per chi vuol rafforzare i diritti in Europa e aprire comuni prospettive di libertà in tutto il mondo.
Ma qual è la specificità e la possibile forza di attrazione dei modelli europei? La risposta si trova nella storia di un continente dove l'attribuzione di diritti è stata accompagnata da una assunzione di responsabilità pubbliche per la loro effettiva attuazione e dove la dimensione dei diritti è stata progressivamente costruita attraverso sapienti equilibri tra la dimensione individuale e quella sociale. Di questo sono consapevoli, ad esempio, alcuni gruppi americani per la difesa dei diritti civili, che incitano le istituzioni europee a tener ferme le loro regole sulla tutela della privacy, perché solo se l'Europa rimarrà un punto di paragone, con regole affidate alla legge e non solo ad una autodisciplina prigioniera delle logiche di mercato, sarà possibile riprendere anche negli Stati Uniti la strada che ha fatto di questo paese l'inventore della tutela della privacy.
Se si riflette su questa vicenda, e su altre che si potrebbero ricordare (Tribunale penale internazionale, protocollo di Kyoto sulla tutela dell'ambiente), ci si può avvedere che ciò che viene superficialmente liquidato come "antiamericanismo" nella gran parte dei casi altro non è che dialettica, anche se forte e serrata, tra modelli sociali e politici diversi. Una dialettica benefica e legittima, la sola che può impedirci di restare impigliati nella rete di un "pensiero unico" o nella sottomissione dei "mondi vitali" alla pura logica di mercato. E' singolare, peraltro, che la ricerca talvolta pretestuosa e affannosa di fattori costitutivi dell'identità europea spesso trascuri il fatto che quell'identità è oggi affidata anche al modello sociale che ha consentito uno straordinario arricchimento della dimensione dei diritti.
Continuare a guardare a quel modello, certo bisognoso di aggiustamenti, non è un esercizio di nostalgia. Proprio la riflessione globale sulle cause della diseguaglianza e sulle ragioni di molti conflitti sta spingendo governi e istituzioni internazionali a riconoscere la necessità di interventi "sociali" soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Sincere o no che siano queste dichiarazioni, esse confermano l'importanza strategica dei diritti sociali. Questi non possono più essere considerati come una cenerentola, diritti di serie B rispetto ai tradizionali diritti civili e politici. Non solo la Carta dell'Unione europea ha messo tutti i diritti sullo stesso piano, riconoscendone l'indivisibilità. E' soprattutto cresciuta la consapevolezza della priorità dei diritti sociali, in assenza dei quali quelli civili e politici rischiano di mancare delle condizioni materiali per il loro esercizio. Nel momento in cui i "No Global" vogliono essere chiamati "New Global", trasformandosi così da fronte del rifiuto in protagonisti attivi del processo di globalizzazione, questo è il primo e più impegnativo terreno di discussione e di progettazione. Ma questo richiederà una ulteriore riflessione sulle nuove forme della partecipazione e della rappresentanza politica.


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