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Repubblica-Lo Stato e la ragazza madre licenziata

Lo Stato e la ragazza madre licenziata GIOVANNI VALENTINI Che cosa c'è di più religioso, di più attinente alla religione intesa come riconoscimento da parte dell'uomo di un ordine superio...

28/02/2003
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la Repubblica

Lo Stato e la ragazza madre licenziata

GIOVANNI VALENTINI

Che cosa c'è di più religioso, di più attinente alla religione intesa come riconoscimento da parte dell'uomo di un ordine superiore, di una divinità creatrice dell'universo, che cosa c'è di più religioso dunque di una donna incinta che si prepara a partorire, a dare la vita a un altro essere umano? E che religione è quella che impedisce a una gestante di insegnare religione a scuola? Che male può fare, anche se è una ragazza madre, se non è ancora sposata regolarmente, che scandalo può provocare quella donna con il "pancione" agli occhi degli alunni di una scuola media?
Il caso di Simonetta, l'insegnante di religione licenziata a Firenze con l'imprimatur della diocesi e il beneplacito della Corte di Cassazione, è un atto d'ingiustizia e di crudeltà inaccettabile. La coscienza civile si ribella: come può uno Stato laico assistere impotente a una violenza, una discriminazione, un sopruso del genere? Ma anche la coscienza religiosa, cristiana e cattolica, non può fare a meno di interrogarsi sull'applicazione di regole formali che contrastano evidentemente con l'insegnamento della stessa Chiesa, con la sostanza di una dottrina e di una cultura che privilegiano la dignità della persona umana, il rispetto della donna, il diritto del nascituro alla vita, la solidarietà e la fratellanza.
Sappiamo tutti che il concepimento all'interno del matrimonio è un dogma, un principio irrinunciabile per le gerarchie ecclesiastiche. Ed è giusto che i credenti lo rispettino, o almeno si sforzino di rispettarlo, avendo scelto liberamente di osservare una religione. Ma è una morale sessuofobica, profondamente immorale, quella che punisce e mortifica in questo modo una ragazza madre, costringendola a lasciare il suo lavoro, a essere pubblicamente umiliata e forse anche a rimpiangere di non aver usato i contraccettivi o addirittura di non aver abortito.
"Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra", ammonisce Gesù nel Vangelo di Giovanni, in difesa di una donna adultera. E rimasto solo con lei, dopo che i suoi accusatori si sono allontanati, le dice: "Neppure io ti condanno; va e non peccare più". Qui invece la povera Simonetta, messa sotto accusa per aver concepito un figlio fuori del matrimonio, viene condannata dalla Chiesa e poi anche dalla Giustizia in forza di un Concordato che equipara la religione cattolica a una religione di Stato e ne impone quindi l'applicazione alla magistratura italiana.
A parte il fatto che viviamo ormai in una società multietnica, multirazziale e quindi multireligiosa, e bisogna riconoscere che alla diffusione di questa coscienza collettiva ha dato un contributo fondamentale proprio Papa Wojtyla con il suo sofferto pellegrinaggio in tutto il mondo, forse è arrivato il momento di chiedersi a che cosa serve l'ora di religione nelle scuole pubbliche. Non sarebbe il caso di sostituirla con l'insegnamento delle religioni, o meglio ancora con la storia delle religioni? E di sottrarre quindi alle diocesi la valutazione morale e la scelta dei professori?
Prima che a imporlo sia eventualmente la Corte europea, a cui Simonetta ha già fatto ricorso, sarebbe opportuno che il governo italiano prendesse autonomamente un'iniziativa per aprire un confronto con la Santa Sede. Una testimonianza di fede vale molto più di un'ora di religione. E la fede non ha bisogno di sentenze per essere difesa, professata e magari praticata coerentemente anche dagli uomini e dalle donne che fanno politica, siedono in Parlamento o ai vertici delle istituzioni.


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