Repubblica/Napoli: Non soltanto scuole aperte
ADRIANA BUFFARDI
Non soltanto "scuole aperte"
Importante, a mio parere, che in questo complicato (a volte strumentale) dibattito su Napoli la scuola abbia recuperato una sua centralità. Sia nella consapevolezza che l´istruzione (come saperi, competenze, cultura, pratiche di relazioni, rispetto delle regole) sia un fattore fondamentale nel contrasto alla violenza e alla illegalità come nella crescita degli individui e nella possibilità di autodeterminazione della propria vita
Sia nella giusta percezione della scuola come presidio concreto, materiale, di vivibilità e convivenza in territori socialmente disgregati, al di là di singoli episodi contraddittori con questa immagine. Tra l´altro questa "concezione" riporta l´esigenza di riforme al senso e alle finalità della scuola superando l´ingegneria istituzionale su cui il confronto nazionale si è appiattito in questi anni.
Ma tornando a Napoli e alla sua scuola, esiste un pericolo – evidenziato nel dibattito sviluppatosi su Repubblica – di considerare gli interventi (anche micro) in questo campo come una sorta di panacea ai mali della città. Cui a volte si rischia però di contrapporre un immobilismo in nome di una visione globalista della problematica della scuola e delle sue soluzioni. E vengo alla proposta "scuole aperte" che già nella denominazione evoca non solo una continuità di attività pomeridiana (e serale?) già di per sé significativa in zone prive di sedi di aggregazione sociale e culturale, ma anche una progettazione basata sull´interlocuzione con gli altri "agenti" sociali nel territorio, e un rapporto con l´insieme della popolazione.
Un progetto serio e ambizioso che non può essere liquidato come strumento di salario accessorio per il personale scolastico, occasione di lavoro precario, arricchimento di alcune agenzie formative. Se questi rischi ci sono, bisognerebbe prima del varo procedere a una verifica dei primi progetti, promossi dalla Regione. Tra i quali uno di grande rilevanza era stato elaborato per Scampia, con caratteristiche di attenta integrazione tra interventi formativi e sociali e di progettazione fortemente radicata nel territorio ai cui protagonisti (associazioni, parrocchie, volontariato, sindacati) veniva riconosciuto un ruolo fondamentale nella progettazione, nella messa in rete delle esperienze, nella verifica. Conoscere l´impatto di quell´esperimento – risultati positivi come criticità e limiti – non è indifferente rispetto alla partenza di nuovi progetti.
È la cultura del risultato che andrebbe sempre praticata nella pubblica amministrazione. È questa che ci permetterebbe di valutare il rapporto tra recupero scolastico-inclusione sociale e risorse pubbliche impegnate nei progetti contro la dispersione scolastica, nei percorsi integrati di scuola-istruzione professionale. Infatti - è qui il punto decisivo - il progetto "scuole aperte" va messo in relazione con gli altri interventi volti a contrastare la dispersione scolastica, che, drammatica e pluridimensionale in Campania, mette in discussione il diritto eguale alla istruzione e insieme favorisce marginalità sociale e illegalità. Bene quindi "scuole aperte", la cui riuscita è, però, a mio parere affidata ad alcune condizioni su cui sollecitare un impegno delle istituzioni locali e nazionali.
Primo: investire – risorse economiche e non solo – complessivamente contro la dispersione scolastica; estendere il tempo pieno nella scuola dell´obbligo, fermo in Campania a una misura risibile; moltiplicare le iniziative di scuola della "seconda opportunità"; realizzare il prolungamento dell´obbligo a 16 anni, superando per questa misura l´ambiguità prevista nella legge finanziaria almeno introducendo la titolarità della scuola pubblica di gestire l´articolazione del percorso formativo.
Altra condizione essenziale è la messa in rete delle iniziative formative e sociali. Per restare al segmento di popolazione qui di riferimento, non si può non chiedersi se e come siano state messe in campo le misure di integrazione scolastica e formativa, parte costitutiva e non aggiuntiva del reddito di cittadinanza. O ancora auspicare che in relazione alla istituzione delle municipalità il Comune di Napoli promuova 10 veri e propri piani sociali di zona, espressione delle istanze territoriali, superando l´attuale piano cittadino. Il che oltretutto permetterebbe alle scuole come alle altre agenzie formative di partecipare in concreto, insieme a tanti altri interlocutori, a una progettazione territoriale integrata.
Non sono che esempi. Ma dimostrano la possibilità – o forse l´urgenza – di scandire il percorso di interventi nel campo sociale e formativo secondo una sequenza obbligata: progetti-esperienze-messa in rete-verifica-avvio di un sistema integrato. Così come è possibile, anzi doveroso, infrangere il dilemma sempre presente al Sud tra un pragmatismo finalizzato a risposte emergenziali e un´astratta visione globalista delle riforme. La scelta è quella sì della gradualità, ma in un contesto chiaro di riferimento e nella programmazione trasparente delle tappe del percorso di innovazione. A differenza del poeta, dovremmo sapere chi siamo e dove andiamo.