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Repubblica-La leggenda del leader vincitore

La leggenda del leader vincitore (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) ILVO DIAMANTI Come nell'ultima settimana, dopo il "big bang" seguito al voto sulla missione degli alpini in Afghanistan. Che ha ...

06/10/2002
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la Repubblica

La leggenda del leader vincitore

(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
ILVO DIAMANTI

Come nell'ultima settimana, dopo il "big bang" seguito al voto sulla missione degli alpini in Afghanistan. Che ha aggravato la questione dell'identità riflessa del centrosinistra, che per compattarsi ha bisogno dell'icona di Berlusconi; oppure della pressione sociale e della piazza. Così ha ripreso a riecheggiare la "leggenda del leader vincitore". L'idea che per sfidare la CdL, per superare o almeno mascherare le divisioni, per contrastare Berlusconi, occorra un altro Berlusconi. Copiarne il metodo, a partire dalla scelta di "un" leader. Lo ha ribadito lo stesso Premier, il quale, quando l'opposizione è in difficoltà, diventa prodigo di consigli (interessati). Utili a evidenziare il disagio della parte avversa. "Sarebbe meglio parlare con un leader che rappresenta tutta l'opposizione che parlare con dieci supposti leader che si fanno la guerra l'un l'altro", ha osservato, dopo il voto sulla missione degli alpini. Dimenticando, accidentalmente, il rifiuto, costante in campagna elettorale, di affrontare il candidato premier "unico" dell'Ulivo, Francesco Rutelli.
Se Berlusconi parla con intento prevalentemente polemico e ironico, la sua "dottrina" nel centrosinistra è acquisita. Il "metodo Berlusconi", come esempio da studiare e riprodurre, per vincere le elezioni. Trovando, fra l'altro, l'anti-Berlusconi. Capace di fornire una maschera unica alla varietà di volti che affolla il centrosinistra.
D'altra parte, la personalizzazione della politica è un processo ormai consumato. Il trionfo dei media e delle mobilitazioni di piazza, la riduzione dei partiti a organismi centralizzati, l'hanno reso più evidente; più estremo. Non solamente in Italia.
Il problema è diverso. Può il centro-sinistra riprodurre il "metodo Berlusconi"? Pare difficile. La centralità di Berlusconi è frutto di un percorso accidentato, durato molti anni.
In primo luogo, egli è leader di partito; anzi del partito di maggioranza dentro la maggioranza e dentro l'intero sistema politico italiano. Un partito "presidenziale", fortemente "personalizzato", che egli stesso ha creato e ispirato, improntandone le scelte e le svolte nel corso degli anni. Peraltro, egli dispone di risorse mediatiche e soprattutto nella comunicazione televisiva, inaccessibili, per gli altri concorrenti. Ma soprattutto, egli è divenuto il leader vincitore imponendosi agli altri candidati e agli altri partiti della coalizione attraverso un processo di selezione lungo, faticoso e contrastato. Tutti ricordano come ancora nel 1998, due anni dopo essere stato sconfitto da Prodi, Berlusconi venisse dato quasi per finito. La sua leadership minacciata da Fini. Tutti ricordano come An sfidasse il ruolo-guida di Fi; mentre la Lega ne appariva l'antagonista più irriducibile. Tutti ricordano come si parlasse di candidare una figura autorevole, ma esterna ai partiti della coalizione. Monti e Fazio, tra gli altri. Berlusconi è diventato il leader vincitore anzitutto imponendosi alla coalizione. Ha sfruttato la crisi della Lega per "costringerla" ad allearsi. Ha ricondotto a ragione Fini e An, usciti sconfitti dal referendum sul maggioritario del 1999, che avevano affrontato insieme a Segni; e soprattutto, ridotti sotto al 10% alle elezioni europee dello stesso, anno. Si è imposto, con questa coalizione, alle elezioni regionali del 2000, trasformate in una "sfida personale" con D'Alema. E infine ha affrontato le elezioni politiche del 2001 come si trattasse di elezioni dirette, identificando, nella stessa scheda elettorale, il nome della coalizione con quella del candidato. Il "metodo Berlusconi", in altri termini, è frutto di un percorso di selezione interna al centro-destra, che il leader ha impostato e imposto. Per questo il centro-sinistra non lo può riprodurre. Perché i partiti che ne fanno parte hanno tutti radici profonde; e se oggi hanno tronchi fragili, è difficile per chiunque, sullo stesso terreno, piantare un solo albero, che faccia ombra agli altri. Non solo: è difficile che trovino spazio e crescano nuovi alberi ("dal basso", come quelli piantati dai movimenti). Insomma, non c'è un partito, non c'è un movimento, che possa imporsi sugli altri; in grado di imporre un leader agli altri. E non c'è un "medium" che possa promuovere, con la stessa efficacia di Mediaset, la legittimazione del leader, a centrosinistra. Tale non può essere, per sua natura, la Cgil per Cofferati.
Così si spiega la fila sgranata dei leader, nelle preferenze dei simpatizzanti del centrosinistra, suggerita dal sondaggio condotto da Poster per Repubblica e pubblicato una settimana fa. Prodi e Rutelli, ricevono circa il 20% delle indicazioni, fra i simpatizzanti del centrosinistra. Cofferati, il 16%. Fassino, Di Pietro, D'Alema, circa il 10% delle preferenze. Sei leader, che, restringendo l'osservazione dai simpatizzanti agli elettori, si riducono a tre: anzitutto Prodi, con il 28% delle preferenze, seguito a distanza da Rutelli e Cofferati, con il 20% delle indicazioni, mentre D'Alema e Fassino rimangono ancorati all'8-9%. Figure diverse, divise fra loro per strategia, talora per ragioni umane e personali. Tuttavia, nessuno di loro pare in grado di imporsi sugli altri seguendo il "metodo Berlusconi". Neppure Prodi, circondato dall'attesa che premia il leader esiliato.
Dovrebbe, semmai, il centrosinistra, interrogarsi sul proprio "metodo". Di tipo perlopiù creativo e "incidentale". Prodi, nel 1996, ha promosso la propria candidatura attraverso una campagna itinerante (girando l'Italia in pullman); ma prima ancora, facendosi trovare "pronto" al momento giusto; favorito dalla incapacità delle forze politiche di centrosinistra di incontrarsi attorno a una candidatura di partito. Candidato quasi per "rassegnazione". Mentre il nome di Rutelli è emerso all'improvviso, a fine estate del 2000 sulla base di una valutazione negativa circa le possibilità di vittoria di Amato, allora premier. Un metodo "informale". Incidentale. Che ha prodotto candidature efficienti, nel confronto elettorale. Perché gli elettori di centrosinistra, a differenza dei partiti e dei leader, un'identità ce l'hanno; e quando è loro concesso di esprimerla, lo fanno. Efficienti ma fragili. Perché prive di radicamento; di consenso fra i partiti e i gruppi dirigenti.
Non serve il "metodo Berlusconi", al centrosinistra, per individuare il leader. Ma la stessa, febbrile ricerca di "un" leader, oggi, può costituire una scorciatoia. Un alibi per mascherare la propria debole identità; le proprie divisioni. Oltre che (vorrei dire "prima" che) per selezionare l'Attore, al centrosinistra occorre un "metodo" per stabilire l'Agenda. Per definire un minimo comune denominatore sui temi relativi all'Irak, le pensioni, l'art.18, la giustizia. Un metodo condiviso. Per interpellare le forze politiche, i gruppi e i movimenti; gli elettori.
La "leggenda del leader vincitore": ha troppo successo. Pare scritta da Silvio Berlusconi. Meglio, per il centrosinistra, cercare ispirazione altrove.


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