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Repubblica-L arcobaleno che rigenera

L arcobaleno che rigenera ALDO SCHIAVONE L'arcobaleno della pace - questa stilizzazione primitiva, così povera e così visibile - sta davvero diventando il nuovo simbolo della sinistra. Ha ...

01/04/2003
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la Repubblica

L arcobaleno che rigenera

ALDO SCHIAVONE

L'arcobaleno della pace - questa stilizzazione primitiva, così povera e così visibile - sta davvero diventando il nuovo simbolo della sinistra. Ha magnetismo e cristallizza emozioni, come il rosso che ha accompagnato più di un secolo di storia d'Italia, e che è stato per milioni e milioni di donne e di uomini il colore dei sogni, dell'emancipazione, dell'eguaglianza: a causa del comunismo e - insieme - malgrado il comunismo, in un intreccio che ha segnato la tragedia di un'epoca. Veder mescolarsi le due bandiera, come tante volte sta ora accadendo, è il segno di una rigenerazione, non di una bestemmia - secondo quanto sembra inutilmente sostenere il nostro presidente del Consiglio.
Nonostante la sua crisi, è stato scritto in questi giorni che la sinistra starebbe compiendo, innanzi al frangente della guerra, il miracolo di rinascere dalle sue rovine. Agirebbero dalla sua parte una spiccata capacità trasfiguratrice, e l'attitudine a saper rinnovare il proprio orizzonte ideale, e a ricostruire, attraverso uno straordinario lavoro di elaborazione spontanea, la propria cultura e visione del mondo.
È la tesi - inaspettata - di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere, sapientemente velata di provocazione e di sarcasmo. Vale la pena di riflettervi: chi guarda da lontano (e anche, diciamolo pure, senza eccessiva simpatia) capisce spesso meglio e di più di chi osserva solo dall'interno, o comunque da troppo vicino, e con il cuore in gioco.
Vi è innanzitutto un grande merito in questa analisi: ci sbatte sotto gli occhi un'evidenza che il nostro ereditario pessimismo (qualcosa di genetico, ormai, per la mia generazione, se si parla di politica) ci ha fatto quasi completamente smarrire. Il fatto, cioè, che la sinistra - da quando esiste come forma definita del pensiero e dell'azione - ha rivelato di avere davvero mille risorse, e di essere in grado di riprodursi sempre (e per fortuna) dalle sue macerie.
Questa capacità ha una ragione elementare e profonda, che in genere ci sfugge. La sinistra rinasce, semplicemente perché è impossibile farne a meno. Ridotta al suo nocciolo essenziale, la sua identità ultima, il suo fattore generativo, attiene infatti a qualcosa di primario nel cammino dell'Occidente. Non altro se non l'insofferenza per la vita nelle forme in cui è concesso di viverla - in contrasto all'appagato compiacimento per le opportunità che essa offre - congiunta all'idea (più o meno nebulosa, ma radicatissima) che una socialità di umani riconoscibili come universalmente eguali sia in qualche modo iscritta nell'avvenire della nostra specie.
Ebbene, entrambi i tratti esprimono quel che potremmo chiamare il codice genetico stesso della modernità: è inconcepibile spegnerli, senza annientare l'intera scena della nostra storia. Ed è proprio in questa immedesimazione il carattere originale della sinistra, la garanzia della sua esistenza. Il resto - tutto il resto, il comunismo, il mito operaio, e quant'altro ha riempito di orrori e di speranze il secolo che si è chiuso - viene in certo senso dopo; può essere abbandonato e può cambiare. Ma la spinta rimane, e si riproduce, sia pure in modi diversi. È esattamente quanto sta accadendo.
Il rifiuto della guerra è la manifestazione più compiuta che oggi assume il disagio per le forme esistenti del mondo, e il bisogno di un più radicale riconoscimento di eguaglianza fra gli uomini. Va guardato con simpatia e con rispetto. Di contro, vi si oppongono le ragioni del realismo e le ragioni dell'impero, che in parte coincidono, e non sono affatto l'incarnazione del male: sono piuttosto l'altra metà del cielo della storia, con cui fare i conti. Ma la mediazione e la ricerca di un punto di equilibrio fra una testimonianza carica di futuro e la dura necessità dei fatti non tocca al popolo della sinistra che rinasce; toccherebbe alla sua direzione politica, e semmai ai suoi intellettuali: entrambi molto al di sotto (almeno per ora) delle attese e del bisogno.
Vi sono comunque due rischi da cui occorre guardarsi.
Il primo attiene all'antiamericanismo: in Italia una delle eredità peggiori della tradizione comunista. Sarebbe disastroso, se la cultura della sinistra non fosse in grado di distinguere fra l'opposizione a questa guerra nata male e continuata peggio (o anche a ogni guerra, comunque e dovunque) e la valutazione di quel che è e potrà essere la presenza degli Stati Uniti nel mondo. Se l'accettazione acritica dell'americanizzazione dei gusti e degli stili di comportamento si accompagnasse - soprattutto nelle giovani generazioni - a un simmetrico e preconcetto rifiuto nei confronti del sistema di idee e di valori, anche politici, che ha reso possibile quel primato e quella diffusione. L'unificazione del mondo - e anche un mondo senza guerre - passa oggi per un uso virtuoso dell'impero, per la nostra capacità di influenzarne scelte e percorsi. È una via che dobbiamo imparare a praticare.
Il secondo rischio concerne l'atteggiamento della sinistra verso la Chiesa. Emerge una subalternità che non persuade. Certo, il Papa è impegnato in una strenua campagna per la pace. Dal suo punto di vista, egli è assolutamente conseguente. Se lo scontro in atto venisse percepito nei termini di una guerra fra religioni - come il fondamentalismo cristiano di Bush potrebbe anche talvolta lasciar intravedere - un'intera rete di rapporti verrebbe sconvolta, e un lungo lavorio per l'egemonia cattolica all'interno del campo monoteista sarebbe compromessa.
Ma non si può dimenticare che su questioni decisive che attengono alla scienza, ai diritti, all'idea stessa della natura e della vita, la critica cattolica agli eccessi del mercato (e alla medesima cultura americana) si sviluppa piuttosto nel nome di una contestazione della modernità e dell'intelletto scientifico, che non nel segno di una conseguente lotta per l'emancipazione. Riconoscere alleati, non vuol dire rinunciare alle proprie posizioni.

arcobaleno che rigenera

ALDO SCHIAVONE

L'arcobaleno della pace - questa stilizzazione primitiva, così povera e così visibile - sta davvero diventando il nuovo simbolo della sinistra. Ha magnetismo e cristallizza emozioni, come il rosso che ha accompagnato più di un secolo di storia d'Italia, e che è stato per milioni e milioni di donne e di uomini il colore dei sogni, dell'emancipazione, dell'eguaglianza: a causa del comunismo e - insieme - malgrado il comunismo, in un intreccio che ha segnato la tragedia di un'epoca. Veder mescolarsi le due bandiera, come tante volte sta ora accadendo, è il segno di una rigenerazione, non di una bestemmia - secondo quanto sembra inutilmente sostenere il nostro presidente del Consiglio.
Nonostante la sua crisi, è stato scritto in questi giorni che la sinistra starebbe compiendo, innanzi al frangente della guerra, il miracolo di rinascere dalle sue rovine. Agirebbero dalla sua parte una spiccata capacità trasfiguratrice, e l'attitudine a saper rinnovare il proprio orizzonte ideale, e a ricostruire, attraverso uno straordinario lavoro di elaborazione spontanea, la propria cultura e visione del mondo.
È la tesi - inaspettata - di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere, sapientemente velata di provocazione e di sarcasmo. Vale la pena di riflettervi: chi guarda da lontano (e anche, diciamolo pure, senza eccessiva simpatia) capisce spesso meglio e di più di chi osserva solo dall'interno, o comunque da troppo vicino, e con il cuore in gioco.
Vi è innanzitutto un grande merito in questa analisi: ci sbatte sotto gli occhi un'evidenza che il nostro ereditario pessimismo (qualcosa di genetico, ormai, per la mia generazione, se si parla di politica) ci ha fatto quasi completamente smarrire. Il fatto, cioè, che la sinistra - da quando esiste come forma definita del pensiero e dell'azione - ha rivelato di avere davvero mille risorse, e di essere in grado di riprodursi sempre (e per fortuna) dalle sue macerie.
Questa capacità ha una ragione elementare e profonda, che in genere ci sfugge. La sinistra rinasce, semplicemente perché è impossibile farne a meno. Ridotta al suo nocciolo essenziale, la sua identità ultima, il suo fattore generativo, attiene infatti a qualcosa di primario nel cammino dell'Occidente. Non altro se non l'insofferenza per la vita nelle forme in cui è concesso di viverla - in contrasto all'appagato compiacimento per le opportunità che essa offre - congiunta all'idea (più o meno nebulosa, ma radicatissima) che una socialità di umani riconoscibili come universalmente eguali sia in qualche modo iscritta nell'avvenire della nostra specie.
Ebbene, entrambi i tratti esprimono quel che potremmo chiamare il codice genetico stesso della modernità: è inconcepibile spegnerli, senza annientare l'intera scena della nostra storia. Ed è proprio in questa immedesimazione il carattere originale della sinistra, la garanzia della sua esistenza. Il resto - tutto il resto, il comunismo, il mito operaio, e quant'altro ha riempito di orrori e di speranze il secolo che si è chiuso - viene in certo senso dopo; può essere abbandonato e può cambiare. Ma la spinta rimane, e si riproduce, sia pure in modi diversi. È esattamente quanto sta accadendo.
Il rifiuto della guerra è la manifestazione più compiuta che oggi assume il disagio per le forme esistenti del mondo, e il bisogno di un più radicale riconoscimento di eguaglianza fra gli uomini. Va guardato con simpatia e con rispetto. Di contro, vi si oppongono le ragioni del realismo e le ragioni dell'impero, che in parte coincidono, e non sono affatto l'incarnazione del male: sono piuttosto l'altra metà del cielo della storia, con cui fare i conti. Ma la mediazione e la ricerca di un punto di equilibrio fra una testimonianza carica di futuro e la dura necessità dei fatti non tocca al popolo della sinistra che rinasce; toccherebbe alla sua direzione politica, e semmai ai suoi intellettuali: entrambi molto al di sotto (almeno per ora) delle attese e del bisogno.
Vi sono comunque due rischi da cui occorre guardarsi.
Il primo attiene all'antiamericanismo: in Italia una delle eredità peggiori della tradizione comunista. Sarebbe disastroso, se la cultura della sinistra non fosse in grado di distinguere fra l'opposizione a questa guerra nata male e continuata peggio (o anche a ogni guerra, comunque e dovunque) e la valutazione di quel che è e potrà essere la presenza degli Stati Uniti nel mondo. Se l'accettazione acritica dell'americanizzazione dei gusti e degli stili di comportamento si accompagnasse - soprattutto nelle giovani generazioni - a un simmetrico e preconcetto rifiuto nei confronti del sistema di idee e di valori, anche politici, che ha reso possibile quel primato e quella diffusione. L'unificazione del mondo - e anche un mondo senza guerre - passa oggi per un uso virtuoso dell'impero, per la nostra capacità di influenzarne scelte e percorsi. È una via che dobbiamo imparare a praticare.
Il secondo rischio concerne l'atteggiamento della sinistra verso la Chiesa. Emerge una subalternità che non persuade. Certo, il Papa è impegnato in una strenua campagna per la pace. Dal suo punto di vista, egli è assolutamente conseguente. Se lo scontro in atto venisse percepito nei termini di una guerra fra religioni - come il fondamentalismo cristiano di Bush potrebbe anche talvolta lasciar intravedere - un'intera rete di rapporti verrebbe sconvolta, e un lungo lavorio per l'egemonia cattolica all'interno del campo monoteista sarebbe compromessa.
Ma non si può dimenticare che su questioni decisive che attengono alla scienza, ai diritti, all'idea stessa della natura e della vita, la critica cattolica agli eccessi del mercato (e alla medesima cultura americana) si sviluppa piuttosto nel nome di una contestazione della modernità e dell'intelletto scientifico, che non nel segno di una conseguente lotta per l'emancipazione. Riconoscere alleati, non vuol dire rinunciare alle proprie posizioni.


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