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Repubblica-L'impossibile ambiguità

L'impossibile ambiguità MASSIMO GIANNINI L'AMERICA dichiara guerra all'Iraq. Insieme alla Gran Bretagna e alla Spagna. Contro la Cina, la Russia, la Francia, la Germania. Per sapere da che...

18/03/2003
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la Repubblica

L'impossibile ambiguità
MASSIMO GIANNINI
L'AMERICA dichiara guerra all'Iraq. Insieme alla Gran Bretagna e alla Spagna. Contro la Cina, la Russia, la Francia, la Germania. Per sapere da che parte sta l'Italia, l'indirizzo giusto non è a Roma, a Palazzo Chigi, ma a Washington, alla Casa Bianca. "Grazie Silvio, ti sei schierato con noi e noi non lo dimenticheremo". Nel fragoroso e imbarazzante silenzio di Berlusconi, ci ha pensato Bush ad arruolare il nostro Paese nella santa alleanza del Bene contro il Male. Il presidente americano si può permettere il lusso di questo ingaggio forzoso: da mesi il presidente italiano è così vago e contraddittorio da autorizzare qualsiasi forma di "appropriazione indebita" della nostra politica estera, da parte di qualunque potenza straniera interessata.

Ma se da oggi è scattato l'ultimatum per il rais di Bagdad, è scaduto anche il tempo per il Cavaliere di Arcore. Non c'è più spazio per le furbizie tattiche o i galleggiamenti demagogici. Non sono più accettabili né le cambiali in bianco rilasciate all'alleato più potente, né le deleghe rappresentative riconsegnate alle opinioni pubbliche. Il governo italiano non può più nascondersi. Deve assumere su di sé la responsabilità, etica e politica, di una scelta. Appoggiamo o no la guerra all'Iraq decisa dall'asse anglo-ispano-americano? Se la risposta è sì, di che natura sarà questo "appoggio"? Solo politico, o anche militare? E in quest'ultimo caso, sarà un appoggio diretto, a costo di violare l'articolo 11 della nostra Costituzione, o sarà limitato a un sostegno indiretto, logistico e infrastrutturale, nel quadro circoscritto dagli accordi bilaterali con gli Usa?
Nessuno di questi interrogativi, finora, ha avuto risposta. Non è questione di strumentalizzazione politica. Con un governo dell'Ulivo, probabilmente, le cose non sarebbero andate meglio. Ma è un fatto che in questi mesi la nostra politica estera è apparsa ambigua e "congiunturale", giocata all'insegna dei tatticismi e degli opportunismi del momento. Con un ministro degli Esteri ancora "tirocinante" come Frattini, un vicepremier misteriosamente scomparso dalla scena come Fini, un ministro della Difesa che dichiara guerra da solo all'Iraq come Martino, è rimasto solo il Cavaliere, a dire tutto e il contrario di tutto. "Vogliamo la pace", "la diplomazia ha fallito", "non manderemo nostri soldati in guerra", "stiamo comunque dalla parte dell'America". Un continuo cerchiobottismo diplomatico, condito da un malcelato timore reverenziale verso Washington: il frutto di un giuramento di fedeltà siglato troppo in fretta, per strappare all'America un accredito al club dei grandi del pianeta.
Anche ieri il premier si è limitato ad esprimere "apprezzamento e approvazione" per le conclusioni del vertice trilaterale delle Azzorre. È chiara l'intenzione di offrire una sponda politica a Bush, Blair e Aznar, dal punto di vista degli equilibri internazionali. Non è ancora chiaro quali potranno esserne le ricadute materiali e militari, dal punto di vista dell'interesse nazionale. Oggi le Camere si riuniranno, per mettere in calendario il confronto parlamentare sulla guerra. Sarà un dibattito al buio. La maggioranza ci arriva nelle condizioni peggiori, senza una linea condivisa e riconoscibile. In termini di cinica contabilità politica, tra tutti gli esiti possibili della crisi irachena si è verificato quello peggiore per il centrodestra. Un via libera all'intervento armato, deciso a livello multilaterale dall'Onu, avrebbe messo irrimediabilmente nei guai un centrosinistra già spaccato e logorato di suo. L'opposizione sarebbe finita in mille pezzi: dilaniata tra i pacifisti assoluti alla Cofferati contrari alla guerra senza se e senza ma, e i pacifisti riformisti alla Rutelli, attenti a valorizzare il ruolo degli organismi sovranazionali. Il via libera all'intervento armato, deciso a livello unilaterale da tre soli Paesi e senza nessuna risoluzione dell'Onu, mette inevitabilmente in crisi la Casa delle Libertà. La maggioranza va in frantumi: lacerata tra il filo-arabismo anti-sionista di An e la xenofobia padana e anti-islamica di Bossi, il moderatismo cattolico di Follini e l'atlantismo ortodosso di Martino, favorevole all'America senza se e senza ma.
Sta a Berlusconi, adesso, cercare una sintesi credibile, anche se colpevolmente tardiva. Il presidente della Repubblica Ciampi gli ha offerto una solida cornice giuridico-costituzionale. Senza la legittimazione formale dell'Onu, l'Italia non può partecipare in forma diretta a un conflitto armato. Il governo non può chiederlo, e il Parlamento non può votarlo: violerebbero l'articolo 11 della Costituzione. Senza la determinazione espressa della Nato, l'Italia non può neanche inviare truppe o mezzi in aree lontane dal fronte di guerra (per esempio in Turchia). L'unica cosa che l'Italia può fare, senza contravvenire al dettato costituzionale, è fornire basi, diritti di sorvolo e infrastrutture civili agli Stati Uniti, in base ai trattati bilaterali esistenti. La stessa cosa, del resto, che faranno Chirac e Schroeder in Francia e in Germania.
Se Berlusconi avrà la capacità e la forza di assumere e di difendere questa posizione in Parlamento, non riabiliterà il suo americanismo acritico e gregario. Non darà alcuna "nobiltà" morale a una guerra che, se non può sostenere sul piano militare, dimostra comunque di appoggiare sul piano politico. Ma almeno, spiegando che l'Italia non va in guerra non perché non ha ricevuto la "cartolina rosa" da Bush, ma perché vuole rispettare il patrimonio di valori e di principi della sua Costituzione formale e materiale, riuscirà a dare una dignità alla delicata posizione italiana. Una posizione scomoda, e questo va detto almeno a parziale giustificazione delle continue oscillazioni del Cavaliere. Si tratta di rifiutare qualunque forma di co-belligeranza, ma senza degenerare in un generico neutralismo né concedere nulla al tiranno di Bagdad: il recupero di un ruolo e di un'identità europea non passa di qui, ma semmai dal rilancio convinto di una mediazione nel conflitto mediorientale.
È una scelta difficile. Ma da queste scelte si misura la statura di una classe dirigente. Come gli ha scritto Bush, "come sai la leadership consiste nella capacità di affrontare le sfide". Finora Berlusconi non ne è stato capace.


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