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Repubblica-Ma i sogni del ministro diventarono incubi

Ma i sogni del ministro diventarono incubi EUGENIO SCALFARI IO NON credo affatto che Berlusconi licenzierà Giulio Tremonti nelle prossime settimane e neppure nei prossimi mesi. Per varie ragi...

11/08/2002
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la Repubblica

Ma i sogni del ministro diventarono incubi

EUGENIO SCALFARI
IO NON credo affatto che Berlusconi licenzierà Giulio Tremonti nelle prossime settimane e neppure nei prossimi mesi. Per varie ragioni.
La prima è che non se lo può permettere: non ha nessun nome disponibile a prenderne il posto con l'autorevolezza necessaria in mezzo a una tempesta di queste proporzioni, con una congiuntura avversa, un'economia ferma, una pubblica finanza in disordine. L'ipotesi Fazio non regge: il governatore della Banca d'Italia potrebbe esser disponibile solo per succedere allo stesso Berlusconi; altre cariche non sono termini di confronto rispetto a quella che attualmente ricopre.
La seconda ragione consiste nella circostanza che Tremonti non ha fatto che attuare la politica delineata dal suo Capo, rispettarne le alleanze, soddisfarne gli interessi. Tre mesi fa scrissi che il vero vincolo sulle decisioni del ministro del Tesoro, prima ancora delle regole stabilite dal Trattato di Maastricht, erano gli impegni elettorali presi dal "premier". Così è stato e così è; perfino la sciagurata impuntatura sull'articolo 18, perfino le lusinghe a Cisl-Uil nell'intento di dividere il sindacato; perfino la "Tremonti-bis" che doveva essere lo strumento salvifico per realizzare il famoso miracolo italiano. Tutto l'impianto dei cento giorni fu farina del sacco di Berlusconi che Tremonti tradusse in provvedimenti e la maggioranza parlamentare approvò con l'entusiasmo degli sprovveduti: gli incentivi agli investimenti anziché ai consumi per compiacere la Confindustria; l'abolizione dell'imposta di successione per lo stesso motivo; le nuove norme sulle fondazioni bancarie per soddisfare gli appetiti della Lega; la finanza "creativa" per evitare manovre serie sulle spese e sulle entrate. Licenziando Tremonti il presidente del Consiglio metterebbe se stesso sotto accusa e non ha, ovviamente, nessuna intenzione di farlo.
La terza ragione deriva dall'impossibilità di un nuovo interim o di una nuova nomina ministeriale dopo i casi Ruggiero e Scajola, senza passare per un rimpasto o addirittura nella formazione d'un ministero-bis.
E la quarta ragione infine sta nel fatto che l'uscita di Tremonti aprirebbe un gravissimo scontento nella Lega che ha nel ministro del Tesoro il garante del peso di Bossi nel governo.
Per tutti questi motivi e altri ancora di minore ma non trascurabile peso, Tremonti non sarà sostituito. Ma sarà commissariato: per raddrizzare la barca che minaccia di capovolgersi bisognerà stabilire un quadro nuovo di priorità e sarà lo stesso "premier" ad assumersene il compito insieme agli alleati di governo sempre più preoccupati per quanto sta accadendo, specialmente i centristi di Follini e la destra di Fini. Questo mi sembra il quadro politico dei prossimi mesi.
Però...

Nei primi quattordici mesi di governo sono stati compiuti alcuni passi che non possono più essere rimessi in discussione. Il primo di tali passi è stato la firma del patto sociale con Cisl-Uil e la rottura tra governo e Confindustria da un lato e Cgil dall'altro.
S'è detto che quella rottura avrebbe isolato la Cgil. In realtà sta avvenendo esattamente il contrario: quella rottura è stata un gravissimo errore della dirigenza di Confindustria e dei ministri Maroni e Tremonti. La Confindustria non ha percepito che la rottura sull'articolo 18 avrebbe precluso, almeno per i tre anni di sperimentazione della nuova normativa, ogni intervento sulla spesa previdenziale. Tremonti dal canto suo, avendo puntato tutte le carte sulla ripresa della congiuntura internazionale come traino salvifico dell'economia italiana, non ha dato alcun peso al problema pensionistico.
Adesso Confindustria e governo si trovano imbottigliati: hanno firmato con Cisl-Uil un patto che esclude tagli alla spesa sociale; le due confederazioni firmatarie a loro volta sono alle prese con una durissima contestazione da parte della Cgil; i settori moderati del centrosinistra tentano con tutti i mezzi di riavvicinare i sindacati tra loro; i settori moderati della Casa delle libertà mirano invece a rendere sempre più saldo l'ancoraggio a destra di Cisl-Uil. Ma è proprio Follini, cioè il segretario del partito di Casini, a proporre il taglio delle pensioni d'anzianità per rimpinguare le casse vuote dell'erario.
Non entro nel merito di questa proposta, come dell'altra di passare al sistema pensionistico contributivo prima della scadenza prevista dalla legge Dini. Ricordo che quest'ultima proposta fu lanciata circa un anno fa proprio da Cofferati, naturalmente in ben altra situazione sindacale e politica. Ma la proposta Follini fatta venerdì, a neppure un mese dalla firma del patto sociale con Cisl-Uil, dimostra che anche i settori moderati della destra hanno smarrito il senso della realtà. L'idea di fare cassa con il taglio delle pensioni nella situazione odierna è semplicemente insensata. Avrebbe forse potuto avere uno spazio se gestita da un fronte sindacale unito e da un governo di centrosinistra. Chi ha voluto e tenacemente perseguito la rottura sociale sappia che su quella via non potrà avanzare d'un solo centimetro e - lo ripeto - proprio perché anche la politica ha le sue leggi e non soltanto l'economia.
* * *
Appena ventiquatt'ore fa, al culmine della bufera che lo aveva investito e mentre aumentavano i "boatos" sul condono fiscale "tombale", cioè aperto a ogni tipo d'infrazione, è stato proprio Tremonti a escludere che un provvedimento del genere sia fattibile: darebbe rinnovata forza all'evasione, screditerebbe ancora di più l'immagine del nostro paese, renderebbe impossibile l'emersione dell'economia sommersa rafforzando la convinzione già ampiamente diffusa che il solo modo per legalizzare la situazione è appunto riconoscere per legge un regime d'economia mista, una parte soggetta a imposte e contributi e l'altra esente in permanenza.
Ho acerbamente criticato il povero Tremonti (che mi considera membro della banda Dracula insieme a Visco e a Bersani) ma debbo riconoscere che di fronte a chi propone il condono tombale (forse lo stesso presidente del Consiglio?) almeno questa volta il ministro dell'Economia ha dimostrato assai maggiore giudizio.
Approvo anche la ribadita conferma tremontiana d'inserire il primo modulo della riforma fiscale nella legge finanziaria 2003 con effetto immediato.
Quella riforma è molto più timida di quanto non avesse previsto il centrosinistra nel suo programma elettorale, ma è comunque l'unica misura che possa dare un po' d'ossigeno ai consumi e quindi alla domanda interna. Poca cosa ma qualcosa, che va dunque difesa e attuata cercando semmai, nel passaggio parlamentare, di renderla più corposa affiancandole misure incisive per le famiglie al di sotto della soglia di povertà che la riforma di fatto ignora.
In realtà, come vado scrivendo da molti mesi, le responsabilità di Tremonti sono altre, fermo restando che la sua azione è resa difficile dalla pessima congiuntura mondiale che è ovviamente fuori dal controllo del governo italiano.
* * *
Avrebbe dovuto capire, il ministro dell'Economia, che la situazione economica mondiale stava radicalmente cambiando ben prima dell'11 settembre e dell'attentato alle Torri Gemelle, com'era stato reiteratamente avvertito dai vampiri Visco-Bersani e dal sottoscritto vampiro di complemento.
Avrebbe dovuto fornire cifre e previsioni del tutto diverse nel Dpef del 2002 e in quello del 2003, che chiarissero alla pubblica opinione il nuovo stato dei fatti e di ciò che poteva realisticamente essere l'orizzonte economico del triennio.
Avrebbe dovuto incentivare e finanziare i consumi per sostenere la domanda e non incaponirsi in un rilancio dei profitti e degli investimenti privo di prospettive.
Avrebbe dovuto attuare un patto di stabilità ferreo con le Regioni per la spesa sanitaria e ripristinare subito i ticket improvvidamente aboliti dal governo Amato, mentre quel patto di stabilità che Visco aveva varato con decorrenza immediata fu da lui postergato di un anno insieme a un consistente aumento di elargizioni a sanatoria dei nuovi debiti nel frattempo accesi dalle Regioni.
Avrebbe dovuto impedire che il reato di falso in bilancio diventasse una barzelletta proprio nel momento in cui le Borse avevano maggior bisogno di regole severe e di trasparenza per consolidare una fiducia ormai fuggevole.
Avrebbe dovuto associare tutti i sindacati a una politica volta a superare la fase più difficile che il capitalismo abbia mai attraversato dai primi Anni '30 in qua, invece di bastonarli e dividerli per compiacere le voglie e i drammatici errori della Confindustria. Fu abolita la concertazione nel momento in cui ce ne sarebbe stato maggior bisogno e nonostante le prediche reiterate di Ciampi che aveva perfettamente capito dove si sarebbe andati a parare.
Avrebbe dovuto destinare i ricavi di vendita dei beni pubblici interamente a riduzione del debito per poter ottenere da Bruxelles di dedurre dai parametri di Maastricht le spese in conto capitale.
Insomma avrebbe dovuto essere un buon ministro dell'Economia, ma non lo era e si è visto alla prova. Nei prossimi mesi galleggerà. Cerchi almeno, ora che è nudo, di fare previsioni corrette e di dare la verità dei numeri.
Chiuderemo l'anno con una crescita di poco sopra lo zero, entrate tributarie in calo, fabbisogno di cassa di almeno 40 miliardi, debito pubblico in aumento del 4 per cento sull'anno precedente. E ancora ci si balocca con il tema di utilizzare le riserve della Banca d'Italia come ci si è baloccati per mesi col rientro dei capitali dall'estero, come se non fosse evidente che sia i capitali all'estero sia le riserve valutarie sono risorse investite sui mercati internazionali sicché il loro eventuale reinvestimento comporta un preventivo disinvestimento con tutto ciò che ne consegue sui mercati.
Chi tace queste verità elementari non è un buon ministro. Un governo che non dispone in quasi nessuno dei punti-chiave di buoni ministri non è un buon governo. Un presidente del Consiglio che risponde in ogni occasione "ghe pensi mi" è un pessimo presidente del Consiglio.
Onorevole Tremonti, ho scritto domenica scorsa che lei cominciava a suscitarmi tenerezza. Confermo. Lei però ci sta portando al disastro. Non sarà licenziato perché è la fedele espressione del livello medio del governo cui appartiene. Credo che se decidesse d'andarsene di sua propria iniziativa farebbe cosa buona e giusta. È anche vero però che al peggio non c'è mai fine.


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