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Repubblica-Il PArlamento ad uso privato del Cavaliere

LA SPINTA drammatica della disperazione ha portato ieri Silvio Berlusconi a umiliare il Parlamento, con una nuova forzatura istituzionale, che non ha precedenti. La destra, forte di una larghissima ma...

01/08/2002
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la Repubblica

LA SPINTA drammatica della disperazione ha portato ieri Silvio Berlusconi a umiliare il Parlamento, con una nuova forzatura istituzionale, che non ha precedenti. La destra, forte di una larghissima maggioranza nelle due Camere, ha fatto mancare per quattro volte il numero legale al Senato, in modo da poter togliere di mezzo l'ordine del giorno prefissato dei lavori, spianando così la strada all'unico provvedimento drammaticamente urgente per il Cavaliere e per i suoi uomini imputati nei processi di Milano: il disegno di legge che reintroduce il "legittimo sospetto" direttamente dal codice Rocco, e consente di fermare quei processi all'ultimo atto, prima che la giustizia emetta il suo verdetto, consegnandoli formalmente ad un'altra Corte diversa dal giudice naturale previsto dalla Costituzione, e avviandoli in realtà verso la prescrizione. Cancellandoli cioè per sempre, senza che l'opinione pubblica possa sapere se gli imputati eccellenti di reati gravissimi sono per la giustizia innocenti oppure colpevoli.
Di questo, e non di altro, si discuterà oggi nell'aula di Palazzo Madama, quando il "legittimo sospetto" arriverà d'urgenza, senza nemmeno aspettare il voto in commissione giustizia, con il presidente Pera costretto (da se stesso) a dire per tre volte sì a tre richieste di modifica dell'ordine del giorno e delle procedure avanzate dalla maggioranza di destra, pur di cortocircuitare ogni ostacolo e raggiungere disperatamente l'obiettivo. Adesso, subito, all'inizio di agosto, con gli italiani in vacanza - si suppone distratti - e le Camere quasi chiuse. Questa prova di forza estrema deve avere una posta molto alta, per incatenare tutta la Casa delle Libertà, un'istituzione di rilievo come il Senato, il suo presidente. E la posta oggi in gioco deve essere chiara a tutti, perché nessuno possa sfuggire alle sue responsabilità

' in discussione lo Stato di diritto, l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l'autonomia del potere giudiziario dal potere politico. Di tutto ciò niente sarà più come prima se passa il principio per cui Silvio Berlusconi non può essere giudicato, in nome del popolo italiano.
I nostri lettori sanno come si è arrivati a questo scontro decisivo. E' un anno, da quando ha vinto le elezioni sulla base di promesse mirabolanti di modernizzazione del Paese, che Silvio Berlusconi agisce come presidente del Consiglio e legifera come capo della legittima maggioranza parlamentare per costruirsi un salvacondotto che lo sottragga al giudizio della magistratura italiana. Ciò che vale per qualsiasi cittadino, ciò che è valso per quasi sessant'anni per imputati eccellenti, ex presidenti del Consiglio, uomini di Stato, non può valere per lui. I magistrati sono "comunisti", le toghe "rosse", le Procure teleguidate dall'opposizione di sinistra, in un perverso disegno politico. Il merito dei processi aperti, con reati gravissimi, e il sospetto che la sua stessa identità imprenditoriale sia inficiata da un vantaggio fraudolento costruito attraverso un sistema complesso e articolato di corruzione dei giudici, non conta più nulla, è stato cancellato da un'accurata campagna propagandistica, e non un giornale ne parla nei suoi commenti. Nessuno chiede al presidente del Consiglio di spiegarsi e di difendersi in modo trasparente da quell'accusa. Nessuno gli suggerisce e pretende, in nome della pubblica opinione, di sollecitare una sentenza che ponga fine ai sospetti intollerabili per un Capo del governo, al termine di un processo nel quale la difesa ha potuto, può e potrà usare tutte le armi legittime per far valere i suoi diritti e le sue ragioni.
No. In un sortilegio illiberale, il merito delle accuse su cui è chiamata a pronunciarsi la giustizia italiana non interessa più nessuno, come se non fosse parte costituente del profilo personale, morale, politico dell'imputato.
Si assiste invece ad una vera e propria campagna di sfondamento politico-istituzionale, condotta in una serrata regia parallela alla battaglia processuale. Prima si derubrica il falso in bilancio, nell'esplicito, concreto, contingente e pressante interesse del Capo del governo e dei suoi cari, in plateale contrasto con le norme più severe decise negli Stati Uniti d'America, per preservare il mercato dagli abusi oscuri che lo stanno affondando. Poi si mutilano le rogatorie, per vanificare gli elementi di prova raccolti a Milano sui conti aperti all'estero dagli imputati dell'azienda-partito. Quindi si chiede la remissione del processo, perché la Milano di Berlusconi, Albertini e Formigoni sarebbe una città prevenuta e ostile contro l'imprenditore presidente del Consiglio. A questo punto la disperazione preme e si giocano le carte pesanti. Prima il tentativo di introdurre un sistema di immunità perenne, retroattivo e totale, che sottragga Berlusconi e i suoi da ogni giudizio penale finché sono parlamentari, dunque teoricamente in eterno. Poi ecco la norma definitiva e tombale, il "legittimo sospetto" costruito su misura per Silvio Berlusconi e Cesare Previti, evidentemente incostituzionale ma concretamente utile, nell'immediato, per far calare una ghigliottina sui processi di Milano a fine settembre, appena prima che venga pronunciata la sentenza. Come scrive il Financial Times, molto semplicemente il disegno di legge sul "legittimo sospetto" se venisse approvato "abolirebbe l'ultimo serio caso giudiziario che minaccia il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi". Di questo si tratta, e non d'altro.
Tutto ciò non è grave soltanto per l'esito finale, che sancirebbe la differenza tra il cittadino Berlusconi e gli altri (Previti escluso, naturalmente) di fronte alla legge. E' grave per la distorsione permanente e continua di norme e regole che produce e determina strada facendo, mentre questa strategia cerca di compiersi, con una manomissione continua della legalità, delle procedure e delle normative tagliata soltanto su interessi particolari e ristrettissimi: fino a compiere un'alterazione complessiva del sistema. Fatalmente questo uso privato della legislazione, del codice e persino della Costituzione crea un circuito di tensione istituzionale permanente, compatta le opposizioni (con l'Ulivo e i "girotondi" uniti, dopo mesi di discordia e di polemiche a sinistra), stritola gli istituti di garanzia incapaci di svolgere il loro ruolo, come il presidente del Senato che ieri ha palesemente perso la testa attaccando nello stesso tempo i girotondi - che non sono sotto la sua alta giurisdizione -, l'Ulivo, che ha il difetto di opporsi in Parlamento, e il presidente della Camera Casini, addirittura segnalato al padrone in pieno impeto delatorio come protagonista di manovre di Palazzo e velleità neocentriste. Questo stato di tensione perenne è un esito inevitabile, che Berlusconi ha tranquillamente messo in conto, anche se ieri sera (come già era avvenuto alla Camera con il tentativo sull'immunità) il Cavaliere ha preso le distanze dagli ascari che manda avanti a firmare disegni di legge ed emendamenti, cercando di dipingersi come lo statista che non è, al di sopra di interessi particolari contingenti.
Per queste ragioni chiedere a Berlusconi di fermare i suoi uomini è inutile. Ma prima ancora, è sbagliato, concettualmente, moralmente e politicamente. Qui infatti non siamo davanti ad un errore o ad una svista dovuta ad un eccesso isolato di zelo, per cui ci si può ragionevolmente appellare al buon senso del Principe, perché freni le esagerazioni e ripristini la regola di base, come in una democrazia octroyé. Non è così, ed è ora di capire che l'anomalia di Forza Italia non si risolve con un richiamo al galateo, ma con un richiamo ai principi del nostro ordinamento. Principi liberali. Che oggi sono messi in discussione: e non dall'ostruzionismo e dai girotondi, ma di chi provoca il primo e suscita i secondi, con forzature che non hanno precedenti nell'età democristiana.
Nella prima Repubblica, infatti, abbiamo conosciuto governanti mediocri e uomini di Stato, corruzione e alta politica: e anche un uso distorto dello Stato, interessi privati talvolta prevalenti sull'interesse pubblico, consorterie di potere. Ma qui, c'è qualcosa di più e di diverso, ogni giorno stupefacente. C'è una concezione strumentale della politica, usata con il disegno meschino di trasformarla in scudo e minaccia, immiserendola a servaggio, come mai era capitato nella storia repubblicana. La politica è certo potere, il potere - per chi ha vinto le elezioni - di guidare il Paese, di compiere il suo progetto politico e culturale, di dispiegare il suo programma. Ma oggi la politica della destra è potere nel senso più ristretto e più povero della parola, tutela di sé, protezione di un gruppo di inquisiti, consegna del comando a fini privati inconfessabili. Con un'ambizione-costrizione metafisica, che prima di Berlusconi hanno avuto soltanto i grandi paranoici della politica: la pretesa di cancellare il passato, in un impeto "rivoluzionario" che vede la discesa in campo del Cavaliere come l'anno zero, e prima punta a riscrivere la storia, mentre deve continuamente mistificare il presente per nascondere i veri obiettivi di scelte necessitate.
Questo è il berlusconismo, un anno dopo. Una "forza" politica, nel vero senso della parola, che fa tutto il possibile per trasformarsi in banda, chiusa in sé, spaventata e spaventosa, ostile a normative e istituzioni, fatalmente costretta ad entrare in rotta di collisione, dopo il codice e le regole, anche con la Costituzione, e quindi con il Capo dello Stato, per forza di cose. Non stupisce che i giornali della destra, vedendo il dispiegarsi di questa miscela pericolosa di forza e di debolezza, cancellino ogni autonomia di giudizio, inneggiando al senatore Cirami che firma il "legittimo sospetto", alla sua "banda", all'"Eroe Inquisito", in un crescendo dannunziano e futurista. Stupisce che altri ripropongano davanti a queste forzature di sospendere ogni giudizio penale per il presidente del Consiglio finché è in carica, istituzionalizzando la sua diversità dagli altri cittadini. Un esito che Berlusconi cerca disperatamente e che tuttavia non potrebbe accettare, perché il suo socio oscuro, Cesare Previti, lo tiene stretto con ogni evidenza in una morsa mortale, che gli impedirà sempre e comunque di salvarsi da solo.
Come ha scritto Rossana Rossanda, c'è una forte "assuefazione alle prepotenze del vincente". Da mesi la chiamano nuova egemonia. Legittima le forzature, amplifica le letture di comodo, schernisce gli oppositori, dileggia chi difende i principi liberali della legalità. Confonde i deboli, che scambiano per forza la disperazione berlusconiana, e chiudono gli occhi davanti a ciò che accade, per un eterno riflesso di paura. E invece, nel momento in cui la destra dispiega tutto il suo potere per forzare le regole, noi diciamo che non può durare: perché una democrazia moderna, nell'Europa del 2002, non si governa così.


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