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Repubblica-Napoli-Università tra sviluppo e disordine

L'UNIVERISTà TRA SVILUPPO E DISORDINE Nel confronto tra il ricco nord est di Riccardo Illy e la Campania di Antonio Bassolino emerge la identica centralità del ruolo de...

20/03/2005
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la Repubblica

L'UNIVERISTà TRA SVILUPPO E DISORDINE

Nel confronto tra il ricco nord est di Riccardo Illy e la Campania di Antonio Bassolino emerge la identica centralità del ruolo delle istituzioni universitarie nella promozione allo sviluppo locale, ma con significative differenze. Nel primo caso l'esigenza di competere investendo in innovazione è frutto della consapevolezza, acquisita di recente, di non poter più promuovere le esportazioni sfruttando i vantaggi del costo del lavoro o del differenziale monetario. Nel secondo la politica regionale per la ricerca ha assunto, fin dall'inizio, il ruolo di componente strategica del processo di sviluppo industriale. In entrambe le realtà le scelte effettuate rappresentano un nuovo modo di intendere il rapporto università-territorio. La ricerca scientifica, dall'angolazione dei sistemi politici locali, svolge nei confronti del sistema territoriale delle imprese un ruolo più effettivo di quello evocato, spesso retoricamente, nelle molteplici diagnosi sulla crisi italiana. Diventa, perciò, nel caso della Campania, il punto di riferimento delle leggi sul diritto allo studio, sul finanziamento delle università, sulla costituzione dei centri regionali di competenza. Il tutto inquadrato in un più organico coordinamento delle università campane. Siamo di fronte ad un "modello" ancora in fase di rodaggio che ha suscitato qualche motivata perplessità. Giorni fa Gennaro Biondi ha parlato di facili ottimismi, proponendo di scegliere la rete regionale dei distretti come interlocutrice del sistema universitario mentre Tommaso Iavarone ha sottolineato il ruolo autonomo delle scelte imprenditoriali. Bisogna però anche riconoscere che, al di là della tenuta in un difficile contesto territoriale, le politiche finora realizzate meritano di essere prese in seria considerazione, anche in vista delle ricadute che determinano sul sistema universitario.
Dalla lettura del rapporto sulla "Strategia regionale per lo sviluppo e l'innovazione", pubblicato dalla regione Campania, appare un'università diversa da quella rappresentata nelle cronache sul tormentato confronto con il governo: un'istituzione ripiegata in se stessa, invecchiata per il venir meno di antiche motivazioni e di nuove energie intellettuali, specchio emblematico, infine, della stessa crisi della società italiana. In che modo, dunque, la regia del governo locale più influire su questo sistema, incoraggiandone virtuose evoluzioni? Gli obiettivi proposti nel rapporto sono di ampio respiro: "disseminare le conoscenze& far interagire i diversi saperi, innovare il tessuto produttivo locale, rendere la Campania attraente per nuove realtà high tech", determinare, infine, "una vera e propria rivoluzione per il mondo della ricerca campano". Per ora gli effetti benefici di questa strategia tendono a dispiegarsi soprattutto nei comparti dell'alta ricerca tecnologica e toccano, dunque, solo alcuni ambiti del vasto universo della ricerca campana. Tutti gli altri, genericamente riconducibili all'area delle "scienze umane", già pesantemente penalizzati dagli interventi dirigistici e discriminatori del governo verso i settori "non tecnologici", stentano a trovare una più definita collocazione anche nel sistema di "provvidenze" predisposte dall'amministrazione regionale. Gravitano infatti pericolosamente, e in maniera disordinata, intorno alle occasioni offerte dalle consulenze regionali, fruendo di un flusso di risorse che però finiscono per non agevolare la "virtuosa evoluzione" della ricerca ideata da Luigi Nicolais per i settori ad alta intensità tecnologica.
Questa strategia, al di là dell'ambito di applicazione, suscita, inoltre, una considerazione di carattere più strettamente politico per l'interazione che si intravede tra il mondo dell'università e quello della politica locale. Se ne è fatto interprete, recentemente, su queste pagine, Massimo Villone in relazione alle modalità di reclutamento del personale del governo regionale. Quali sono le regole che devono presiedere all'ingresso dei "tecnici" nel governo delle amministrazioni regionali? E qual è la linea di demarcazione che separa una partecipazione a titolo personale da una rappresentanza di tipo istituzionale? Per restare al caso in questione va comunque apprezzata la performance di un gruppo di tecnici che, provenendo dal mondo della ricerca della vecchia università napoletana, sta cercando di ridisegnare i rapporti tra istituzioni locali e realtà universitaria. La loro presenza, ancora ristretta, nella tormentata realtà politica regionale, richiama una tradizione di docenti - manager che tanto contribuirono alla costruzione della Napoli industriale del secolo scorso. Va perciò incoraggiata e allargata come espressione di una possibile via al ricambio della classe dirigente. Anche se sarà necessario far ricorso alla famigerata lista del governatore.
PAOLO FRASCANI


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