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Repubblica-La Santa alleanza si è messa l'elmetto

LA SANTA ALLEANZA S'È MESSA L'ELMETTO EUGENIO SCALFARI LA PIÙ efficace definizione di quanto sta accadendo in questi giorni nel teatro del mondo, dopo l'incontrastata vittoria di George W...

10/11/2002
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la Repubblica

LA SANTA ALLEANZA S'È MESSA L'ELMETTO
EUGENIO SCALFARI
LA PIÙ efficace definizione di quanto sta accadendo in questi giorni nel teatro del mondo, dopo l'incontrastata vittoria di George W. nelle elezioni di midterm e l'approvazione unanime del Consiglio di sicurezza dell'Onu della mozione americana sull'Iraq, non l'ha data un uomo di Stato né un leader politico né un filosofo né un sacerdote; l'ha data Sabina Guzzanti, una giovane attrice di successo e di forte vis comica. Imitando a Firenze Oriana Fallaci in abiti da "marine" con tanto di giubba mimetica ed elmetto sotto il foulard di seta ha detto: "Io amo la pace più di tutti voi. Io la pace la porterei in tutto il mondo a costo di raderlo al suolo con le bombe e di spargere il sale sulle sue rovine" .
Ci voleva la comicità per cogliere fino in fondo il dramma di una situazione che non sembra avere più vie di uscita, ci voleva il paradosso spinto fino all'estremo per esprimere la logica della forza e rinverdire con parole diverse l'antico adagio che da secoli le diplomazie, gli Stati maggiori, il potere hanno fatto proprio: "Si vis pacem para bellum" .
Il potere l'ha sempre preparata, la guerra, senza mai riuscire a stabilire una pace duratura e così continuerà fino alla fine dei secoli poiché questa è la natura dell'uomo. Ma questa volta sta accadendo un fatto nuovo sul quale bisogna soffermarsi a riflettere, un fatto di natura psicologica che ha modificato comportamenti collettivi di milioni e milioni di persone in tutto il pianeta: la gente vota per la guerra anche se nei recessi dell'anima ciascuno vorrebbe la pace. "A costo di radere il mondo al suolo". Appunto.
Questa modificazione psicologica avviene nell'opinione pubblica di paesi democratici che scelgono i loro governanti attraverso libere elezioni e che dovrebbero avere una lunga consuetudine con l'etica dei valori. Avviene nella democratica America, nel democratico Israele, nella Russia conquistata anch'essa, sia pure ancora molto imperfettamente, alla democrazia. Avviene a dispetto d'ogni calcolo tra costi e benefici. L'ha notato in un lucidissimo articolo di ieri Jean Daniel sul nostro giornale.
La causa di questo mutamento comportamentale che allinea la pubblica opinione democratica alla realpolitik delle cancellerie - ha scritto Daniel - è la paura. La gente ha paura d'un nemico ignoto e vuole poterlo materializzare per fugare la sua angoscia. La gente vuole razionalizzare la propria paura, perciò vota per la guerra, vuole la guerra. Non contro le ombre, contro la fame, le malattie, la povertà. Vuole la guerra contro nemici in carne ed ossa, vuole vederli morti, le loro case distrutte, le loro armi spezzate, le loro città rase al suolo.
Solo così la paura della gente si attenuerà, si dissolverà. Allora ritorneranno forse i buoni sentimenti, si concederà qualcosa al campo avverso, a quello che sarà rimasto in piedi del campo avverso dopo i fulmini della guerra. La beneficenza e le laute elemosine troveranno spazio per lenire i guasti, soccorrere gli afflitti, consolare le vedove. A condizione che gli afflitti abbiano imparato a ringraziare e conservino memoria della lezione. E a condizione che il sentimento dei loro diritti sia stato cancellato per sempre.
Questa è l'impresa che la superpotenza americana si appresta a compiere e che sarà il suggello del suo imperium planetario. Lo compirà con il beneplacito dell'Onu, la quale non aveva altra strada che concederlo. Ma questo non cambia d'un millesimo la realtà, un mondo con un solo pastore, una sola legge, un solo gendarme. Il sogno del governo mondiale sta dunque per avverarsi? Quella che sta per iniziare sarà sul serio l'ultima guerra della storia?
* * *
L'Europa - quella che si esprime attraverso i movimenti di popolo e non necessariamente attraverso le istituzioni - sembra ancora dissentire dall'imperium della forza. Ma quale Europa? Quella dei giovani sì, in larga misura. Quella che ha cancellato il nazionalismo dai suoi valori. Quella che detiene potenza ma non ha potere. Quella, soprattutto, che avendo patito per secoli guerre e massacri sul proprio territorio, non è stata ancora colpita in casa propria dal nemico senza volto del terrorismo internazionale.
Se dovesse accadere a Londra, a Parigi, a Berlino, a Madrid, a Roma, qualche cosa di simile a quanto è accaduto l'11 settembre a Manhattan o nell'ottobre scorso nel teatro di Mosca, anche l'Europa del dissenso pacifista si sfarinerebbe come si è sfarinata la sinistra americana e quella israeliana.
Ma anche così come è oggi, il dissenso europeo non ha alcun peso reale, resta un'obiezione di coscienza rilevante nel campo dei valori ma senza alcuna efficacia nel campo delle decisioni.
Il dissenso pacifista europeo avrà come solo effetto quello di radicalizzare la sinistra limitando la trasversalità del suo messaggio. La controprova di questi effetti emerge dalla crescente frustrazione, impotenza, perdita di compattezza e di efficacia politica della sinistra americana e di quella israeliana, con Sharon proiettato verso un trionfo elettorale tra due mesi e Bush W. con la rielezione in tasca nel 2004 e il pieno controllo del Congresso, della Corte suprema, della Banca centrale e addirittura del Consiglio di sicurezza dell'Onu, assicurato fin d'ora.
Tra tre mesi al più tardi forse di Saddam Hussein non si sentirà più parlare e questo sarà comunque un gran bene. Il prezzo del petrolio diminuirà drasticamente. Un'accelerazione della ripresa economica è possibile se non addirittura probabile. Si spegnerà anche il terrorismo che oggi corre sotto traccia nel mondo musulmano?
Tra tutte, questa è l'ipotesi meno probabile. È anzi da temere che il terrorismo si estenderà e si intensificherà. Tenderà a diventare un fenomeno endemico, come scrive da mesi Alberto Ronchey che non è certo sospettabile di antiamericanismo pregiudiziale. Ma, come tutti i fenomeni endemici, le società benestanti si abitueranno a conviverci, la guerra contro di esso continuerà, altri Stati-canaglia e dittatori-canaglia saranno obiettivi di guerre preventive, il volto-bersaglio di Saddam sarà sostituito da altri volti-bersaglio.
Bush W. lo disse fin dal 12 settembre del 2001: la guerra sarà molto lunga e non avrà confini. Non avvenne così anche per l'antica Roma? Dalla prima guerra punica alla completa conquista del Mediterraneo e dei territori limitrofi passarono quattrocent'anni. In tempi di alta tecnologia levateci almeno uno zero e ancora dividete per due: vent'anni di questa drôle de guerre senza confini alla ricerca d'un nemico sfuggente e invisibile non ce li leva nessuno.
* * *
La conclusione (provvisoria) di questo discorso può essere la seguente:
abbiamo di fronte a noi un periodo di trasformazione sociale e politica lungo almeno quanto due generazioni;
i valori di libertà e di equità sociale entreranno in conflitto sempre più acuto con gli interessi e i poteri costituiti; la cultura tenderà a modellarsi seguendo le esigenze dei vested interests; le società democratiche assumeranno aspetti imperiali che le condurranno verso assetti assai poco liberali;
le opposizioni dissenzienti tenderanno verso ruoli di testimonianza con declinante efficacia operativa;
il riformismo potrà ottenere un ruolo più cosmetico che sostanzialmente innovativo;
il terrorismo favorirà oggettivamente l'avverarsi di questi processi.
Come dicono gli economisti, queste sono le tendenze coeteris paribus o "a legislazione vigente" che dir si voglia.
Affinché il trend sia diverso da quello qui configurato sarebbe invece necessario far sì che:
la cultura resista alla tendenza di modellarsi sul potere; le opposizioni dissenzienti non si rifugino nella pura e semplice testimonianza ma apprendano le metodiche di un riformismo che accomuni l'etica dei valori a quella delle responsabilità senza mai smarrire né l'una né l'altra;
il riformismo che ne consegue sia dunque fortemente innovativo e non si rifugi nella cosmetica cui lo sospingono i poteri dominanti; la democrazia dei paesi non imperiali alimenti nel suo seno i valori di libertà e di equità sociale e sappia costruire un sistema di diritti di cittadinanza validi per ogni razza, classe, religione, sesso, territorio; la diffusione del benessere sia l'obiettivo prioritario da perseguire con tecniche appropriate di intervento variabile secondo i luoghi e le culture.
A "legislazione vigente" la partita sembrerebbe persa in partenza, ma il quadro può cambiare profondamente se intelligenza volontà e passione ne modificheranno le linee e i colori.
Per restare nelle metafore: la pittura del Caravaggio si impose per virtù propria in piena cultura di Controriforma e nonostante che le committenze fossero dovute a prìncipi e cardinali di Santa Romana Chiesa; l'Encyclopédie si discusse nei salotti della Pompadour e fu stampata con il consenso del censore del re; Immanuel Kant lavorò all'ombra della corte e dell'accademia prussiana; la rivoluzione inglese ebbe come protagonista la gentry delle contee di campagna.
La storia è piena di invenzioni. In quelle invenzioni bisogna investire con lucida perseveranza.


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